Alcuni giorni fa una bambina di undici anni mi ha chiesto: “Come hanno fatto gli apostoli a toccare il Signore se era uno Spirito capace di passare attraverso le porte?”. Ecco, la Solennità di Pentecoste risponde a questa domanda, che, semplice solo in apparenza, vibra nell’aria la questione fondamentale per la vita di ogni uomo: Gesù è davvero risorto?
Tutto, infatti, dipende dall’avere o meno una risposta al dramma della vita: c’è vita oltre la morte? Come fare ad oltrepassare queste porte “sprangate” dove mi ha rinchiuso la paura della morte? E’ così l’esperienza di tutti noi, come di quella bambina che il dolore ha già visitato ferendo la sua famiglia: “come si può toccare a vita eterna se non si vede, se è qualcosa che non cade sotto i nostri sensi?”.
E’ possibile sperimentare qui ed ora che Cristo è risorto? Sì, è possibile, perché tutto il Mistero di Gesù conduce alla “sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei”. Oggi.
E’ qui e ora che “viene Gesù” per “fermarsi in mezzo a noi”. Qui, in questo nostro luogo sprangato per la paura; ora, in questa “sera” del giorno di Pasqua, “il primo dopo il sabato”, origine del giorno che non vedrà mai tramonto.
La resurrezione di Gesù, infatti, ha abbracciato l’universo e ciascun uomo di ogni generazione: da quell’alba di vittoria ogni “sera” appartiene alla luce dello “splendore del Re che ha vinto le tenebre”.
Ciò significa che la nostra vita, come quella di ogni uomo – anche di chi vive ancora nascosto nella selva e non ha mai sentito parlare di Gesù – è stata raggiunta e accolta dalla vittoria di Cristo: per quante “sere” si avvicendino nella nostra storia, nessuna più è destinata a sciogliersi nel buio della solitudine e della morte.
E’ un fatto, è oggettivo, è la Verità. Ma tu ed io lo crediamo vero oggi? Oppure, come la bambina, non sappiamo ancora come ciò sia possibile? Forse, guardando alle relazioni in famiglia, al lavoro o tra amici, non abbiamo ancora sperimentato che si può vivere nella carne una vita capace di oltrepassare le “porte chiuse”…
Pentecoste, infatti, è il dono che si fa perdono. E’ lo Spirito Santo che si impadronisce della vita di un uomo e di una comunità e la spinge oltre la morte, a oltrepassare le porte sprangate che la chiudono nell’egoismo.
E’ lo Spirito Santo che fa di te e di me una creatura nuova, che, semplicemente, può perdonare. La novità del cristianesimo si rivela nella misericordia che frantuma le mura issate dal peccato. Un cristiano non è più onesto, più gentile, più dolce degli altri uomini. O forse lo è anche, ma non sono queste le caratteristiche che lo definiscono e lo rendono unico.
Il cristiano è un testimone che “annunzia nelle lingue” di ogni uomo “le grandi opere di Dio”. Non le proprie opere, la propria religiosità, i propri sforzi… Ma opere soprannaturali compiute dallo Spirito Santo in lui.
E quale è l’opera di Dio, sua e sua soltanto? Il perdono dei peccati! Questa è stata l’opera annunciata e compiuta da Gesù, quella che l’ha condotto alla Croce. E’ vero, infatti, che solo Dio può perdonare i peccati. Se Gesù ha perdonato, significa che era Dio.
Se la Chiesa perdona i peccati, se tu ed io perdoniamo i peccati significa che Dio è vivo in noi e che ci ha trasmesso il suo stesso potere. E’ questo il dono dello Spirito Santo, che fa di noi figli di Dio, colmi della natura divina.
Non so se stiamo capendo che cosa significhi essere cristiani: siamo chiamati a ricevere giorno dopo giorno lo Spirito di Dio, che ricrea in noi l’immagine e la somiglianza con il Padre, che risplende concretamente nel perdono.
E’ il perdono che assicura la “Pace” del cuore, perché passa attraverso le porte sbarrate dall’orgoglio e dai suoi figli, i sette peccati capitali. E’ nel perdono che si possono toccare le piaghe di Cristo risorto! E’ l’esperienza di essere perdonati in ciò che nessuno ha mai accettato; l’esperienza di poter perdonare quello che, sino a ieri, era stato imperdonabile.
E’ il perdono la carne rinnovata dallo Spirito di Cristo risuscitato: parole e gesti che risuscitano un rapporto logorato e morto. Ah, è questa dunque la Pasqua, con il suo compimento nella Pentecoste: tu ed io come gli Undici Apostoli uniti a Maria, la comunità dei figli perdonati e inviati “come Gesù” a perdonare ogni uomo.
