La Calabria è una delle nostre Regioni dove l’emigrazione ha maggiormente decimato la popolazione, privando la terra d’origine di risorse umane preziose per la sua economia e per la sua cultura, ma dove cominciano anche a verificarsi gli sbarchi dei disperati provenienti dall’Africa, diretti ormai sempre più verso il Settentrione dopo che il fenomeno si era limitato a lungo alla Sicilia.
A questo riguardo, occorre rilevare in primo luogo l’atteggiamento di generosità e di accoglienza con cui le genti del Sud hanno fatto fronte ad una situazione non priva per loro di disagi: si può ben dire che tra i Meridionali ed i nuovi arrivati è scattata la solidarietà tra poveri, facilitata da una memoria più recente – rispetto a quella dei Settentrionali – della stessa prova.
Vi è stata una nobile gara a mettere a disposizione le strutture destinate ad ospitare i vivi, e tante famiglie hanno perfino offerto le loro tombe per dare una degna sepoltura ai morti.
Si diceva un tempo “cristiana sepoltura”: eppure i poveri corpi recuperati nel Mediterraneo erano il più delle volte cadaveri di “infedeli”.
Il tema dell’esilio e dell’emigrazione trova nella nostra religione infinite rispondenze, cui il Papa non mancherà di fare riferimento.
In primo luogo, nell’esperienza di Gesù Cristo, del Dio fattosi uomo per condividere fino alla morte la nostra stessa natura, non è mancata – insieme a quella della povertà e della sofferenza – la prova dell’esilio: la fuga in Egitto avvenne per sottrarsi alla persecuzione di Erode, e fu dunque ricerca di rifugio; oggi diremmo di asilo politico.
Fu però anche emigrazione in cerca di lavoro, che oggi si chiamerebbe economica.
Questa distinzione diventa d’altronde sempre più sottile e difficile: anche chi non ha da temere per la propria esistenza, non essendo schierato nei conflitti militari e politici, ma pur sempre cruenti, che sconvolgono tanti Paesi del mondo, si trova privo di lavoro per cause che non si possono qualificare “tout court” come economiche.
Occorre dunque rivedere anche le nostre legislazioni interne sulla concessione dell’asilo, ed ancor più occorre allargare le maglie del Diritto Internazionale in questa materia.
In attesa di queste riforme si continua però a morire nelle traversate dei deserti e dei mari.
Il Papa, davanti a questa realtà, ha ricordato quanto è scritto nella Bibbia sulla schiavitù degli Ebrei presso il Faraone (“Ricorda che anche tu fosti straniero in terra d’Egitto” è un ammonimento più che mai attuale per noi oggi) e sull’esilio di Babilonia.
Memore del recente viaggio in Terra Santa ha ricordato la diaspora degli Israeliti, che coinvolse gli Apostoli, portandoli ad annunziare il Vangelo in terre lontane.
Chissà se in questa occasione ha rievocato anche la vicenda della sua famiglia, con il padre giunto in Argentina dall’Italia, come milioni di nostri connazionali emigrati.
Ed anche l’ascendenza materna appartiene alla diaspora italiana: l’emigrazione seguì per tutte le Regioni d’Italia la perdita dell’indipendenza e la Repubblica di Genova fu il primo Antico Stato ad essere soppresso, fin dal Congresso di Vienna; per questo la prima ondata migratoria verso l’America Meridionale veniva dalla Liguria.
La migrazione fa parte della storia dell’America Latina, come abbiamo ricordato fin da quando ci capitò di commentare la prima predica del nuovo Papa, rivolta ai Cardinali dopo il Conclave nella Cappella Sistina: migrazione dall’Europa, migrazione interna verso la frontiera agricola, migrazione dalla campagna verso le città.
Oggi, però, se ne aggiunge un’altra, la più tragica e difficile: quella verso gli Stati Uniti.
La Repubblica Stellata del Nord non pratica verso chi viene dal Sud quella tolleranza e quella accoglienza che è propria della vecchia Europa, ed in particolare dell’Italia: il confine con il Messico è un grande cimitero di clandestini, ed i respingimenti – in condizioni disumane e umilianti – compongono una nuova epopea dei popoli latino americani.
Le cronache di questi giorni ci parlano dei bambini caricati dai genitori sui tetti dei treni merci, perché almeno i piccoli si sottraggano alla miseria: alcuni sono in così tenera età che portano il nome scritto sui vestiti, non potendo ancora dire come si chiamano.
Bergoglio porta con sé la testimonianza di questo bagaglio di sofferenze, e ci ricorda che abbiamo il dovere, in quanto cristiani, di farcene carico.
E se anche tacesse del tutto la voce della nostra coscienza, non è nel nostro interesse lasciare crescere lo squilibrio e l’ingiustizia che ha già compromesso la pace in tanti luoghi del mondo, così come domani potrà mettere in crisi il nostro benessere effimero ed egoista.
Nella diakonia dell’accoglienza è interpellata soprattutto la Chiesa, che anche in Calabria fa l’esperienza della dimensione cosmopolita attraverso preti di diverse regioni anche del mondo. Ecco perché, nell’incontrare i sacerdoti della Diocesi guidata da Mons. Galantino, che si lascia chiamare semplicemente “padre Nunzio”, Bergoglio ha detto: ” Desidero condividere con voi è la bellezza della fraternità: dell’essere preti insieme, del seguire il Signore non da soli, non uno a uno, ma insieme, pur nella grande varietà dei doni e delle personalità; anzi, proprio questo arricchisce il presbiterio, questa varietà di provenienze, di età, di talenti… E tutto vissuto nella comunione, nella fraternità.
E’ questo l’antidoto all’egoismo e alla chiusura delle frontiere del cuore!