Anzitutto auguro Buon Natale a tutti, in particolare agli amici e lettori di ZENIT, per informarli che sono tornato al Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) di Milano e spero di poter presto riprendere il lavoro che faccio da una vita.
Vorrei raccontare in breve la mia esperienza e soprattutto comunicarvi alcune riflessioni che la malattia e la preghiera mi hanno ispirato.
A metà ottobre sono caduto sulla scala che porta al mio ufficio, inciampando in un gradino e ho trascorso due mesi alla Clinica Columbus a Milano e nella casa di riposo dell’Istituto a Lecco.
Due mesi di malattia mi hanno cambiato. A 85 anni ho iniziato la parabola discendente della vita e voglio assicurare soprattutto gli anziani che mi leggono, che anche il tramonto è bello, se si vive col Signore Gesù che in questi giorni sta rinascendo nei Presepi e nei nostri cuori.
Mi spiego.
La prima verità che ho sperimentato è che la sofferenza fisica, fa rientrare l’uomo in se stesso. Noi credenti preghiamo, ma spesso (anche noi preti) facciamo una vita superficiale.
Specialmente nel mondo d’oggi, così frenetico e ricco di informazioni e distrazioni, rientrare in se stessi e interrogarsi davvero sulla propria vita è difficile.
Ma quando la malattia, il male fisico ti costringe quasi a isolarti dal mondo esterno, ti ritrovi con te stesso e sperimenti la tua miseria, la tua pochezza, la tua impotenza; pregando, ripensi alla tua vita e alle grandi grazie che Dio ti ha fatto, ai tuoi sbagli e peccati; allora, se preghi, capisci in modo profondo che solo Dio conta. Tutto il resto, certo va vissuto con dedizione e amore, ma passa presto.
Quando sono entrato nella “casa di riposo” del Pime a Lecco, con più di trenta missionari anziani e ammalati, il rettore padre Daniele mi ha detto: “Benvenuto in questa casa dalla quale riparte la rinascita del Pime, perché qui si prega e si soffre molto”.
Le nostre sofferenze, se sono sopportate in unione alla Passione di Cristo, hanno un valore salvifico per la salvezza del mondo e la rinascita del nostro Pime, che oggi soffre per la scarsezza di vocazioni e per le crescenti difficoltà e persecuzioni in vari paesi di missione alle genti.
Nell’ultima Santa Messa a Lecco, ho detto ai miei confratelli: “Noi, anziani e ammalati, siamo ancora missionari in azione, con le nostre preghiere e sofferenze”.
E ho raccontato di aver visitato più volte tutte le missioni che la Chiesa ha affidato al Pime e ovunque i confratelli mi hanno chiesto di dire ai missionari di Lecco di pregare e di offrire le loro sofferenze per loro.
Ecco quindi il nostro compito, il senso della nostra vita in questa benedetta casa di Lecco. Noi siamo i missionari di prima linea, perché tutto viene da Dio e la sofferenza, la debolezza fisica, l’impotenza, ci mettono in stretto contatto con Gesù che ha salvato l’umanità con la morte in Croce e la Risurrezione.
Non è facile, cari amici e lettori, accettare la Croce, “con gioia – ha aggiunto domenica Papa Francesco – perché con Gesù c’è sempre la gioia”. Però questa è la “via stretta” di cui parla Gesù nel Vangelo, che ci aprirà, il più tardi possibile, le porte del Paradiso.