Il recupero del senso etico: un urgenza improrogabile
L’impegno socio-politico può essere contributo efficace per la costruzione di un mondo nuovo e di un uomo nuovo, solo recuperando il senso etico nel pensare e nell’agire. Un senso etico che è stato fortemente minato da un lato da un irrazionale laicismo che confonde l’etica con la religione e dall’altro dalla c.d. dittatura del relativismo etico che nega la capacità dell’uomo di conoscere la verità, che non riconosce nulla come definitivo e che lascia pertanto come ultima criterio di giudizio solo il proprio io e le sue voglie. Questa cultura conduce alla teorizzazione e difesa del pluralismo etico che a sua volta sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale naturale.
L’esperienza di fede è forza morale
A partire da questi presupposti culturali si è predicata la separatezza tra etica e politica, la distinzione e separazione tra etica privata ed etica pubblica, quasi che questa non sia ineluttabilmente e inesorabilmente il riflesso pubblico della prima, e si è così caduti nell’illusione del c.d. miracolo delle istituzioni. Si tratta di un’illusione perché non ci sono norme giuridiche, strutture che tengano, e neppure codici deontologici particolarmente raffinati e rigorosi che possano salvare la politica, se non sono fondati su un sentire etico radicato e alto. Il pensatore personalista Edouard Mounier, già nel 1935 scriveva così:“Dopo aver atteso i miracoli dell’uomo nuovo da una libertà istintiva e anarchica, ora che li aspettiamo da un congegno politico-sociale ritenuto quasi un immenso distributore automatico di giustizia e d’ordine. Ma si aspetta sempre. Non credo al miracolo delle istituzioni e cioè all’idea che le istituzioni fanno l’uomo nuovo. […] Non ci stancheremo di dire, per evitare riflussi d’illusione, che non crediamo dal canto nostro, al miracolo delle istituzioni. […] Non sono le istituzioni che fanno l’uomo nuovo, bensì un lavoro personale e insostituibile dell’uomo su se stesso. Le istituzioni possono facilitargli il compimento, ma non sostituirsi al suo sforzo”. Quanto sono attuali queste affermazioni. Oggi si parla continuamente di riforma dei partiti, di riforma della legge elettorale, di riforme costituzionali, ma, domandiamoci, si parla con altrettanta insistenza di un lavoro personale che deve compiere su se stesso la persona impegnata politicamente e socialmente per vivere eticamente il suo pensare e l’agire? In merito a ciò e in riferimento ai cattolici impegnati nella sfera socio-politica Benedetto XVI ha affermato: “Va bene l’impegno dei cattolici in politica, ma il presupposto fondamentale dev’essere la solidità della loro fede. A volte ci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica o nell’economia risultasse più incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte”. Per evitare allora le degenerazioni che abbiamo conosciuto e a cui purtroppo assistiamo tutt’ora, non solo nel corpo politico ma anche in altri ambiti di potere e della classe dirigente, è necessario e urgente un forte impegno personale dei politici per maturare una sempre maggiore coscienza etica illuminata e forgiata dalla fede, che diventa forza morale nel pensare e nell’agire.
Va altresì evidenziato che la storia del XX secolo basta a dimostrare la falsità della tesi relativista secondo la quale non esiste una norma morale, radicata nella natura stessa dell’essere umano, al cui giudizio si deve sottoporre ogni concezione dell’uomo, del bene comune e dello Stato. E qui non facciamo riferimento ai “valori confessionali”, poiché le esigenze etiche sono radicate nell’essere umano e appartengono alla legge morale naturale. Pertanto la giusta autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica non riguarda l’autonomia da quella morale[1].
La virtù della fede: scuola “speciale” per una vera etica
Illuminante a tale proposito è la testimonianza di fede di S. Tommaso Moro, proclamato Patrono dei Governanti e dei Politici, il quale seppe testimoniare fino al martirio la “dignità inalienabile della coscienza”. Pur sottoposto a varie forme di pressione psicologica, rifiutò ogni compromesso, e senza abbandonare “la costante fedeltà all’autorità e alle istituzioni legittime” che lo distinse, affermò con la sua vita e con la sua morte che “l’uomo non si può separare da Dio, né la politica dalla morale”. Questa fede, che è la porta verso la verità, Cristo Gesù, costruisce l’uomo nuovo e quindi un mondo nuovo, perché, come afferma l’evangelista Giovanni nella sua 1° lettera, “questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5, 4). La fede sincera ci rende strumenti docili nelle mani di Dio, il quale anche attraverso di noi compie la Sua opera, e cioè “fa nuove tutte le cose”.
Conclusione
È vero, la storia si manifesta come un intreccio di contraddizioni e un giuoco scandaloso tra centri di potere nel quale il bene sembra soccombere. Ma la storia è animata segretamente da una logica misteriosa: la logica del Regno di Dio. Gesù, il Signore della storia, pazientemente, ma inesorabilmente agisce, opera e il credente è invitato a schierarsi dalla sua parte per realizzare la giustizia, con la consapevolezza che “dove abbonda il peccato, sovrabbonda la grazia” (Rm 5, 20).
(Stralcio tratto dalla Conferenza all’”Associazione Culturale Aldo Moro” di Loreto, tenuta il 19 maggio 2012 a Loreto (AN) dal titolo La misura alta della politica: il servizio).
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NOTE
[1] Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, nn. 2-5.