Camilliani: "Il dolore ci ha reso più uniti"

Il nuovo Superiore generale, padre Leocir Pessini, racconta le sfide che attendono la congregazione dopo lo scandalo finanziario che l’ha coinvolta

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Lo hanno eletto a tempo di record, al primo scrutinio e a larghissima maggioranza. I 59 camilliani, tra i quali 10 italiani, chiamati a eleggere il loro nuovo superiore generale durante il Capitolo generale straordinario, non hanno avuto esitazioni lo scorso 18 giugno.

A guidare l’Ordine dei ministri degli infermi – presente in 40 Paesi – sarà padre Leocir Pessini, 59 anni, finora superiore della Provincia brasiliana, che comprende anche una comunità in Bolivia e una negli Stati Uniti. Lo affiancherà il neo-vicario generale padre Laurent Zoungrana, superiore dello Studentato Camilliano di Roma, cinquantottenne originario del Burkina Faso.

Riuniti dal 16 al 21 giugno nella Casa del Divin Maestro ad Ariccia, i capitolari hanno riflettuto sul tema “Per una rivitalizzazione dell’Ordine nell’anno giubilare camilliano”; infatti i religiosi stanno celebrando il quarto centenario della morte del fondatore, che si concluderà il prossimo 14 luglio con una veglia di preghiera alle ore 21.30 nella chiesa romana della Maddalena, a due passi dal Pantheon. Il luogo dove Camillo De Lellis si spense esattamente quattro secoli orsono.

Un compito non facile, quello che attende il sessantesimo successore di san Camillo, che oltre al portoghese parla e scrive in inglese, spagnolo e italiano. Infatti il capitolo straordinario elettivo si è tenuto in seguito alle vicende che hanno coinvolto il precedente superiore generale, padre Renato Salvatore, arrestato il 5 novembre dello scorso anno con l’accusa di concorso in sequestro di persona: avrebbe impedito a due confratelli di partecipare all’elezione della nuova guida dell’Ordine perché erano contrari a un suo secondo mandato; sarà processato il 2 luglio. Quindi ha partecipato ai lavori dei capitolari, quale commissario pontificio, il rogazionista padre Alessandro Perrone, officiale della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. 

Padre Leocir, una elezione lampo la sua. Se l’aspettava?

«Non mi aspettavo assolutamente di essere eletto e avevo già in tasca il biglietto per tornare nella mia terra. Ma non potevo dire di no alla grande fiducia che tanti confratelli mi hanno dimostrato: sarebbe stato un peccato mortale. Dire di sì è stata una santa e sana pazzia! Un regalo e contemporaneamente un sacrificio per me: sono molto legato alla mia terra e alle persone con cui collaboro».

Anche lei, come papa Bergoglio, è latinoamericano e di origini italiane…

«I miei bisnonni sono emigrati in Brasile da Cremona, per cercare lavoro e un futuro migliore per i loro figli. Io ho la doppia cittadinanza. Papa Francesco? La sua elezione è stata una grande sorpresa dello Spirito in questo XXI secolo. Siamo molto orgogliosi del primo pontefice non europeo e latinoamericano; amo i suoi gesti e la sua semplicità: meno protocollo e ritualità, più vita e amore. Ho letto uno studio sulla frequenza delle parole da lui usate nei primi sei mesi di pontificato: le più ricorrenti sono gioia e misericordia». 

Come nasce la sua vocazione camilliana?

«È una storia curiosa: quando avevo 13 anni, ho accompagnato a San Paolo in ospedale mia madre per alcune cure. Aspettando nei corridori e nelle corsie, mi ha colpito molto la scelta di amore nel rapporto tra i professionisti della salute e i malato. Pensavo di diventare medico o infermiere, poi a Iomerê – piccola città nel Sud del Brasile, 3mila abitanti – ho conosciuto i religiosi della seconda missione camilliana sorta nel mio Paese nel lontano 1936 (la prima risale al 1922). Preti differenti dagli altri non solo perché avevano una croce rossa sull’abito: visitavano i malati a casa, pregavano con loro e insieme alle famiglie, facendosi vicini a chi soffre. Ho capito che era quella la mia strada e a 18 anni sono entrato in seminario. Dopo l’ordinazione sacerdotale, sono stato per 13 anni cappellano in un grande ospedale di San Paolo, con 2mila posti letto; poi ho lavorato nella formazione dei giovani professi, nell’amministrazione di una nostra università sovrintendente e, negli ultimi quattro anni, come superiore provinciale». 

Dopo quattro secoli, il vostro carisma è ancora attuale?

«La prima caratteristica importante è che siamo nelle periferie geografiche ed esistenziali, su cui insiste molto il nostro papa latinoamericano. Puntiamo alla valorizzazione della vita e della salute umana; siamo una presenza samaritana nei luoghi di sofferenza e di lutto. Veniamo chiamati “padri della buona morte”, perché accompagniamo le persone negli ultimi giorni della loro vita. Ho scritto un volume sull’accanimento terapeutico e su come sia importante, invece, affiancare il paziente con le cure palliative, dargli dignità fino al momento del decesso. L’umanizzazione delle cure, anche domiciliari, è uno dei temi che affrontiamo nel dialogo con le frontiera della scienza e dell’etica».

Quali le sfide che attendono l’Ordine, dopo gli scandali dei mesi scorsi?

«Le situazioni critiche obbligano a decisioni unite e radicali. Abbiamo vissuto una sofferenza profonda, anche se non c’è stata alcuna defezione: il dolore ci ha uniti. Padre Renato si è fidato della persona sbagliata, il commercialista Paolo Oliverio, che ha truffato la congregazione; a maggio è stato condannato a 4 anni e 8 mesi. Ora basta piangere e accusare: abbiamo una storia di carità e donazione ai malati e ai sofferenti e un errore non può cancellare tutto il bene fatto nella storia. Questo capitolo straordinario è stato un evento di guarigione interna per proiettarci verso il futuro».

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[L’intervista a padre Pessini sarà pubblicata sul prossimo numero del settimanale Credere]

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Laura Badaracchi

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