Globalizzare la fraternità per sconfiggere l'abominio della schiavitù

Il Messaggio di Papa Francesco per la 48esima Giornata mondiale della pace del 1° gennaio 2015, sul tema “Non più schiavi, ma fratelli”

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Guarda al passato Papa Francesco, nel suo Messaggio per la 48esima Giornata mondiale della pace del prossimo 1° gennaio, sul tema “Non più schiavi, ma fratelli”; guarda, cioè, ai tempi immemorabili in cui le diverse società umane hanno conosciuto il fenomeno dell’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo. Ma volge uno sguardo anche al futuro, esortando il mondo a trovare soluzioni comuni per sconfiggere una volta per tutte questo “abominevole fenomeno” della schiavitù, “reato di lesa umanità”.

Un Messaggio lungo e ragionato questo di Papa Francesco, in cui il Pontefice attinge nella Sacra Scrittura la riflessione sulle cause della schiavitù di ieri e di oggi. Già nel titolo richiama la Lettera di San Paolo a Filemone, nella quale l’Apostolo chiede al suo collaboratore di accogliere Onesimo, già schiavo dello stesso Filemone e ora diventato cristiano, quindi, secondo Paolo, meritevole di essere considerato un fratello.

Riflette quindi sul progetto di Dio sull’umanità e ricorda che l’uomo, in quanto essere relazionale, si realizza “nel contesto di rapporti interpersonali ispirati a giustizia e carità”. Partendo da questo assunto, Bergoglio eleva una forte preghiera a Dio affinché cessino guerre, conflitti, sofferenze provocate dall’uomo, epidemie e calamità naturali.

Parla poi agli uomini e le donne di tutto il pianeta, lanciando un vigoroso appello affinché siano “riconosciute e rispettate dignità, libertà e autonomia dell’uomo”, orientando ogni rapporto umano verso il rispetto, la giustizia e la carità. Perché – rimarca – tutti gli uomini, seppur “nella molteplicità e nella differenza”, sono creati ad immagine e somiglianza di Dio e quindi “aventi stessa natura e stessa dignità”.

“Vincolo fondante della vita familiare e della società” è dunque la “fraternità”, afferma il Papa. Qualora essa venga meno, ne scaturisce una “cultura dell’asservimento” che apre nel corpo sociale ferite inguaribili. Francesco ne elenca alcune: “rifiuto dell’altro, maltrattamento delle persone, violazione della dignità e dei diritti fondamentali, istituzionalizzazione delle disuguaglianze”.

In questa decadenza, la comunità cristiana è chiamata ad essere “luogo della comunione vissuta tra i fratelli”, dove la diversità di origine e stato sociale “non ne sminuisce la dignità né li esclude dall’appartenenza al popolo di Dio”.

Posta questa premessa, Papa Francesco si sofferma ad osservare la situazione presente, evidenziando anche “l’evoluzione positiva” che nel corso degli anni ha avuto la “coscienza dell’umanità” riguardo al dramma della schiavitù. Vengono ricordate quindi tutte le iniziative e gli impegni che hanno formalmente abolito questo crimine, rendendo “norma inderogabile” il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schiavitù o servitù.

Se questa però è la teoria, la pratica dice tutt’altro: oggi, infatti, “milioni di persone sono costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù”, denuncia il Papa. Gli esempi, purtroppo, non si contano: lavoro-schiavo; schiavitù sessuali, in particolare donne costrette a prostituirsi o vendute per il matrimonio; migranti privati della libertà e dei loro beni, abusati fisicamente, detenuti in condizioni disumane, ricattati dal datore di lavoro che condiziona la legalità del loro soggiorno al contratto lavorativo.

Per non parlare degli orrori subiti da migliaia di minori nel mondo. Lo sguardo del Santo Padre si commuove nel ricordare le piccole vittime di mercimonio per l’espianto di organi o i bambini arruolati come soldati, rapiti e fatti prigionieri da gruppi terroristici, i giovani spinti all’accattonaggio o allo spaccio di droghe. O addirittura i neonati oggetto di “forme mascherate di adozione internazionale”,.

