Proprio nei giorni in cui l’Europarlamento è chiamato a votare due Risoluzioni che auspicano entrambe “un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto”, giunge da Oltreoceano uno studio che fuga un sempreverde luogo comune sul tema dell’interruzione di gravidanza.

L’istituto di ricerca biomedica Melisa Institute, prendendo in esame i trentadue Stati che compongono il Messico, ha dimostrato che laddove vigono legislazioni più restrittive in materia di aborto, si registra un tasso di mortalità materna inferiore ai Paesi o alle regioni con leggi permissive.

I trentadue Stati messicani possiedono legislazioni tutt’altro che omogenee in materia, è questo il motivo che ha spinto i ricercatori a scegliere il Paese centro-americano quale prototipo idoneo per ottenere risultati reali.

“Il Messico offre uno scenario epidemiologico unico per valutare se le leggi più o meno permissive sull’aborto influenzano la mortalità materna in una popolazione che condivide la stessa storia e la cultura e che presenta un sistema uniforme di salute”, si legge nello studio come riportato dal notiziario MatchmanNews.

In un periodo di quasi dieci anni (2002-2010), lo studio ha confrontato l’indicatore di salute materna dei 18 Stati dotati di leggi sull’aborto più restrittive con quello dei 14 Stati con leggi più permissive. I risultati che ne derivano sorprendono chi ancora si fa interprete delle argomentazioni d’antan dei sostenitori dell’aborto libero. Si registra infatti che dove la legge sull’aborto è più restrittiva, il tasso di mortalità materna è inferiore del 23% rispetto agli Stati più permissivi sul tema.

Monique Chireau, ostetrica, ginecologa ed epidemiologa presso l’Università di Duke, osserva che “la diversità di legislazione sull'aborto e la disponibilità online di statistiche complete in ogni Stato messicano, ha consentito un esperimento naturale unico per valutare se le popolazioni esposte a meno permissive legislazioni sull'aborto presentano una maggiore mortalità materna”.

Un altro esperto del settore, il ginecologo John Thorp dell’Università della North Carolina, ha affermato che i risultati non sono del tutto inaspettati. Egli ha citato un analogo esperimento naturale effettuato in Cile, dal quale emerge che la mortalità materna nel Paese è diminuita dopo la legge varata nel 1989, la quale vieta l’aborto. Tra il 1979 e il 1989 il tasso di mortalità materna si è abbassato da 23,4 a 10,8 morti materne su 100mila nati. Dopo il 1989, le morti sono diminuite ancora, passando da 10,8 a 0,39 ogni 100mila nati.

I ricercatori del Melisa Institute hanno altresì rilevato che non basta una legislazione più restrittiva per frenare gli aborti e tutelare la salute delle donne. Sono state esaminate altra dieci variabili che spiegano le differenze nella mortalità emerse dallo studio: si va dal livello d’istruzione ai programmi nutrizionali gratuiti per le donne povere incinte, passando per le unità di emergenza ostetriche e per il livello di violenza sulle donne presente nella società. Anche quest’ultimo fattore, del resto, ha un impatto sulla mortalità materna, chiosa Elard Koch, epidemiologo e principale autore della ricerca.

“La povertà, la malnutrizione e l`esposizione a malattie infettive nelle donne nel corso della loro vita riproduttiva aumentano il rischio di morte materna”, la riflessione Sebastián Haddad, medico e ricercatore all`Università messicana di Anáhuac. Tesi che trova conferma nella capitale Città del Messico, il cui Stato dal 2007 è uno dei più permissivi in tema di aborto e, allo stesso tempo, presenta il tasso più alto di mortalità materna nel Paese.