ROMA, domenica, 2 dicembre 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la quarta ed ultima parte del discorso tenuto giovedì 29 novembre dal cardinale Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, presso la Sala Newman della Pontificia Università Urbaniana, all’Atto accademico di inizio delle attività 2012-2013 dello Scalabrini International Migration Institute (SIMI).
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5. Un documento “autoreferenziale”?
Restano, infine, da considerare gli elementi che hanno indotto alcuni a ritenere che la Exsul familia sia piena di “enfasi autoreferenziale”. La Costituzione apostolica, in realtà, non mira solo a dare istruzioni dettagliate per situazioni specifiche della sua epoca, ma anche a regolare l’intera questione e a offrire un fondamento giuridico alla cura pastorale di tutti i migranti cattolici. In sostanza, si tratta di un pronunciamento che intende uniformare le disposizioni, di natura canonica e pastorale, promulgate nella Chiesa cattolica. E non è tutto. In effetti, il suo raggio di influenza si è esteso e approfondito nel tempo, se consideriamo che i temi segnalati dal documento sono stati ripresi nel corso dei lavori del Concilio Vaticano II; che esso è servito come base per l’Istruzione della Sacra Congregazione per i Vescovi De pastorali migratorum cura, come pure per l’Istruzione Erga migrantes caritas Christi del nostro Consiglio. Il documento, dunque, è fonte di ispirazione per la sua larghezza d’orizzonte, con ampia consapevolezza dell’esperienza del passato.
Del resto, tutto necessita di continuo aggiornamento. Anche la Erga migrantes caritas Christi, che compirà il suo decimo anno in un futuro non troppo lontano, già mostra segni di invecchiamento. Nel Messaggio di quest’anno per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, il Santo Padre ha affermato che “per ottenere un fecondo servizio pastorale di comunione, può essere utile aggiornare le tradizionali strutture di attenzione ai migranti e ai rifugiati, affiancandole ai modelli che rispondano meglio alle mutate situazioni in cui si trovano ad interagire culture e popoli diversi”[1]. Non è un fatto di cui spaventarsi, ma un invito a cercare costantemente un nuovo approccio per la proclamazione del Vangelo e per l’aggiornamento della sollecitudine della Chiesa nei confronti dei migranti. Questo, in sintesi, è lo spirito delle parole che il Santo Padre ha rivolto al primo gruppo di Vescovi della Francia in visita ad limina, nello scorso mese di settembre, dicendo che “vi è un rischio di enfatizzare troppo l’efficienza causando una sorta di burocratizzazione della cura pastorale che si concentra su strutture, organismi e programmi, che possono diventare auto-referenziali, ad uso esclusivo dei membri di queste strutture”[2]. Lo stesso rischio esiste per le strutture di pastorale per i migranti e gli itineranti. È possibile che l’attenzione alla preparazione di programmi, celebrazioni e strutture organizzative assorba tutte le energie a disposizione, fino al punto di trascurare lo spirito che anima la dimensione evangelica e missionaria della pastorale stessa.
Il volto del mondo continua a cambiare e a trasformarsi e il fenomeno migratorio produce nuove sfide e nuove opportunità. Soprattutto, esso fa sorgere nuova speranza, a cui orienta anche il tema che avete scelto per questo Atto accademico, cioè “migrazione e nuova evangelizzazione”. In una società che sta diventando ogni giorno sempre più diversificata in tutti i suoi aspetti, i migranti cattolici danno alla Chiesa la speranza di una nuova evangelizzazione, poiché essi sono i nuovi missionari del Vangelo, dove il sentiero migratorio li porta.
