Una mamma che dialoga con il suo bambino, che canta a lui la ninna nanna assumendo anche quel tono ‘piccolino’, al limite del ridicolo ma intriso di affetto. È così il Dio di cui parla Papa Francesco nella Messa a Santa Marta di oggi.
Un Dio che “è papà, più ancora è madre”, come disse Giovanni Paolo I nell’Angelus del 10 settembre 1978. E come Luciani amava parlare della ‘maternità’ di Dio, anche a Bergoglio piace ricorrere a questa suggestiva immagine, per scansare la falsa idea di un Dio punitivo e dittatore.
Anzi – ha sottolineato il Papa nella sua omelia, prendendo spunto da un passo di Isaia – “è tanta la vicinanza” di Dio all’uomo, che Egli “si presenta come una mamma che dialoga con il suo bambino”, una mamma che “si fa piccola come il bambino e parla con il tono del bambino al punto di fare il ridicolo: ‘Non temere, vermiciattolo di Giacobbe’”. E quante volte – ha aggiunto il Santo Padre – “una mamma dice queste cose al bambino mentre lo carezza, eh?”; “Dio fa così. È la tenerezza di Dio. È tanto vicino a noi che si esprime con questa tenerezza: la tenerezza di una mamma”.
Come una madre, inoltre, il Signore “ci ama gratuitamente”, e con la stessa gratuità il bambino “si lascia amare”. Non sempre però noi accogliamo questa grazia con la stessa libertà, anzi – ha evidenziato Francesco – “tante volte, per essere sicuri, vogliamo controllare la grazia”. “Nella storia e anche nella nostra vita abbiamo la tentazione di mercificare la grazia”, ha aggiunto, renderla cioè “come una merce o una cosa controllabile”, magari raccontando a noi stessi: “Ma, io ho tanta grazia… Ho l’anima pulita, sono in grazia”.
Così facendo la “verità tanto bella” della vicinanza di Dio viene drasticamente sminuita, viene “tradita” e scivola – ha detto il Papa – in una sorta di “contabilità spirituale”, del tipo: “No, io faccio questo perché questo mi darà 300 giorni di grazia… Io faccio quell’altro perché questo mi darà questo, e così accumulo grazia”.
“Ma cos’è la grazia? Una merce?”, ha domandato Bergoglio; certo “sembra di sì” con questo nostro atteggiamento “egoista”. Lo stesso atteggiamento dei Farisei del tempo di Gesù, schiavizzati dalla mole di leggi che caricavano “sulle spalle del popolo”. Ma anche dei Sadducei, con i loro compromessi politici; degli Esseni, “buoni, buonissimi”, ma che “avevano tanta paura, non rischiavano” e si isolavano nei loro monasteri; e degli Zeloti, per i quali la grazia di Dio era “la guerra di liberazione”.
Nessuno di questi aveva centrato il punto, perché “la grazia di Dio è un’altra cosa”, ha ribadito il Santo Padre, “è vicinanza, è tenerezza”. E “se tu nel tuo rapporto con il Signore non senti che Lui ti ama con tenerezza, ancora ti manca qualcosa, ancora non hai capito cos’è la grazia, ancora non hai ricevuto la grazia che è questa vicinanza”.
A tal proposito, Francesco fa l’esempio di una donna che, in una confessione di tanti anni fa, “si macerava” sulla validità o meno – come osservanza del precetto – di una Messa frequentata di sabato sera per un matrimonio, con letture diverse da quelle della domenica. “Ma, signora – rispose l’allora mons. Bergoglio – il Signore la ama tanto a lei. Lei è andata lì, ha ricevuto la Comunione, è stata con Gesù … Sì, ma stai tranquilla, il Signore non è un commerciante, il Signore ama, è vicino”:
San Paolo era totalmente contrario a questa “spiritualità della legge”: “Io sono giusto se faccio questo, questo, questo. Se non faccio questo non sono giusto”. “Ma tu sei giusto perché Dio ti si è avvicinato, perché Dio ti carezza, perché Dio ti dice queste cose belle con tenerezza”, ha affermato il Pontefice.
E “se noi avessimo il coraggio di aprire il nostro cuore a questa tenerezza di Dio, quanta libertà spirituale avremmo! Quanta!”. Intanto, ha concluso il Papa, un aiuto può essere aprire oggi, a casa, la Bibbia e leggere il capitolo 41 di Isaia, al versetto 13 al 20. “Leggetelo”, ha suggerito Francesco, per assaporare un po’ “questa tenerezza di Dio, che ci canta a ognuno di noi la ninna nanna, come una mamma”.