In Vaticano ci sono centinaia di milioni di euro di fondi nascosti che non apparivano nei bilanci ufficiali. A diffondere la notizia è un cardinale, per l’esattezza l’australiano George Pell, “Zar” delle finanze vaticane.
In un articolo sul settimanale Catholic Herald, anticipato sul sito dello Spectator e ripreso dal Corriere della Sera, il porporato conferma la presenza di questi “fondi neri” nelle casse della Santa Sede, rinvenuti grazie al processo di riforma economica voluto da Papa Francesco, al cui capo c’è proprio Pell, detto il “Ranger”.
Paradossalmente, però, – scrive il cardinale – “il Vaticano non è in fallimento . A parte il fondo pensione, che ha bisogno di essere rafforzato per le richieste su di esso nei prossimi 15 o 20 anni, la Santa Sede sta facendo la sua strada, essendo in possesso un patrimonio e investimenti consistenti”.
Quindi la scoperta di milioni di euro extrabilancio dimostra che singole “parti” del Vaticano sono molto più floride della Santa Sede in quanto tale. “In realtà – afferma il Prefetto per la Segreteria dell’Economia -, abbiamo scoperto che la situazione è molto più sana di quanto sembrasse, perché alcune centinaia di milioni di euro erano nascosti in particolari conti settoriali e non apparivano nei fogli di bilancio. È un’altra questione, a cui è impossibile rispondere, quella se il Vaticano dovrebbe avere riserve molto più grandi”.
Inoltre, sottolinea Pell, nelle finanze vaticane finora “Congregazioni, Consigli e, specialmente, la Segreteria di Stato, hanno goduto e difeso una sana indipendenza”. I problemi erano tenuti “in casa”, e “pochissimi erano tentati di dire al mondo esterno che cosa stava accadendo, tranne quando avevano bisogno di un aiuto supplementare”. Le finanze della Santa Sede erano poi “poco regolate” e autorizzate a “sbandare”, ignorando principi contabili moderni.
Ora, con le nuove strutture e organizzazioni, si stanno rinvigorendo e modernizzando le finanze vaticane, rendendo il loro funzionamento più trasparente e responsabile, scrive il cardinale. E aggiunge: “Chi era nella Curia seguiva modelli a lungo consolidati. Proprio come i re avevano permesso ai loro governanti regionali, principi o governatori di avere quasi mano libera, purché i libri fossero in equilibrio, così hanno fatto i Papi con i cardinali di Curia (come fanno ancora con i vescovi diocesani)”.
Nello stesso testo, il porporato di Sydney parla anche dei vari tentativi di riformare lo Ior, l’Istituto per le Opere religiose. Tentativi che hanno vacillato, dice, soffermandosi sullo scandalo di «Vatileaks». “Quando torneremo agli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI, troveremo che problemi erano tornati alla banca vaticana. Il presidente della banca, il dottor Ettore Gotti Tedeschi, è stato licenziato dal consiglio laico e una lotta di potere in Vaticano ha portato alla fuoriuscita regolare di informazioni. Lo scandalo è esploso quando Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa, ha rilasciato migliaia di pagine di documenti fotocopiati privati del Vaticano alla stampa”.
“La mia prima reazione – prosegue Pell – è stata di chiedere come un maggiordomo abbia goduto di un qualsiasi accesso, tanto meno l’accesso regolare per anni, a documenti sensibili. Parte della risposta è che ha condiviso un grande ufficio unico con i due segretari papali. Tutto questo è stato gravemente dannoso per la reputazione della Santa Sede e una croce pesante per Papa Benedetto”