È troppo facile, anche per un certo mondo cattolico, accettare come indiscutibili i criteri e le interpretazioni della vita ecclesiale e delle sue espressioni secondo la logica della mentalità dominante anticattolica. Già Paolo VI, in un’intensa confidenza con Jean Guitton, disse che stava diffondendosi un modo non cristiano di concepire il Cristianesimo e di presentarlo, e che tale mondanizzazione della fede e della sua cultura sarebbe potuta diventare anche la mentalità dominante nella Chiesa ma, aggiunse, non sarebbe mai stato il pensiero autentico della Chiesa.

Sulla questione del Sillabo assistiamo a una riviviscenza di interpretazioni laicistiche, ultimamente inconsistenti anche sul piano di una interpretazione corretta, che vorrebbero contrapporre il Sillabo ai documenti del Concilio Vaticano II, primo fra tutti la “Dichiarazione sulla Libertà Religiosa” Dignitatis Humanae. Ricordo ancora quella lezione di religione con mons. Giussani all’ultimo anno di liceo, quando proprio a una mia domanda, don Giussani, che sapeva proporre abilmente le linee di un’interpretazione autentica della storia della Chiesa, mi rispose che il Sillabo ha un valore etico oggettivo quando afferma che le religioni non sono tutte uguali e che il criterio d’approccio alle varie religioni non può essere la personale libertà delle coscienze.

Perché se una religione si presenta come definitivamente rivelata da Dio, il problema diventa se questa pretesa sia fondata o meno. Sul piano etico oggettivo il Sillabo afferma la verità che la tradizione ecclesiale ha sempre adeguatamente sottolineato. Quando il Concilio asserisce, e non è una novità, che devono essere salvaguardate la libertà della coscienza personale e la libertà di espressione della propria religiosità senza vincoli e limitazioni, si tratta di un’asserzione che ha valore etico soggettivo, e sta proprio qui la finezza interpretativa: ossia l’etico oggettivo non cancella l’etico soggettivo e viceversa.

A certi frettolosi esegeti del Concilio sarebbe bene ricordare che le più adeguate interpretazioni conciliari hanno rivelato senza ombra di dubbio che il referente polemico della Dignitatis Humanae non è la Chiesa e la sua vita interna, ma sono le istanze e i poteri extraecclesiali che da secoli tentano di governare anche la libertà delle coscienze attraverso formulazioni ideologiche e stataliste della religione. È un colpo di grazia definitivo alla religione di Stato che non nasce in un contesto cattolico ma in un contesto protestante, cioè nel tentativo dello Stato di impadronirsi della Chiesa. Nasce in un contesto laico e anticattolico per permettere il controllo statale sulla vita ecclesiale che neutralizza quella potente alternativa intellettuale, morale e sociale che è la vita della Chiesa. Ecco perché riportando alcuni brani del capitolo IX del mio libro su Pio IX (Pio IX. Attualità e profezia, Edizioni ARES, Milano 2006, pp 97-112) intendo indicare non una difesa ad oltranza di questo documento - perché nessun documento andrebbe né attaccato né difeso ad oltranza - ma una lettura all’interno dell’inesorabile progressione che caratterizza la vita della Chiesa e nella quale si svolge la continuità profonda che può essere percepita e letta soltanto da chi adoperi un’ermeneutica della continuità e non della opposizione.

In particolare, e da ultimo, noi che viviamo in una società devastata dall’individualismo libertario, dall’etica del benessere a tutti i costi che caratterizza anche le formulazioni giuridiche e socio-politiche più diffuse, col pratico riconoscimento di diritti civili non solo per gli istinti individuali, ma addirittura per le devianze personali, siamo i migliori interpreti di questo passato? Un passato che certamente non deve e non può tornare, ma che, lasciatemelo dire con umiltà e con franchezza, era, dal punto di vista cristiano e umano, sicuramente migliore del nostro presente. Ciò significa che non abbiamo nessuna nostalgia del passato, neanche delle cose più grandi e belle, come il Magistero del beato Pio IX, ma amiamo questo passato e una cosa sola chiediamo a Dio: che ci dia il coraggio e la forza di viverlo nel presente per sviluppare la nostra grande tradizione in una possibilità di futuro nuovo e più umano perché più cristiano.


