Sta suscitando non poche polemiche, in Francia e non solo, il caso di Vincent Lambert, il 39enne francese rimasto tetraplegico e in stato di minima coscienza per sei mesi dopo un incidente stradale. Dopo un complesso iter giudiziario durato due anni, il Consiglio di Stato ha reso nota la sua decisione di interrompere l’alimentazione e l’idratazione all’uomo.
La vicenda – che già aveva diviso la Francia – è tornata quindi al centro di discussioni e preoccupazioni. La prima reazione è stata quella della Corte Europea dei diritti dell’uomo che, nella tarda serata di ieri, ha chiesto con urgenza il mantenimento in vita di Lambert. In una lettera indirizzata al Governo francese e trasmessa all’agenzia France Presse dagli avvocati dei genitori del paziente, la Corte ha poi chiesto alla Francia di non procedere “momentaneamente” alla sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione per dare tempo alla Corte di esaminare il caso.
Anche la Conferenza Episcopale si è espressa sul caso, pubblicando sul suo sito ufficiale le riflessioni di padre Brice de Malherbe, specialista in questioni di bioetica della diocesi di Parigi. Secondo il religioso: “Le persone in stato vegetativo o in stato di minima coscienza sono persone certamente con gravi disabilità e totalmente dipendenti, ma non con una particolare malattia progressiva o terminale”. Esse “richiedono un trattamento specifico che non rientra nelle cure palliative”.
Constatando che il paziente sia affetto “da lesioni cerebrali serie e irreversibili”, i giudici hanno preso in considerazione anche il fatto che Vincent Lambert prima dell’incidente avesse “chiaramente e più volte espresso il desiderio di non essere artificialmente mantenuto in vita, in caso si fosse trovato in uno stato di grande dipendenza”. Tuttavia – precisa padre de Malherbe – non si possono classificare l’alimentazione e l’idratazione per via artificiale nella categoria dei “trattamenti”, in quanto “esse rispondono a un bisogno fondamentale di ogni essere umano senza mirare a effetti terapeutici.
Sulla vicenda appare divisa anche la famiglia dell’uomo. Da una parte, c’è la moglie Rachel Lambert che già lo scorso 28 gennaio si era rivolta al Consiglio di Stato e, insieme ai cognati, si è dichiarata favorevole da subito ad una interruzione dell’alimentazione. Dall’altra, ci sono i genitori di Vincent che lottano per il mantenimento dell’alimentazione per il proprio figlio.
Allarmate anche le associazioni delle famiglie dei traumatizzati cranici e cerebrolesi per il fatto che il caso Lambert possa avere conseguenze sul destino dei 1.700 pazienti in Francia nelle sue stesse condizioni. Il presidente dell’organizzazione, Emeric Guillermou – riferisce infatti L’Osservatore romano – ha voluto precisare che “le persone in stato vegetativo cronico non sono in fin di vita. Sono persone con grandi handicap, in situazione di dipendenza estrema, privi dei mezzi convenzionali di comunicazione”. Riguardo quindi all’alimentazione e all’idratazione artificiali, “il livello di coscienza non può da solo motivare la messa in atto di una procedura di arresto di trattamento”.
Dall’Italia giunge puntuale, poi, il commento di Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, presidente e copresidente nazionali di Scienza & Vita. “Non è accettabile che sia un giudice a decidere della vita e della morte di un uomo – sottolineano i vertici dell’associazione in un comunicato – non è accettabile che l’amore di chi assiste sia bollato come ‘ostinazione irragionevole’, non è accettabile che sia la cultura dello scarto a dominare il sentire comune. Per tutte queste ragioni sosteniamo il diritto di Vincent Lambert a vivere”.
“La sentenza del Consiglio di Stato francese – proseguono – segna un punto di svolta intollerabile sul piano della difesa dei diritti umani, che apre a una deriva nichilista di proporzioni incalcolabile. Chi deciderà quali vite sono degne di essere vissute? L’amore di una famiglia conta meno di un decreto del tribunale?”. Nel caso Lambert, poi, “lo strazio è ancora più grande, perché oppone la moglie ai genitori in una drammatica competizione sulla sopravvivenza di un uomo”, osservano Coviello e Ricci Sindoni.
Ben venga, allora, la decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo “che lascia il tempo alla riflessione e alla speranza, nella consapevolezza che lo Stato ha l’obbligo di tutelare i propri cittadini più fragili”, si legge nella nota. “L’alimentazione e l’idratazione di una persona che non può farlo in modo autonomo non è mai terapia, ma sostegno vitale e questo deve rimanere un caposaldo di ogni normativa in discussione”, concludono presidente e copresidente di Scienza & Vita.