La madre divina e la madre terrena alla luce della poesia

L’Immacolata nei versi di Clemente Rebora, Ada Negri e Giuseppe Ungaretti

Share this Entry

“Seguo con passione la nuova rubrica dedicata alla poesia”, ci scrive l’autrice Maria Cristina De Mariassevich, inviandoci contestualmente i suoi versi per la pubblicazione: “Una breve serie di componimenti che ho scritto in anni in cui cercavo il senso vero, la risonanza intima della nostra religione; vorrei dedicarla a quanti sono in ricerca, anche nel dubbio, con l’augurio di ricevere abbondanti risposte dal Signore che rinasce in ciascuno di noi”.

Grazie, Maria Cristina! Abbiamo scelto di pubblicare le sue belle parole per attestare le molte manifestazioni di affetto che ci giungono da lettori e poeti, conquistati dalla nuova rubrica di ZENIT dedicata alla poesia.

Pensavamo che il valore di questa rubrica – che costituisce una naturale estensione della funzione informativa e comunicativa di ZENIT – consistesse primariamente nello sviluppo del dialogo con i lettori e nell’attivazione di una sponda culturale rivolta alle voci emergenti della creazione poetica. Ma ci siamo accorti che la poesia può anche essere una chiave interpretativa per approfondire i momenti della liturgia e per meditare sui percorsi esistenziali che ci accomunano.

Leggendo infatti i testi dei poeti – dagli autori storicizzati agli autori emergenti – e raccogliendo, attraverso interviste ed articoli, le testimonianze di pensatori e religiosi, possiamo riscontrare convergenze e analogie, punti di contatto e sensibilità condivise. Come se il linguaggio della poesia fosse, in qualche modo, lo strumento più idoneo per dare voce all’impeto di spiritualità che emerge spontaneo dal mondo della fede.

È accaduto così che la toccante intervista rilasciata dal cardinale Mauro Piacenza, intitolata La donna che non teme il peccato (ZENIT, 4 dicembre 2014), ci ha indotto a riprendere e approfondire il tema del “sentimento mariano nella poesia”, che avevamo già trattato nel numero di ZENIT di sabato 29 novembre.

“L’Immacolata – spiega il cardinale – è la certezza che l’umanità non è necessariamente peccatrice. Esiste nell’universo un’oasi, per quanto piccola, non segnata dal peccato! Possiamo guardare ad essa come piena realizzazione di tutto ciò che il nostro cuore è, e di tutto ciò che il nostro cuore, nel più profondo, desidera”.

“Per quanto abissale talvolta possa essere il male nel quale gli uomini precipitano – continua il cardinale Piacenza –, il nostro cuore è fatto per l’armonia che splende nell’Immacolata. E c’è sempre, nel fondo di ogni uomo, pur degradato, un seme di nostalgia di bene, che la carità pastorale ci impone di valorizzare”.

Sono riflessioni che, nella loro profondità, evocano un sentimento poetico. Ed ecco, dunque, una poesia di Clemente Rebora (1885-1957) che sembra una traduzione in versi delle parole del cardinale Piacenza, stabilendo un’intima assonanza nel nome di Maria.

Ricordiamo che Rebora partecipò come ufficiale di fanteria alla guerra del 1915-18 e subì un forte trauma nervoso in conseguenza delle drammatiche esperienze affrontate. Nel 1931 entrò nel noviziato rosminiano dell’Istituto della Carità di Domodossola e nel 1936 prese gli ordini.

La poesia che pubblichiamo, intitolata L’Immacolata, esprime con potente contrasto di toni il male che ci minaccia da vicino ma che trova assoluzione per intercessione di Maria.

L’IMMACOLATA

di Clemente Rebora

Ignare a quella sete che per noi

patì là in Croce Cristo benedetto

onde sgorga la Fonte da Maria

che quanti appaga infin l’imparadisa,

urlan le genti, dopo aver mangiato

terra per cibo: – bruciamo di sete!

e come pazze si scontran cercando

sorsi a ristoro, e le sorgive tutte

di loro stragi sfociano inquinate.

Tu l’unica sorgente, o Immacolata,

donde fluisce acqua di vita al Cielo

che per l’amore in vino e vino in sangue

a Cana è pregustata e sul Calvario

versata al mondo dal Cuore Divino!