E “come” Gesù è stato inviato? Nello Spirito Santo che lo ha gettato nel deserto di ogni vita a combattere con il demonio per sconfiggerlo caricando su di sé i peccati di tutti gli uomini. Non a caso l’evangelista Giovanni indica nello spirare di Gesù sulla Croce un anticipo della Pentecoste che farà coincidere nel Vangelo di questa domenica.
Proprio distendendo le braccia per dilatare ogni sua fibra nell’amore sino alla fine, Gesù ha consegnato il suo Spirito. Per questo oggi rinasce una nuova famiglia, la Chiesa, sposata da Cristo nel dono di se stesso. Oggi tu ed io celebreremo le nozze con lo Sposo al quale siamo stati promessi da sempre. Come in un santo amplesso che unisce Cielo e terra, la Torah sarà scritta con il suo fuoco nei nostri cuori, per sigillare con ciascuno di noi la Nuova ed eterna Alleanza: ci sposiamo con il Signore, capite?
Niente di sentimentale però: chiunque accoglie lo Spirito Santo è perdonato da ogni peccato e, contemporaneamente, colmato dello stesso potere che lo getta a sua volta nel mondo alla ricerca dei peccatori ai quali far giungere il perdono. Chi si unisce a Cristo, infatti, forma un solo Spirito!
Allora, figli della Pentecoste e sposati con Cristo, potremo consumare il nostro matrimonio sul letto fecondo della Croce: qui distenderemo le nostre braccia per accogliere nel perdono nostra moglie e nostro marito, il figlio e la nuora, la figlia e il genero, suocere e suoceri, amici, colleghi, fidanzati e, soprattutto, i nemici.
Da oggi, ogni giorno ci sarà dato per accogliere “la sera” delle debolezze e dei peccati, dell’idolatria e dell’incredulità, dell’egoismo e della divisione, e lasciarvi risplendere la luce del perdono che fa della storia un frammento dell’eternità. Ogni giorno sarà, allora, parte del Giubileo che ogni cinquant’anni condonava tutti i debiti. Le nostre case saranno case del Giubileo, dove chiunque possa incontrare misericordia ed essere rigenerati per camminare in una vita nuova.
Anche oggi è pronto a scendere sulle nostre comunità lo Spirito Santo. Esso rinnoverà i prodigi di “Shavuot”, la Pentecoste ebraica celebrata dagli Apostoli mentre scendeva su di essi lo Spirito Santo. Nel Midrash – il commento rabbinico della Scrittura – troviamo scritto: “Quando Dio consegnò la Torah sul Sinai, manifestò indicibili meraviglie a Israele con la sua voce. Che cosa è successo? Dio ha parlato e la sua voce è risuonata in tutti gli angoli del mondo: Tutto il popolo osservava il gran fragore e i lampi (Es 20,18). Notate che non dice il lampo ma i lampi; per questo R. Johanan disse che la voce di Dio, nel pronunciarsi, si divise e manifestò in settanta voci, settanta lingue, perché tutte le nazioni potessero capire” (Exodo Rabbah 5,9).
Il nostro Sinai è il luogo dove oggi celebreremo la Pentecoste. Esso è il Cenacolo che segna l’intersecarsi del tempo e della storia che stiamo vivendo: oggi, dunque, laddove siamo e così come siamo, lo Spirito Santo scenderà su di noi, perché attraverso di noi risuoni nel mondo la “sua” voce. Nelle nostre parole e nei nostri gesti risplenderanno “i lampi” del suo amore e del suo perdono declinati nelle lingue di chi ci è accanto, perché tutti possano conoscere Lui.
Nessuno deve cambiare, non tuo marito, non tua moglie, non i tuoi figli; non le persone alle quali siamo mandati. Non è per questo che siamo inviati:
il cambio morale è frutto dello Spirito Santo. Piuttosto tutti hanno diritto di “ascoltare” la “voce di Dio” in noi; tutti aspettano il suo perdono, è la loro eredità e nessuno può rubargliela, perché Gesù ha redatto testamento per loro con il suo sangue.
Così, dalla Pentecoste che ci rinnova irrorandoci con lo Spirito Santo, il perdono che genera la comunione arriva a ogni uomo disperso dall’orgoglio che a Babele ha confuso le lingue. A casa, al lavoro, a scuola, ovunque giunga un cristiano il Cielo discende come l’autentica primizia di Shavuot, per tutti coloro che, ingannati dal demonio, hanno inutilmente tentato di scalarlo.