Sono molteplici i volti della schiavitù, come molteplici sono le sue cause:la prima, di matrice ontologica, deriva dal “peccato che corrompe il cuore dell’uomo”, per cui l’essere umano viene rifiutato e trattato “come un oggetto, un mezzo e non un fine”, spiega il Pontefice. Ci sono poi cause ‘esterne’, quali povertà, mancata educazione, opportunità di lavoro inesistenti, conflitti armati, violenze, terrorismo, criminalità. Quest’ultima, avverte Bergoglio, ha inquinato anche il mondo del web, visto che “le reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani” usano le tecnologie informatiche.

Soprattutto il Papa stigmatizza il male della corruzione, che spesso contagia i membri delle forze dell’ordine, le istituzioni civili e militari, i politici e i componenti dello Stato. Alla base di tutto è una percezione fuorviante del sistema economico che venera il dio denaro e dimentica la persona umana. Lo dimostra come le diverse forme di schiavitù succitate si verificano, il più delle volte, “nell’indifferenza generale”.

Questo silenzio della società civile, tuttavia, è contrastato da un altro silenzio positivo. È quello delle congregazioni religiose, specialmente femminili, che all’ombra del mondo – scrive il Papa – svolgono un “enorme lavoro” per cercare di “spezzare le catene invisibili che tengono legate” sfruttati e sfruttatori, fatte da ricatti, minacce, violenze, confisca di documenti di identità.

Tre sono i modi con cui le congregazioni si pongono accanto a questa gente con “coraggio, pazienza e perseveranza”: anzitutto, sottolinea Francesco, soccorrendole, poi riabilitandole attraverso anche percorsi di psicoterapia, e infine reintegrandole in società.

Un triplice impegno che però – rimarca il Vescovo di Roma – non deve rimanere prerogativa dei religiosi, ma deve essere portato avanti dalle istituzioni. Perché per sconfiggere la schiavitù occorre un’azione “comune e globale”soprattuttoda parte degli Stati, chiamati a vigilare affinché le leggi su migrazione, lavoro, adozione e delocalizzazione delle imprese siano “rispettose della dignità della persona” e dei “diritti fondamentali”.

L’attenzione del Papa si amplia dunque alla intera società: alle donne in primis, per cui chiede un riconoscimento del loro ruolo sociale; poi i lavoratori, perché le imprese garantiscano un lavoro dignitoso, stipendi adeguati e catene di distribuzione esenti dalla tratta; le organizzazioni intergovernative, perché cooperino per “combattere le reti transnazionali del crimine organizzato”; i consumatori e la loro “responsabilità sociale”, perché siano consapevoli del fatto che “acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico”.

Nelle ultime righe del Messaggio, Francesco ribadisce poi l’impegno della Santa Sede contro la tratta e il traffico di esseri umani. Esorta quindi e a gesti concreti, anche un semplice saluto o sorriso, verso chi è vittima di asservimento. Il tutto sotto la protezione di Santa Giuseppina Bakhita, religiosa sudanese schiava per molti anni, canonizzata da Giovanni Paolo II il 1° ottobre del 2000.  

L’appello iniziale viene dunque ribadito in chiusura del Messaggio: tutti gli uomini e le donne di buona volontà – scrive il Santo Padre – non si rendano complici del male,distogliendo lo sguardo di fronte “alle sofferenze di fratelli e sorelle in umanità, privati della libertà e della dignità”, ma abbiano “il coraggio di toccare la carne sofferente di Cristo”.

Perché, conclude Francesco, siamo di fronte “ad un fenomeno mondiale che supera le competenze di una sola comunità o nazione”. E a questa “globalizzazione dell’indifferenza” che regna sovrana nel mondo attuale, va opposta una “globalizzazione della fraternità”  che possa ridare speranza a chiunque l’abbia perduta.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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