È sotto gli occhi di tutti che i flussi migratori, insieme con le nuove forme di comunicazione, hanno fatto del multiculturalismo una delle caratteristiche più importanti del nostro tempo. E la Chiesa, specialmente nel raccogliere l’invito ad una nuova evangelizzazione mentre vive l’Anno della Fede, non può ignorare questo contesto del mondo attuale. Per questo, il Santo Padre ha scritto nel suo Messaggio per la Giornata Mondialedel Migrante e del Rifugiato dello scorso anno che “l’odierno fenomeno migratorio è anche un’opportunità provvidenziale per l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo”. E ha spiegato che “uomini e donne provenienti da varie regioni della terra, che non hanno ancora incontrato Gesù Cristo o lo conoscono soltanto in maniera parziale, chiedono di essere accolti in Paesi di antica tradizione cristiana. Nei loro confronti è necessario trovare adeguate modalità perché possano incontrare e conoscere Gesù Cristo e sperimentare il dono inestimabile della salvezza, che per tutti è sorgente di «vita in abbondanza» (cf Gv 10,10); gli stessi migranti hanno un ruolo prezioso a questo riguardo poiché possono a loro volta diventare «annunciatori della Parola di Dio e testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo»”[3].
I migranti, infatti, non sono solo destinatari, ma anche protagonisti dell’annuncio del Vangelo nel mondo moderno. Usando una metafora biblica, essi sono come il “lievito” che ha in sé la capacità di far fermentare tutta la “pasta”, cioè le culture delle società contemporanee. La partecipazione di tutti, attraverso il dialogo e lo scambio interculturale, può aprire nuovi scenari per tutta la società, nello spirito che anima tutti i pronunciamenti del Magistero della Chiesa.
Conclusione
25 anni fa, nel mese di settembre del 1987, il beato Giovanni Paolo II concludeva il suo viaggio apostolico negli Stati Uniti d’America, un Paese la cui storia e identità sono fortemente segnati dal fenomeno migratorio. Prima della partenza, all’aeroporto di Detroit, egli disse: “La vostra più grande bellezza e più ricca benedizione si trova nella persona umana: in ogni uomo, donna e bambino, in ogni immigrato, in ogni figlio e figlia nati qui. Per questo, (…) la vostra identità più profonda e più vera caratteristica come nazione si rivela nell’atteggiamento assunto nei confronti della persona umana. La prova definitiva della vostra grandezza è nel modo di trattare ogni essere umano, ma soprattutto quelli più deboli e indifesi”[4]. Credo che queste parole abbiano un’ampiezza che abbraccia non solo la nazione a cui sono state rivolte. Esse interpellano tutti coloro che si trovano faccia a faccia con le speranze e le gioie, le sofferenze e le difficoltà che la migrazione porta con sé.
Credo anche che queste parole siano la più bella parafrasi della Costituzione apostolica Exsul familia. Quel documento non è stato semplicemente espressione di un’urgenza di quell’epoca passata, ma è anche testimonianza della perenne verità che in ogni persona, in particolare nei più deboli e indifesi, la Chiesa continua a riconoscere il volto di Cristo, nostro Fratello e Salvatore.
Auguro abbondanti grazie di Dio su questo vostro incontro, perché porti buoni frutti a coloro che, sempre più numerosi, viaggiano sulle mille strade della migrazione.
[La terza parte è stata pubblicata sabato 1 dicembre]
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NOTE
[1] Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2012, in: L’Osservatore Romano, n. 247 del 26 ottobre 2011, p. 8.
[2] “Le risque existe de mettre l’accent sur la recherche de l’efficacité avec une sorte de «bureaucratisation de la pastorale», en se focalisant sur les structures, sur l’organisation et les programmes, qui peuvent devenir «autoréférentiels», à usage exclusif des membres de ces structures”: Benedetto XVI, Discorso ai Vescovi della Francia (primo gr
uppo) in occasione della loro Visita ad limina (21 settembre 2012), in: L’Osservatore Romano, n. 218 del 22 settembre 2012, p. 1.7-8.
[3] Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2012, in: L’Osservatore Romano, n. 247 del 26 ottobre 2011, p. 8.
[4] Giovanni Paolo II, Discorso alla cerimonia conclusiva (19 settembre, 1987), 2-3, in: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. X, 3, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1988, pp. 682-685.