Il 24 dicembre è stato pubblicato sul Corriere della Sera un articolo a firma di Vittorio Messori intitolato I dubbi sulla svolta di Papa Francesco.
In tale articolo il noto scrittore cattolico propone “una riflessione personale”, anzi “una sorta di confessione”, in merito alla “imprevedibilità” di papa Francesco, destinata a turbare “la tranquillità del cattolico medio” con una serie di scelte che potrebbero anche apparire contraddittorie.
Messori elenca alcuni aspetti del pontificato di Bergoglio che, a suo dire, potrebbero generare perplessità, per poi concludere, con l’umiltà propria del credente, che “capo unico e vero della Chiesa è quel Cristo onnipotente e onnisciente che sa meglio di noi quale sia la scelta migliore quanto al suo temporaneo rappresentante terreno”: e questo spiega perché, nella prospettiva millenaria della storia, “ogni Papa ha interpretato la sua parte idonea e, alla fine, rivelatasi necessaria”.
L’articolo pubblicato dal quotidiano milanese è un occasione per comprendere al meglio il pontificato di papa Francesco.
Il primo elemento di riflessione riguarda il ruolo storico di Papa Francesco. Nel mondo che siamo soliti definire “avanzato”, gli scenari di schiavitù, guerra, mercificazione, sfruttamento selvaggio e negazione della dignità dell’uomo sono più che mai presenti. E di fronte a tutto ciò, che cosa fanno i grandi della terra? Ogni tanto tengono un summit dal quale esce un documento tiepido, all’insegna della realpolitik, che si conclude regolarmente con un nulla di fatto.
Soltanto un uomo, dal balcone di piazza San Pietro e nei più importanti consessi internazionali, osa lanciare un grido per ridestare le coscienze, osa parlare di “globalizzazione dell’indifferenza” mettendo sotto accusa i perversi meccanismi del potere. Quell’uomo è papa Francesco. In piena coerenza con l’insegnamento di Gesù nei Vangeli.
Papa Francesco nell’intervista rilasciata a Eugenio Scalfari ha spiegato: “Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua incarnazione”.
Questo concetto rappresenta forse una negazione della Chiesa come “corpo mistico di Cristo”? Assolutamente no. La Chiesa conserva il suo carattere di universalità ma papa Francesco è, al tempo stesso, consapevole che le grandi religioni del mondo hanno un fondamento comune. Basti pensare che il Cristianesimo, l’Ebraismo e l’Islam vengono definite “religioni abramitiche” perché vedono in Abramo un padre comune della fede.
È appena il caso di ricordare che, nel “Discorso della Montagna”, Gesù non spezza la linea di continuità con Abramo, ma afferma: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire, ma per dare compimento” (Mt 5,17).
Illuminante, a questo proposito, la lettura del recente volume di padre Antonio Spadaro Oltre il muro. Dialogo tra un musulmano, un rabbino e un cristiano (Rizzoli, 2014), che reca in copertina una frase emblematica di papa Francesco: “Serve il coraggio del dialogo. Costruire la pace è difficile ma vivere senza pace è un tormento”.
Messori sostiene che c’è una contraddizione tra papa Francesco che respinge il proselitismo come strumento di diffusione della fede cattolica e la situazione dell’America Latina dove si assiste ad un travaso di cattolici verso il protestantesimo pentecostale.
Anche in questo caso però il Pontefice argentino ha spiegato che: “La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione testimoniale”. Il significato è evidente: la fede non è un “prodotto” che si vende con le tecniche del marketing. E il Papa non è un “contabile” che tiene conto del numero dei fedeli.
Come non ricordare la stupenda scena narrata dal Vangelo quando Gesù, pressato dalla folla, chiede: “Chi mi ha toccato il mantello?”. Gesù non si preoccupa del clamore che lo circonda, ma di quell’anima individuale che si rivolge a lui in cerca d’aiuto.
Ciò premesso, occorre osservare che la personalità e lo stile pontificale di papa Francesco stanno esercitando una tale attrazione che, in tutto il mondo, si registra un significativo recupero di consensi nei confronti della fede cattolica.
È “populismo” questo?, si domanda Messori. Da parte nostra ci limitiamo ad osservare che, nel linguaggio laico, ci sarà sempre una parola, un termine, una definizione, per tentare di ledere con corrosiva ironia le cose più belle. È anche questo un sintomo del “mal di vivere” contemporaneo, contro cui Francesco ha lanciato la sua sfida.
Messori si sofferma sull’impegno comunicativo della Chiesa, definendo “terribile” la responsabilità di chi debba oggi “annunciare il Vangelo”, mostrando che “il Cristo non è un fantasma sbiadito e remoto ma il volto umano del Dio creatore”.
A questo proposito, ci torna in mente un convegno tenutosi a Roma presso la Comunità di Sant’Egidio, in occasione della Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2014. Ricordiamo, in particolare, le parole della giornalista Elisabetta Piqué, che conosce Bergoglio da molti anni: “Papa Francesco non ha una media strategy, in lui non c’è nulla di studiato, ma, in un mondo privo di leader autentici, la gente lo ama proprio per questo”.
Crediamo che queste parole costituiscano anch’esse una efficace risposta alle apparenti “contraddizioni” di Bergoglio: un sacerdote serio, umile, rigoroso e, al tempo stesso, animato dal Vangelo del sorriso, dalla passione di stare con la gente. Un Pontefice della Chiesa universale che non ha perso la vocazione del “prete di strada”.
“È necessario andare fuori – affermava l’arcivescovo Bergoglio nell’anno 2000 – e parlare alla gente affacciata ai balconi. Dobbiamo uscire dal nostro guscio e dire che Gesù vive, e affermarlo con gioia, anche se a volte sembra un po’ folle”. È il programma che oggi sta attuando come Pontefice, con il nome di Francesco.