«Solo i coraggiosi sanno perdonare. Un vigliacco non perdona mai, non è nella sua natura».
Vigliacco certo non era padre Lazzaro Longobardi, il sacerdote redentorista ucciso a Sibari da uno dei tanti poveri, derelitti, ultimi, per aiutare i quali aveva votato l’intera esistenza. E come scrive lo scrittore Laurence Sterne, avrebbe perdonato anche il suo assassino, poiché ricco del coraggio della fede, che in vita gli aveva dato la forza di stare dalla parte dei deboli e degli emarginati, in silenzio ma con dignità, sfidando e vincendo le diffidenze anche di molti cattolici della domenica.
Ho conosciuto padre Longobardi, per essere stato suo vescovo nel periodo del mio ministero episcopale a Cassano. Per lui il Vangelo erano i giovani, gli emarginati, i derelitti, in particolare i migranti che nei campi della piana di Sibari vengono sfruttati come manodopera a basso costo. A loro apriva il cuore e la casa. Qualcuno, purtroppo, ne ha approfittato. Ma il sacerdote, anche di fronte alle minacce ricevute negli ultimi giorni, non s’è piegato. Ed a chi lo vessava ha dedicato l’ultimo gesto d’amore, tenendolo lontano dal carcere, convinto che la forza del dialogo e della Parola, come sempre, avrebbe alla fine avuto la meglio, perché il bene trionfa sul male. Però è stato ucciso.
Il suo esempio s’impone con forza nel tempo speciale che stiamo vivendo, la Quaresima, tempo di conversione. La Chiesa ci ricorda che «siamo in questo mondo ma non siamo di questo mondo». Ci invita a riprendere le forze per camminare ancora lungo le strade strette e polverose, per i sentieri tortuosi e impervi che portano alla Pasqua. Camminare, sovente, contro corrente. Morire per i poveri, per generosità, da sacerdote, persino in Calabria, che non è solo terra di ’ndrangheta, malaffare, scandali e cattiva politica, ma anche palcoscenico di storie di impegno solidale e generoso.
Quaresima vuol dire che sperare contro speranza è possibile se si è docili al soffio dello Spirito, che sussurra un nome, indica una via, infonde nuova energia. Vivere il Vangelo significa scontrarsi con chi incarna la violenza, lo sfruttamento, il male, il crimine. Non sempre è facile, come rammenta in ogni occasione papa Francesco, col suo invito ad essere e a diventare sempre più una Chiesa della strada che fa, opera, testimonia, continuando a tenere aperto con il cuore le porte. Per riuscirvi serve l’umiltà, soprattutto di ammettere una grande verità: tutto è dono, tutto è grazia.
Certo, impressiona – e non poco – la velocità con la quale si precipita verso gli abissi più profondi dell’anima umana, nel cui baratro si perdono le ragioni dello stare insieme e della stessa vita. È nel buio di quel vuoto che chi non perdona crede di essere il più forte. Nulla di più falso: è forte veramente chi, come Cristo sulla croce, alza le braccia e si lascia crocifiggere. «A volte – ricorda proprio papa Bergoglio – ci sembra che Dio non risponda al male, che rimanga in silenzio. In realtà Dio ha parlato, ha risposto, e la sua risposta è la Croce di Cristo: una Parola che è amore, misericordia, perdono».