Riprendiamo il testo integrale del discorso rivolto questa mattina, nella Sala del Concistoro del Palazzo Apostolico Vaticano, da Benedetto XVI ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio Cor Unum.
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Cari amici,
con affetto e con gioia vi do il mio benvenuto, in occasione dell’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio Cor Unum. Ringrazio il Presidente, Cardinale Robert Sarah, per le sue parole e rivolgo il mio saluto cordiale ad ognuno di voi, estendendolo idealmente a tutti quanti operano nel servizio della carità della Chiesa. Con il recente Motu proprio Intima Ecclesiae natura ho voluto ribadire il senso ecclesiale della vostra attività. La vostra testimonianza può aprire la porta della fede a tante persone che cercano l’amore di Cristo. Così, in quest’Anno della fede il tema «Carità, nuova etica e antropologia cristiana, che voi affrontate, riflette lo stringente nesso tra amore e verità, o, se si preferisce, tra fede e carità. Tutto l’ethos cristiano riceve infatti il suo senso dalla fede come “incontro” con l’amore di Cristo, che offre un nuovo orizzonte e imprime alla vita la direzione decisiva (cfr Enc. Deus caritas est, 1). L’amore cristiano trova fondamento e forma nella fede. Incontrando Dio e sperimentando il suo amore, impariamo «a non vivere più per noi stessi, ma per Lui, e con Lui per gli altri» (ibid., 33).
A partire da questo rapporto dinamico tra fede e carità, vorrei riflettere su un punto, che chiamerei la dimensione profetica che la fede instilla nella carità. L’adesione credente al Vangelo imprime infatti alla carità la sua forma tipicamente cristiana e ne costituisce il principio di discernimento. Il cristiano, in particolare chi opera negli organismi di carità, deve lasciarsi orientare dai principi della fede, mediante la quale noi aderiamo al «punto di vista di Dio», al suo progetto su di noi (cfr Enc. Caritas in veritate, 1). Questo nuovo sguardo sul mondo e sull’uomo offerto dalla fede fornisce anche il corretto criterio di valutazione delle espressioni di carità, nel contesto attuale.
In ogni epoca, quando l’uomo non ha cercato tale progetto, è stato vittima di tentazioni culturali che hanno finito col renderlo schiavo. Negli ultimi secoli, le ideologie che inneggiavano al culto della nazione, della razza, della classe sociale si sono rivelate vere e proprie idolatrie; e altrettanto si può dire del capitalismo selvaggio col suo culto del profitto, da cui sono conseguite crisi, disuguaglianze e miseria. Oggi si condivide sempre più un sentire comune circa l’inalienabile dignità di ogni essere umano e la reciproca e interdipendente responsabilità verso di esso; e ciò a vantaggio della vera civiltà, la civiltà dell’amore. D’altro canto, purtroppo, anche il nostro tempo conosce ombre che oscurano il progetto di Dio. Mi riferisco soprattutto ad una tragica riduzione antropologica che ripropone l’antico materialismo edonista, a cui si aggiunge però un “prometeismo tecnologico”. Dal connubio tra una visione materialistica dell’uomo e il grande sviluppo della tecnologia emerge un’antropologia nel suo fondo atea. Essa presuppone che l’uomo si riduca a funzioni autonome, la mente al cervello, la storia umana ad un destino di autorealizzazione. Tutto ciò prescindendo da Dio, dalla dimensione propriamente spirituale e dall’orizzonte ultraterreno. Nella prospettiva di un uomo privato della sua anima e dunque di una relazione personale con il Creatore, ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito, ogni esperimento risulta accettabile, ogni politica demografica consentita, ogni manipolazione legittimata. L’insidia più temibile di questa corrente di pensiero è di fatto l’assolutizzazione dell’uomo: l’uomo vuole essere ab-solutus, sciolto da ogni legame e da ogni costituzione naturale. Egli pretende di essere indipendente e pensa che nella sola affermazione di sé stia la sua felicità. «L’uomo contesta la propria natura … Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura» (Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2012). Si tratta di una radicale negazione della creaturalità e filialità dell’uomo, che finisce in una drammatica solitudine.
La fede e il sano discernimento cristiano ci inducono perciò a prestare un’attenzione profetica a questa problematica etica e alla mentalità che vi è sottesa. La giusta collaborazione con istanze internazionali nel campo dello sviluppo e della promozione umana non deve farci chiudere gli occhi di fronte a queste gravi ideologie, e i Pastori della Chiesa – la quale è «colonna e sostegno della verità» (2 Tm 3,15) – hanno il dovere di mettere in guardia da queste derive tanto i fedeli cattolici quanto ogni persona di buona volontà e di retta ragione. Si tratta infatti di una deriva negativa per l’uomo, anche se si traveste di buoni sentimenti all’insegna di un presunto progresso, o di presunti diritti, o di un presunto umanesimo. Di fronte a questa riduzione antropologica, quale compito spetta ad ogni cristiano, e in particolare a voi, impegnati in attività caritative, e dunque in rapporto diretto con tanti altri attori sociali? Certamente dobbiamo esercitare una vigilanza critica e, a volte, ricusare finanziamenti e collaborazioni che, direttamente o indirettamente, favoriscano azioni o progetti in contrasto con l’antropologia cristiana. Ma positivamente la Chiesa è sempre impegnata a promuovere l’uomo secondo il disegno di Dio, nella sua integrale dignità, nel rispetto della sua duplice dimensione verticale e orizzontale. A questo tende anche l’azione di sviluppo degli organismi ecclesiali. La visione cristiana dell’uomo infatti è un grande sì alla dignità della persona chiamata all’intima comunione con Dio, una comunione filiale, umile e fiduciosa. L’essere umano non è né individuo a sé stante né elemento anonimo nella collettività, bensì persona singolare e irripetibile, intrinsecamente ordinata alla relazione e alla socialità. Perciò la Chiesa ribadisce il suo grande sì alla dignità e bellezza del matrimonio come espressione di fedele e feconda alleanza tra uomo e donna, e il no a filosofie come quella del gender si motiva per il fatto che la reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore.
Cari amici, vi ringrazio per il vostro impegno a favore dell’uomo, nella fedeltà alla sua vera dignità. Di fronte a queste sfide epocali, noi sappiamo che la risposta è l’incontro con Cristo. In Lui l’uomo può realizzare pienamente il suo bene personale e il bene comune. Vi incoraggio a proseguire con animo lieto e generoso, mentre di cuore vi imparto la mia Apostolica Benedizione.
[© Copyright 2013 – Libreria Editrice Vaticana]