La ricerca si caratterizza, innanzitutto, per aver individuato e denunciato la motivazione climatica – finora non emersa in ambito bioetico – come nuovo tassello della strategia antinatalista.
A proposito del clima, è noto come esso costituisca un tema di grande attualità, che però, in realtà, è poco conosciuto. Eppure, dagli anni Novanta del Novecento, è stato lanciato l’allarme da riscaldamento climatico attribuendone la responsabilità all’uomo. Tale allarme, richiamando una notevole attenzione mediatica che gli ha consentito di acquisire un rilevante consenso sociale, è diventato, così, una nuova strategia per introdurre il controllo demografico, al fine, però, di raggiungere ulteriori e diversi obiettivi di varia natura.
Il riscaldamento climatico, quindi, è stato visto come un problema ed è stato utilizzato dalla strategia antinatalista come nuova motivazione per giustificare la “necessità” di ridurre la popolazione mondiale.
A tale riguardo, si deve notare che la crescita della popolazione è stata presentata, nel tempo, come causa di problemi di varia natura: scarsità delle risorse alimentari (seconda metà del Settecento); ostacolo allo sviluppo dei popoli (Anni Sessanta del Novecento); inquinamento ambientale (Anni Settanta-Ottanta); riscaldamento climatico (Anni Novanta e Duemila).
Tuttavia, è importante segnalare che, se i citati problemi (motivazioni) sono stati diversificati nei vari periodi storici, invece, la soluzione proposta per risolverli è stata sempre la stessa: il controllo demografico, promosso utilizzando le motivazioni appena citate in modo sinergico tra loro.
Se nel Settecento si riteneva che tale controllo potesse essere raggiunto con la continenza coniugale e il rinvio del matrimonio, nel Novecento sono stati proposti tre mezzi più drastici, cioè, contraccezione, sterilizzazione e aborto.
Questi tre mezzi possono essere utilizzati in due modi:
– volontario – come pianificazione familiare (family planning[1]);
– coercitivo – come controllo delle nascite (birth control[2]).
Peraltro, va notato che, a livello internazionale, le suddette definizioni (pianificazione familiare e controllo delle nascite) sono entrambe convenzionalmente usate per indicare il controllo demografico.
Inoltre, questa ricerca ha verificato come anche la scelta volontaria di evitare una gravidanza sia, in realtà, condizionata da una forte pressione mediatica che agisce attraverso la stimolazione del cosiddetto (c.d.) “bisogno insoddisfatto” di pianificazione familiare, presentato come bisogno necessario – benché indotto artificialmente – di vivere liberamente la sessualità senza le sue possibili conseguenze (gravidanze e malattie sessualmente trasmesse).
In riferimento al riscaldamento climatico, si segnala come la tematica sia emersa alla I Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo (Rio de Janeiro, 1992), che ha visto riuniti, per la prima volta, scienziati, ambientalisti e politici. In tale occasione, è stato individuato un collegamento tra il rilevato riscaldamento climatico globale e la sua presunta causa antropica ed è stata segnalata la necessità di ridurre le emissioni di gas serra provenienti, in prevalenza, dalle attività umane.
Da quell’evento, il riscaldamento climatico antropico[3], da semplice teoria è stato presentato come “verità scientifica” e, quindi, anche come motivazione per giustificare il controllo demografico, da realizzare incentivando la diffusione delle strutture sanitarie al fine di erogare servizi per la c.d. salute riproduttiva, cioè contraccezione, sterilizzazione e aborto (Conferenza ONU, Il Cairo, 1994).
La presente ricerca ha, pertanto, segnalato come a tali servizi siano state destinate, nel corso degli anni, risorse umane ed economiche sempre più consistenti e come queste, insieme a quelle destinate allo studio dell’influenza dell’uomo sul clima, sollevino interrogativi etici (ancor più evidenti, in tempo di crisi) relativi alla loro destinazione d’uso, dal momento che tali risorse potrebbero, invece, essere meglio direzionate per la tutela dell’ambiente.
Tuttavia, questo lavoro, se da una parte concorda con la riflessione bioetica relativa alla illiceità delle decisioni politiche volte al controllo demografico (biopolitica dell’antinatalità) per ridurre il riscaldamento climatico, dall’altra, però, riconosce l’importanza del dibattito che si è aperto attorno a questo tema, contribuendo, così, a focalizzare un’evidente crisi ambientale, causata da comportamenti errati, che dovrebbero richiamare l’uomo alla sua responsabilità come custode del creato[4].
In riferimento a tale responsabilità, la presente ricerca ha individuato, come ulteriore novità in ambito bioetico, due differenti gradi di influenza: il primo, che riguarda la macroecologia (livello globale) e il secondo, che riguarda la microecologia (livello locale). Tale differenziazione, che rappresenta la chiave di lettura della ricerca, può aiutare a valutare la reale incidenza dell’uomo sul clima (macroecologia) e sull’ambiente (microecologia).
Perciò, la ricerca si è orientata in due direzioni:
– valutare la fondatezza scientifica delle diverse motivazioni (in particolare, quella relativa alla causa antropica del riscaldamento climatico) che, nel tempo, sono state addotte a sostegno del pensiero antinatalista;
– cercare soluzioni alternative al controllo demografico, utili per affrontare la crisi ecologica in senso globale (riferita, cioè, non solo all’ambiente ma anche all’uomo).