In Pio IX. Attualità e profezia, dunque, ho scritto:
“Il Sillabo, inteso talora come un ostacolo al cammino della libertà e del progresso, si rivela invece come un'appassionata difesa della libertà concreta. Difesa, cioè, di quella libertà del popolo che, di fronte ad un evidente tentativo da parte di un'élite minoritaria di manipolare per scopi politici la mentalità comune, ha trovato nella Chiesa un sostegno ed un appoggio per affrontare la realtà culturale, sociale e quotidiana, senza chiudersi in una posizione nostalgica di semplice riproposizione del passato (…) Lo Stato cosiddetto liberale non può essere compreso nella sua politica religiosa se non si tiene conto di quel processo costituitosi lungo i secoli a partire dalla fine delle guerre di religione con l’affermarsi del principio noto come «cuius regio, eius religio». Tale principio ha sancito, infatti, che la religione fosse una questione di Stato, finendo così per giustificare l'assimilazione della Chiesa da parte dello stesso Stato. (…) La Rivoluzione francese con la Costituzione civile del clero, riducendo i sacerdoti a impiegati statali, non fece che sviluppare ulteriormente tali dinamiche accentratrici del potere. Del resto anche nella stessa Inghilterra, dove indubbiamente il pensiero liberale trova le sue radici, la concezione del potere era tale per cui religione e Chiesa non potevano che essere sottomesse alla corona e al parlamento. (…)

“Pio IX, nella Roma invasa dai - «cattolici» - piemontesi, nell'Italia annessa al regno sabaudo con procedimenti che di democratico non ebbero che una vaga e superficiale parvenza, restò al suo posto, rifiutando di sottomettersi ad influenze politiche di qualsiasi tipo, rifiutando quindi anche di trasferirsi sotto le bandiere di un altro governo «amico». Ovvero continuò, fiducioso nella Provvidenza, ad occuparsi dell'insegnamento universale della Chiesa, ponendo le basi di quella rinnovata presenza dei cattolici nella società che portò i suoi frutti in Italia e nel mondo. Le missioni, che conobbero una seconda primavera, i contributi dei cattolici alla vita sociale e politica italiana, sia nell'Italia liberale di fine '800, sia nella ricostruzione del secondo dopoguerra, la stessa salvaguardia di una coscienza autonoma sotto le grandi dittature del '900, il costituirsi del Concilio Vaticano II, la sfida che Giovanni Paolo II ha lanciato all’uomo di oggi, possono essere visti, se si guarda in profondità, come sviluppi del suo Magistero.

Si è voluto costruire a tutti i costi un mondo senza verità «oggettiva», «altra» dalle idee degli uomini, rifiutando la possibilità che tale verità sia da scoprire, cercare, mendicare, incontrandola così come si offre. Pio IX, invece, con il Sillabo, e con la proclamazione del dogma dell'infallibilità pontificia, ha voluto ribadire che la verità è incontrabile dall'uomo di ogni tempo, perché non è abbandonato alle correnti della storia senza una luce che lo guidi. “Quando si interpreta il Magistero di Pio IX, in particolare il dogma dell’infallibilità pontificia, come un tentativo egemonico della Chiesa, legato alla nostalgia del passato, non si coglie la libertà che esso fonda e la possibilità che viene offerta in tal modo a tutti: in un'epoca nella quale la Chiesa non aveva più garanzie territoriali, in cui si negava apertamente la conoscibilità del vero, la Verità da essa custodita doveva essere difesa da qualsiasi ingerenza politica; quanto da sempre si viveva al suo interno poteva e ormai doveva essere proclamato in tutta chiarezza.

“Se oggi anche un solo vescovo cinese viene perseguitato per la sua fedeltà al Papa, questo è il segno chiarissimo di un Mist ero presente nella storia, di un popolo, certamente umano, ma attraversato dall'imbarazzante sfida che Cristo ha lanciato al mondo. Sfida che viene avvertita talvolta con non minore contrasto e scandalo in Occidente, ma proprio tale scandalo, tale contrasto ha costituito per la storia dell'occidente l’humus che ha reso fertili due millenni di civiltà. “È possibile allora costruire l'edificio sociale senza pregiudizi, tesi ad accogliere il libero contributo di ognuno, di chi domanda e ricerca, come di chi si riconosce accolto da una immeritata risposta. Se le cose stanno in questi termini del Magistero di Pio IX, degno successore di Pietro, roccia di verità, bisogna essere grati ed orgogliosi. La grande stagione di difesa della libertà della Chiesa e quindi della libertà della persona e del popolo, che si è sviluppata lungo il corso del Magistero pontificio del secolo scorso, non può essere compresa fino in fondo se non se ne coglie l'origine nell'operato di Pio IX. Lo stesso sviluppo della democrazia, tra i cui nemici troppo sbrigativamente viene indicato lo stesso Pio IX, senza cercare di capire storicamente a quale idea di liberalismo e democrazia si opponesse il Pontefice, deve moltissimo al Magistero sociale della Chiesa.”

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Fonte: Studi Cattolici

I Camilliani ad una svolta

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