Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata dal patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, durante la Solenne Eucaristia del giorno di Natale, celebrata la mattina di martedì 25 dicembre alle ore 10.30 nella Basilica di San Marco.
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“Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo… Venne tra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv. 1, 9. 11-12). Inizio da questi versetti del prologo del vangelo secondo Giovanni perché in essi si pone in evidenza come il Natale ci consegni una “storia salvata”. Questo è il grande annuncio della notte santa!
Ma in che modo Dio salva la storia? A Natale, con la sua azione onnipotente, Dio segna un nuovo inizio: una novità assoluta. Tale novità assoluta, sul versante umano, viene affidata ad una donna: vorrei soffermarmi proprio su questo punto. Gli inizi della salvezza sono affidati a una donna ed è necessario – in una società maschilista come la nostra – riflettere su questo fatto. Sì, è il grembo verginale di una donna a segnare l’inizio della salvezza.
La cultura che pone l’uomo-maschio al centro di tutto ha così pervaso la nostra società che è riuscita a far credere, a non poche donne, che l’unico modo per “realizzarsi” consiste nell’assomigliare all’uomo, nel copiare l’uomo, assumendone gli stili, i comportamenti, la gestualità, i linguaggi e passando sotto silenzio ciò che caratterizza lo specifico del genio femminile, compresa la maternità. E, infatti, dare e custodire la vita sembra essere diventato oggi, nell’evoluto Occidente, un problema.
Il fatto che il nostro Occidente post-moderno, secolarizzato e scristianizzato sia giunto all’inverno demografico ha, ovviamente, molti motivi. Uno – e non l’ultimo – è proprio questo. A ben vedere la nostra società è percorsa da un sempre più esasperato spirito di competizione fra le persone e conseguentemente da un’aggressività diffusa che sfocia in atti di violenza, come confermano – anche drammaticamente – i recenti e non rari fatti di cronaca.
Se la nostra società desse maggior spazio alla donna, alla sua specificità, alla sua capacità d’accogliere e custodire la vita, allora ci si muoverebbe su logiche, prospettive e idealità più accoglienti, meno conflittuali e più a misura d’uomo.
Giovanni Paolo II – nella Mulieris dignitatem – parla di “genio” della donna, di “genio” femminile (cfr. nn. 30 e 31). Se la convivenza sociale a tutti i livelli, anche istituzionali, si lasciasse plasmare di più dal genio femminile, allora si avrebbe maggiore equilibrio a livello personale ma, anche, sociale e si darebbe una convivenza più armonica e serena.
Ancora Giovanni Paolo II – nella Lettera alle donne – scriveva: “Auspico dunque, carissime sorelle, che si rifletta con particolare attenzione sul tema del «genio della donna», non solo per riconoscervi i tratti di un preciso disegno di Dio che va accolto e onorato, ma anche per fare ad esso più spazio nell’insieme della vita sociale, nonché di quella ecclesiale” (Lettera del Papa Giovanni Paolo II alle donne, n.10).
Non può non allarmare il crescente ripetersi di atti di violenza contro le donne che caratterizza la nostra società e soprattutto il frequente ricorrere di fatti di sangue che hanno per vittime proprio le donne.
A Natale il dono di Dio è Gesù, ma tale dono non ci sarebbe se non ci fosse Maria di Nazareth: una donna – la madre – che depone il suo bambino su un poco di paglia e lo adora. Il bimbo che nasce a Betlemme è, per eccellenza, il dono che Dio fa agli uomini di ogni tempo e non è, in alcun modo, esito di volontà puramente umana.
Così, nella notte santa, si manifesta in pienezza l’iniziativa di Dio. Il bambino di Betlemme è l’unigenito Figlio che, dall’eternità, è generato dal Padre. Ciò chiede, però, che l’iniziativa di Dio sia rivelata in modo inequivocabile ed ecco allora che, a Natale, si compie l’annuncio del profeta Isaia: “La vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele ” (Is. 7, 14).
La verginità feconda di Maria non appartiene ad una teologia datata e relegabile nell’ambito della devozione popolare né esprime paura nei confronti della sessualità umana. Al contrario, la verginità feconda di Maria manifesta eloquentemente la divinità del bimbo che – essendo il Figlio eterno dell’eterno Padre – mai, sulla terra, avrebbe potuto rivolgersi ad un uomo chiamandolo padre in senso vero e proprio. La verginità di Maria esprime, in modo chiaro, la divinità del figlio.
A Natale siamo posti dinanzi a un nuovo inizio, a qualcosa che per noi – con le nostre sole forze umane – sarebbe stato non solo precluso ma, addirittura, inimmaginabile. La conversazione fra Maria e l’angelo esprime tutto questo: “Come avverrà questo – chiede la Vergine –, poiché non conosco uomo?” (Lc 1, 34). E l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio… nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 35.37).
Il Natale ci consegna una storia salvata. Con un’immagine possiamo dire: a Natale s’accende una luce. Natale è questo dono gratuito che, dopo Maria e Giuseppe, chiede d’esser accolto da ogni uomo di buona volontà.
E Maria – in quanto donna, madre e vergine – è l’inizio “improbabile” ma realissimo di questa novità assoluta e della storia salvata. Nulla è impossibile a Dio!