Il tema fondamentale della ricerca, cioè il collegamento tra allarme climatico e “necessità” del controllo demografico, stimola a riflettere su due aspetti importanti per il futuro dell’umanità:
– il modello di sviluppo – diventato ormai insostenibile per motivi ecologici e socio-economici;
– il ruolo dei principi non negoziabili[5] – quali vita e famiglia (e conseguente libertà procreativa) – nelle scelte politiche, soprattutto in quelle fondate sull’allarme climatico.
Pertanto, questa ricerca si è basata su una documentazione bibliografica diversificata, relativa sia a pubblicazioni di scienziati e studiosi di diversa estrazione e orientamento, sia ad articoli giornalistici. Questa particolare attenzione alla stampa è apparsa necessaria non solo perché il tema è entrato, ormai, nella divulgazione popolare, ma anche perché ha consentito di documentare e monitorare l’andamento dell’enfatizzazione dell’allarme climatico. Tale aspetto, infatti, collegato all’incussione della paura nell’opinione pubblica e alla diffusione di informazioni scorrette, rappresenta un ambito della comunicazione in bioetica.
Inoltre, la ricerca ha notato come i mass-media, utilizzati come cassa di risonanza della politica, facendo leva sull’impatto emotivo, orientino mentalità e comportamenti individuali e collettivi verso scelte antinataliste. Pertanto, questa ricerca ha ritenuto importante non solo risvegliare una maggiore consapevolezza su tali dinamiche condizionanti, spesso sottovalutate, ma anche smascherare strategie comunicative non immediatamente riconoscibili nelle loro nascoste finalità.
Infatti, un ulteriore obiettivo di questo studio è stato quello di svelare sia la vera natura dell’allarme (climatica, antropologica, educativa o etica?) sia il rapporto di questo con l’etica dell’informazione.
A tal fine, la ricerca, dopo aver svolto un’analisi critica della documentazione raccolta, ha esaminato alcuni aspetti tecnico-scientifici ed economico-sociali, dai quali si possono dedurre conclusioni etiche e scelte operative.
Per tali motivi, dapprima ha documentato la nuova strategia climatica antinatalista (Parte Prima), poi ha analizzato, dal punto di vista scientifico, le possibili cause dell’andamento climatico (Parte Seconda), successivamente, ha focalizzato alcuni problemi ambientali causati dall’uomo (Parte Terza) ed infine, ha delineato possibili
risposte alla crisi ecologica (Parte Quarta e Quinta).
I dati presentati dalla ricerca sono stati confrontati con le “soluzioni” proposte dalle teorie (filosofiche) riduzioniste malthusiane e neomalthusiane. Da questo confronto è emersa l’opportunità di richiamare la riflessione sull’identità della persona umana e su alcuni criteri etici, che possono essere assunti come linee-guida per ispirare scelte “generative”, cioè propositive, a livello tecnologico, culturale, educativo e politico, volte a custodire i beni ricevuti, primo fra tutti l’uomo stesso.
Questi beni rischiano di essere schiacciati dalla distorsione di un pensiero unico dominante, che oscura l’etica della custodia la quale, invece, meriterebbe maggiore attenzione, come anche i diffusi disastri ambientali dimostrano.
Infine, per una migliore comprensione di questa ricerca, appare opportuno segnalare che la visione antropologica che la ispira, non è di natura confessionale ma si riferisce alla natura strutturale dell’uomo, il quale ha esigenze materiali ma anche spirituali, psicologiche, sociali e ambientali.
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NOTE
[1] Pianificazione familiare (family planning, da non confondere con Natural family planning, cioè i metodi naturali di regolazione della fertilità) è la definizione “politicamente corretta” del controllo demografico, introdotta negli anni Sessanta, sul modello della pianificazione economica, in auge in quegli anni, per trasmettere un’interpretazione rassicurante. Invece, quando la pressione demografica sembrava diventare troppo “forte” si preferiva applicare metodi più coercitivi, cf. S. w. moscher, Controllo demografico. Costi reali e benefici illusori, Cantagalli, Siena 2012, 84. Secondo un’altra interpretazione terminologica che, peraltro, risulta ambigua, la pianificazione familiare comprenderebbe la contraccezione, mentre il controllo delle nascite includerebbe anche l’aborto e la sterilizzazione. [2] Controllo delle nascite (birth control): termine coniato, nel 1914, dalla femminista Margaret Sanger (1879-1966). [3] Riscaldamento climatico antropico: teoria che riporta dati secondo i quali il pianeta attraversa un periodo di pericoloso riscaldamento, causato dai gas prodotti dalle attività umane. [4] Cf. Genesi 2,15. [5] Principi non negoziabili: termine utilizzato per la prima volta da Benedetto XVI nel marzo 2006 rivolgendosi ai partecipanti ad un convegno promosso dal partito popolare europeo. Indica principi fondamentali sui quali, in politica, non si può scendere a compromessi: tutela della vita, dal concepimento alla morte naturale; riconoscimento e promozione della famiglia naturale tra uomo e donna, fondata sul matrimonio; libertà di scelta educativa e religiosa.