Messiaen non si accontentò di comporre l’opera ma si adoperò per suonarla e farla ascoltare alle migliaia di prigionieri che rischiavano di perdere la dignità di persone. Il compositore e musicista francese capì che doveva alimentare la pur debole e fioca luce di speranza. Sapeva che la sofferenza stava imbarbarendo gli animi.
Sapeva che il peggiore dei mali, la disperazione, stava penetrando nei cuori delle persone. Si mise in cerca nel campo di concentramento e trovò quattro strumenti, un violoncello con una corda mancante, un violino mal ridotto, un vecchio clarinetto ed un pianoforte a cui mancavano alcune note e che aveva i tasti che non sempre tornavano su.
Il deportato Messiaen ha raccontato: “Il Quartetto è stato composto per i musicisti e gli strumenti che avevo, per così dire, sotto mano. (…) Avevo bisogno di pensare alla musica, di farla, per sentirmi vivo. Sono partito da un’immagine molto amata, quella dell’Angelo, che annuncia la fine del Tempo. L’Abisso è il tempo, con le sue tristezze, con le sue stanchezze. Gli uccelli sono il contrario del tempo, sono il nostro desiderio di luce, di stelle, di arcobaleni, di vocalizzi giubilanti. Una raccomandazione ai musicisti: non temete tutto ciò che rende un’interpretazione viva, sensibile. Suonate pieni di fantasia”. Fu così che in quel giorno gelido di gennaio, di fronte a quattrocento prigionieri, fu eseguito, per la prima volta il Quartetto per la fine dei tempi.
Racconta ancora Messiaen: “il freddo era atroce, lo stalag sepolto dalla neve, i quattro esecutori suonavano su strumenti danneggiati. (…) Ma mai ho avuto un pubblico che ascoltasse con una tale estatica attenzione e comprensione”.
Ha commentato Ken Costa, presidente della Banca d’affari Lazard International, nel libro Al lavoro con Dio (Edizioni Messaggero, Padova): “Quegli strumenti danneggiati in quella insolita combinazione furono inattesi agenti di speranza. Similmente, sebbene possiamo sentirci inadeguati e incompleti fisicamente o spiritualmente, quando agiamo insieme, Dio ci usa per essere agenti di speranza nel mondo”.
Finita la guerra, Messiaen è tornato a svolgere il suo lavoro di compositore e musicista, raggiungendo livelli eccelsi. Poco dopo la sua liberazione ottenne l’incarico di professore di armonia al conservatorio di Parigi, a cui si aggiunse nel 1966 quello di professore di composizione, posti che mantenne fino al proprio pensionamento nel 1978. Fu maestro di musicisti che hanno scritto la storia musicale del Novecento come Pierre Boulez, Yvonne Loriod, Karlheinz Stockhausen, Iannis Xenakis e George Benjamin.
Fu un grande innovatore, pioniere nell’uso di nuove formazioni strumentali. Ha introdotto nella musica europea il suono dell’orchestra gamelan indonesiana. Fu anche attivo promotore dell’uso delle Onde martenot, particolare strumento elettronico di cui la sua nuora, Jeanne Loriod, fu virtuosa divulgatrice. Messiaen era inoltre particolarmente affascinato dal canto degli uccelli, che considerava come i più grandi musicisti sulla terra.
Nel corso dei numerosi viaggi in giro per il mondo, ebbe modo di ascoltare e registrare il canto di numerosi uccelli, realizzando delle trascrizioni per pianoforte ma anche per orchestra, tra cui la più celebre è il Catalogue d’oiseaux (Catalogo d’uccelli), composta tra il 1956 e il 1958. Alcune trascrizioni vennero inserite nelle sue opere più famose, come nella Sinfonia Turangalîla e nel San Francesco d’Assisi.
È opinione consolidata che per l’uso innovativo di ritmo, melodia e armonia, la sua personale concezione delle relazioni tra tempo, musica e colore, la passione per il canto degli uccelli e la sua sincera e profonda ispirazione religiosa, nonché il suo ruolo di didatta, hanno contribuito a fare di Messiaen uno dei più grandi ed influenti compositori del XX secolo.
Ma non bastano le doti di creatività e di tecnica per compiere un gesto miracoloso come quello dell’organizzazione di un concerto in un campo di concentramento.
Dove ha trovato Messiaen il coraggio, l’entusiasmo, la bontà d’animo, l’ottimismo per compiere un azione così eroica? La risposta la fornì lui stesso nel 1978 quando scrisse: “Le ricerche scientifiche, le prove matematiche, gli esperimenti biologici non ci hanno salvati dall’incertezza. Al contrario, hanno aumentato la nostra ignoranza, mostrandoci sempre nuove realtà sotto ciò che noi credevamo essere la realtà. La sola realtà è di un altro ordine: essa si colloca nell’ambito della Fede. È attraverso l’incontro con un Altro che noi possiamo comprenderla. La musica può prepararci a tutto ciò come immagine, come riflesso, come simbolo”.
E Viktor Ullmann, assassinato nel lager di Auschwitz ha scritto: “Non siamo in alcun modo nati per piangere sulle rive della acque di Babilonia, ma il nostro dovere per servire rispettosamente le arti è proporzionale alla nostra volontà di vivere, nonostante tutto”.
Per ogni approfondimento: “Verso l’infinito e oltre. Storie per un manuale dell’ottimismo”. Il libro è disponibile qui.