***

Ed ecco un’altra “assonanza” di pari suggestione. Nella Messa in San Pietro del 13 ottobre 2013, papa Francesco ha pronunciato queste parole durante l’omelia: “Maria ha detto il suo sì a Dio, un sì che ha sconvolto la sua umile esistenza di Nazaret, ma non è stato l’unico, anzi è stato solo il primo di tanti sì pronunciati nel suo cuore nei suoi momenti gioiosi, come pure in quelli di dolore, tanti sì culminati in quello sotto la Croce. Oggi qui ci sono tante mamme; pensate fino a che punto è arrivata la fedeltà di Maria a Dio: vedere il suo unico Figlio sulla Croce. La donna fedele, in piedi, distrutta dentro, ma fedele e forte”.

Sono parole, quelle di Francesco, dense di una drammaticità intensa che trova riscontro in questa bellissima poesia di Ada Negri (1870-1945):

IL CALVARIO DELLA MADRE

di Ada Negri

Grembo materno straziato e forte,

di tua fecondità l’invitto segno

in te impresso sarà fino a morte. Ave.

Bocca materna, non avrai più baci

che non sien quelli di tuo figlio – come

sigilli d’oro fulgidi e tenaci. Ave.

dietro un velo di lacrime, seguendo

ansiosi il folleggiar d’un bimbo biondo. Ave.

Mani materne, voi più non saprete

che blandire e sanar le rosse piaghe

di colui che a la terra offerto avete. Ave.

Vita materna, non sarai più nulla

fuor che l’ombra vegliante ad ali aperte,

con lunghe preci, a fianco di una culla. Ave.

Cuore materno, cuore crocifisso,

cuor benedetto, cuore sanguinante,

cuore pregante a l’orlo d’un abisso,

non più per te, non più per te vivrai;

ma pel figlio in mille forma

di perdono e d’amor rinascerai. Ave.

***

E per concludere questo devoto omaggio poetico alla figura di Maria, a due giorni dalla solennità dell’Immacolata Concezione, non possiamo fare a meno di accennare a un simbolo archetipico profondamente radicato nell’inconscio collettivo: la corrispondenza tra la madre divina e la madre terrena. Un modo di sentire che è di tutti, perché anche chi non possiede il dono della fede può avvertire, nella madre, l’esperienza incommensurabile di un amore che appartiene a una dimensione “altra”.

Una delle espressioni più alte della letteratura del ‘900 è, senza dubbio, la poesia intitolata La Madre di Giuseppe Ungaretti (1888-1970), dove il poeta s’immagina a un punto di confluenza col Mistero, grazie all’intercessione redentrice di sua madre.

Un poesia, occorre ricordare, che fu scritta da Ungaretti nel 1930, due anni dopo la sua conversione alla fede cattolica. Conversione che farà emergere in lui una chiara consapevolezza: “La mia poesia, interamente, sin da principio, è poesia di fondo religioso”, rivela il poeta. “Avevo sempre meditato sui problemi dell’uomo e sul suo rapporto con l’eterno, sui problemi dell’effimero e sui problemi della storia…”.

LA MADRE

di Giuseppe Ungaretti

E il cuore quando d’un ultimo battito

Avrà fatto cadere il muro d’ombra,

Per condurmi, Madre, sino al Signore,

Come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,

Sarai una statua davanti all’Eterno,

Come già ti vedeva

Quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,

Come quando spirasti

Dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando mi avrà perdonato,

Ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,

E avrai negli occhi un rapido sospiro.

***

I poeti interessati a pubblicare le loro opere nella rubrica di poesia di ZENIT, possono inviare i testi all’indirizzo e-mail: poesia@zenit.org

I testi dovranno
essere accompagnati dai dati personali dell’autore (nome, cognome, data di nascita, città di residenza) e da una breve nota biografica.

Le opere da pubblicare saranno scelte a cura della Redazione, privilegiando la qualità espressiva e la coerenza con la linea editoriale della testata.

Inviando le loro opere alla Redazione di ZENIT, gli autori acconsentono implicitamente alla pubblicazione sulla testata senza nulla a pretendere a titolo di diritto d’autore.

Qualora i componimenti poetici fossero troppo lunghi per l’integrale pubblicazione, ZENIT si riserva di pubblicarne un estratto.

Share this Entry

Massimo Nardi

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione