Lettura

L’ultima parte del quarto capitolo del Vangelo di Giovanni narra la guarigione del figlio di un funzionario regio. Non si conosce il nome del funzionario, che presumibilmente era alle dipendenze di Erode Antipa, tetrarca della Galilea. Si tratta del secondo segno compiuto «a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino». Il miracolo avviene a distanza, in quanto Gesù si trova a Cana mentre il ragazzo affetto dalla febbre si trova a Cafàrnao, che dista da Cana trenta chilometri circa. I servi che constatano la guarigione precisano anche quando questa è avvenuta: «un’ora dopo mezzogiorno».

Meditazione

«Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza». La profezia di Isaìa trova, sì, un avveramento nella guarigione del figlio del funzionario regio operata da Cristo, ma è smentita tutte quelle volte in cui i bambini sono toccati da una malattia, da una violenza o dalla morte. Alle domande di senso che simili tragedie suscitano, dobbiamo riconoscere con onestà che non abbiamo risposte pienamente risolutive. La sofferenza dell’innocente resta uno scandalo per la fede, ossia un ostacolo, una pietra d’inciampo, come dice l’etimologia della parola, come è uno scandalo la croce di Cristo. «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Il funzionario regio, certissimo della disponibilità di Cristo e dei suoi poteri terapeutici, è presentato come modello del credente. La fede è affidamento a colui che crea «nuovi cieli e nuova terra», che fa risalire dagli inferi, che può mutare il lamento in danza. La vera fede non si fonda su «segni e prodigi»: piuttosto rende capaci di vederli e di compierli. La vera fede è mettersi in cammino, come il funzionario della parabola, custodendo nel cuore quella promessa di Cristo, anzi quella speranza piena di certezza: «Va’, tuo figlio vive». La vera fede fa essere certi che, se «alla sera è ospite il pianto, al mattino ecco la gioia», e rende capaci di dire sempre e in ogni circostanza: «Signore mio Dio, ti renderò grazie per sempre». E questo non tanto perché le circostanze della vita vanno secondo i nostri progetti, ma perché sappiamo che ogni circostanza della nostra vita è abitata da Dio e che la risurrezione di Cristo ci ha aperto un nuovo orizzonte, che rende leggero «il peso della nostra tribolazione» (2Cor 4,17).

Preghiera

Signore, io credo in te, ma spesso rischio di vivere il passato senza accorgermi che la vera gioia sta nel presente che tu mi prepari. Ti chiedo con ardente speranza, o Padre, di mutare ogni dolore del mio passato in una nuova e rinnovata sorgente di vita, perché io possa rimettermi in cammino.

Agire

Chiedo aiuto al Signore perché liberi il mio cuore dalle tombe del passato, per vivere in pienezza le meraviglie di un presente sempre vivo.

Meditazione a cura di mons. Andrea Bruno Mazzocato, arcivescovo di Udine, tratta dal mensile “Messa Meditazione”, per gentile concessione di Edizioni ART. Per abbonamenti info@edizioniart.it