I portieri di Dio

Parate e preghiere durante i Mondiali in Brasile

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Secondo un detto popolare bisogna essere “pazzi” per giocare come portieri. D’altronde non è facile scegliere un ruolo che richiede di gestire molta più pressione rispetto agli altri: basta un piccolo errore o un attimo di distrazione per mandare in fumo un’intera partita.

Ma nel Mondiale in Brasile una caratteristica comune per i portieri sembra essere la religiosità e non la pazzia. Gli estremi difensori di squadre come Croazia, Nigeria e Costa Rica hanno confessato più volte di aver trovato nella fede cristiana una grande risorsa spirituale utile non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche in campo. Il fatto che la religione accompagni il destino di così tanti portieri potrebbe non essere solo una semplice coincidenza: probabilmente la forza della preghiera aiuta i portieri ad allentare la tensione e ad ottenere la concentrazione necessaria anche nei momenti più critici.

Vincent Enyeama, portiere della Nigeria, ad esempio, vive la fede in modo talmento intenso da essere soprannominato ‘il Pastore’ dai suoi compagni. Enyeama, infatti, invita spesso l’intera squadra a svolgere preghiere collettive prima di una partita, di un allenamento o anche prima dei pasti. Tanto che il C.t della Nigeria ha ammesso in un’intervista che Enyama “se non avesse fatto il portiere, avrebbe potuto aprire tranquillamente una Chiesa”. 

Dopo una partita dell’AFCON (coppa delle Nazioni Africana), in cui Enyeama ha evitato la sconfitta della Nigeria con una parata decisiva, alla domanda dei giornalisti su come fosse riuscito a compiere un tale gesto tecnico, ha riposto: ‘”Gli Angeli di Dio mi hanno aiutato e hanno fatto sì che le mie mani fossero al posto giusto per fermare la palla”. La carriera di Enyama stava per essere stroncata nel 2004 da un incidente stradale che poteva essere fatale, ma il portiere riuscì a cavarsela con qualche graffio e ancora una volta ringraziò Dio per averlo salvato.

Un altro portiere devoto è Stipe Pletikosa: in ogni partita l’estremo difensore della Croazia indossa una maglietta che raffigura la Madonna di Medjugorje e prima del fischio d’inizio si concentra per pregare fino all’ultimo secondo rimastogli. Proprio a Medjugorje, nel maggio dell’anno scorso, la Croazia si è allenata una settimana prima di affrontare le fondamentali partite per la qualificazione al Mondiale. 

Il portiere croato, inoltre, ha affermato in un’intervista che la fede lo ha aiutato a mantenere un comportamento sobrio e ad evitare ciò che lui definisce la “falsa felicità”, ovvero gli eccessi che spesso contraddistinguono la vita dei calciatori famosi. Pletikosa racconta invece di trovare la sua forza non nei soldi nè nella popolarità, bensì nel rapporto con la religione: “La preghiera è il cuore del contatto con Dio. E la preghiera mi porta alla pace”, ha detto.

Da parte sua, il costaricano Keylor Navas (noto al pubblico italiano dopo aver fermato i tiri di Pirlo e Balotelli) ha affermato che prima di ogni partita prega Dio chiedendogli di mettere due angeli a protezione dei suoi pali. Navas ha aggiunto che la forza della preghiera lo aiuta a concentrarsi, e ad ignorare i fischi e gli insulti che provengono dagli spalti.Inoltre il portiere costaricano collabora con l’associazione ‘Nova Vida’ di Valencia che fornisce sostegno alle persone più sfortunate. La stessa organizzazione ha una squadra di calcio chiamata ‘Evangelico F.C’ che, attraverso lo sport, riesce a compiere gesti caritatevoli.

In un’intervista, Navas ha raccontato il modo con cui vive la sua religiosità: “Dio – ha dichiarato – per me viene prima di tutto. Prima di ogni partita mi inginocchio, apro le braccia e prego… Il mio passo preferito della Bibbia è Galati 1-10 che dice: ‘Se cercassi il favore degli uomini non sarei un servitore di Cristo’. Quindi io non mi scompongo, Dio mi ha dato la salute e un lavoro meraviglioso. Ma non sto fermo ad aspettare che le cose succedano. Lavoro e do il massimo per migliorarmi, come tutta la mia nazionale. Con fede e speranza: senza di quelle non si va da nessuna parte”.

Quella dei portieri ‘in missione per conto di Dio’, tuttavia, non è una storia nuova. Il portiere argentino Carlos Roa, un anno dopo Francia ’98, si prese una pausa di un anno ritirandosi al servizio della Chiesa avventistica del settimo giorno. Di sicuro i portieri cristiani in questo mondiale hanno trovato il luogo adatto per pregare, dal momento che il Brasile è un paese che più di ogni altro cerca di unire lo sport con l’evangelizzazione.

Proprio in Brasile è stato fondato il movimento degli ‘atleti di Cristo’, associazione con l’obiettivo di accomunare tutti gli sportivi d’ispirazione evangelica. È, poi, il calcio stesso in Brasile ad ad avere delle radici cristiane: secondo la rivista brasiliana ‘Passos’ furono i Gesuiti ad introdurre il calcio nelle scuole in virtù delle ‘lezioni morali derivanti dallo spirito sportivo’.

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Alessandro Mancini Caterini

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