Salendo di corsa lungo via di Bra, si profila davanti la massiccia struttura della chiesa di San Giuseppe all’Aurelio: mattoni di tufo e cemento, la sua costruzione semplice e capiente risale al 1970, opera dell’architetto Ildo Ivetta.
Una comunità numerosa, anche chiassosa quella di questa parrocchia, ma mentre la raggiungi a distanza non ti aspetti di certo di sentire i fischi acuti dei vigili… no, non in una giornata normale. A meno che il traffico non sia impazzito per qualche oscuro motivo anche durante una tranquilla domenica di dicembre, cosa non del tutto inusuale nella capitale. Uno di quegli oscuri motivi tipo domenica verde non preannunciata o manifestazione a favore della libertà dei piccioni… Immaginando le peggiori catastrofi, arrivi ad ipotizzare uno sciopero domenicale dei frequentatori delle parrocchie. Possibile? Anche loro no.
Quando arrivi all’incrocio di via Boccea, lo spettacolo si presenta inaudito: le macchine sono ferme al semaforo e i vigili cercano di gestire i pochi indisciplinati, mentre il rombo delle motociclette annuncia l’arrivo di una macchina importante. Le transenne sono dappertutto, come la gente.
Non sono né scioperanti, quelli intorno a te, né persone colpite da un attacco di preghiera improvviso. Sono tutti lì in trepida attesa di papa Francesco. “L’ho sentito ieri alla radio che oggi veniva qui”, commenta una donnina anziana, “Anche a TV2000 l’hanno detto, e alla mia amica hanno appeso un avviso sul portone della palazzina”, le risponde un’altra.
Tu eri appunto diretto in chiesa, pensavi di trovare un posticino al caldo, e invece sarà tanto se riuscirai a raggiungere il cortile esterno della parrocchia.
Benvenuto papa Francesco è lo striscione di saluto al pontefice che campeggia sulla recinzione che affaccia su via Boccea. Sei parte della folla festosa, e l’allegria dell’attesa del papa si fa contagiosa. “Eccolo!”, senti finalmente urlare tra scrosci di applausi.
Riesci con qualche mossa veloce a intrufolarti nel cortile, oltre non si può. “Per la prima volta la mia parrocchia mi sembra San Pietro!”, commenta un giovane parrocchiano con l’emozione che gli si legge negli occhi.
Dal fondo del cortile si sente il Papa che ringrazia tutti i bambini, e ad un certo punto vedi una distesa di manine alzate: “Alzate i bambinelli!”, chiede il Papa e benedice. Poi sparisce in sagrestia, dove incontra le famiglie del residence di accoglienza adiacente alla parrocchia e i nomadi del campo della Tenuta Piccirilli, i malati che lo attendono nella cappella degli Oblati e le famiglie dei bambini battezzati nell’ultimo anno. C’è posto anche per la confessione di cinque parrocchiani.
Fuori i preparativi per la messa fervono, nell’attesa si sgrana un Rosario, dentro la chiesa si intona una Salve Regina. Due ore dall’arrivo del Papa all’inizio della messa, ma la gente non se ne va: qualche colpetto di tosse, la schiena un po’ indolenzita, ma rimanere lì, anche al di là della strada è quello che conta: “Solo vedere questo berretto bianco è un emozione grande”, spiega una signora.
“Non siamo stati noi ad andare a una Giornata mondiale, ma è lui che è venuto a stare tra noi”, afferma contento un ragazzo; “ci aiuta in tutti i modi e ci dà tanta gioia quando lo incontriamo”, aggiunge un altro.
“È veramente un papa vicino alla popolazione, vicino agli ultimi, vicino alle persone più deboli; anche oggi ha visitato i malati e le famiglie rom in una periferia di borgata. È una persona che riesce a toccare dentro l’animo”, fa eco ancora una signora, ma le parole non bastano a spiegare.
“Amiamo papa Francesco anche perché nelle Filippine il 90% della popolazione è cristiana”, osserva orgogliosamente un giovane filippino accorso con tutta la famiglia. Tanti gli stranieri: oltre che dalle Filippine, dall’India, dalla Romania, dalla Polonia, dall’America Latina, tutti uniti dalla stessa festa.
La celebrazione della messa è semplice, il Papa pronuncia una breve omelia: “Ci sono persone che trovano sempre qualcosa di cui lamentarsi, che non sanno mai ringraziare”, come quella che chiamavano “Suor Lamentela”, una specie terribile… Ma c’è una soluzione: pregare e ringraziare Dio, guardando alle cose buone della propria vita, che ci sono sempre. Quelle parole ti fanno sorridere e ti consolano, ti comprendono e ti mettono alla prova.
Per un attimo il cuore divaga e ti sembra ad un certo punto di partecipare alla solita messa parrocchia della domenica… “Sembra un parroco”, senti osservare sottovoce da qualcuno vicino a te, ed è proprio questo il bello, la straordinarietà del quotidiano che questo papa cerca di far intravedere a chiunque incontri per strada. “Mi ricorda mio padre”, confida il parroco don Giuseppe prima di salutare Francesco.
Intorno la folla si apre per festeggiare ancora, lo scivolo del piccolo parco giochi del cortile è ancora presidio dei reporter che fotografano all’impazzata. “Arrivederci”, saluta papa Francesco.
“Un parroco e un padre”, ti rimbalzano queste associazioni nella mente mentre cerchi di districarti nel marasma di gente. E pensi, tornando a casa, alle tue giornate frenetiche vissute come se di padri non ve ne fossero, e a quel giorno lontano in cui Gesù invece assicurava: “Non vi lascerò orfani: ritornerò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più. Voi invece mi rivedrete, perché io vivo e voi vivrete”.