Vado a scuola

Il film del francese Pascal Plisson racconta i percorsi impervi che bambini desiderosi d’istruzione devono affrontare in zone remote del globo: India, Kenia, Marocco e Patagonia

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Quattro storie. 1) Il piccolo keniota Jackson, dieci anni, deve percorrere ogni mattina più di 15 km a piedi per raggiungere dal suo villaggio la scuola più vicina. Più che compiti e interrogazioni, a preoccuparlo è l’attraversamento di una pista battuta dagli elefanti. 2) La marocchina Zahira, undici anni, deve fermarsi tutta la settimana in un alloggio per studenti insieme a due sue amiche. La scuola è troppo lontana perché facciano andata e ritorno in giornata. La già difficoltosa marcia sulle montagne, in uno sfortunato lunedì mattina, si trasforma in un calvario quando una delle bambine prende una storta a una caviglia e non riesce a camminare senza rallentare tutto il drappello. Indietro non si torna: troveranno un automobilista disposto a dar loro un passaggio? 3) Per il bengalese Samuel la scuola dista solo 8 km da casa. Peccato che il bambino sia in sedia a rotelle e i suoi fratellini Emmanuel e Gabriel non troveranno un metro di asfalto sull’accidentata strada verso la destinazione. 4) È un percorso a ostacoli anche quello del piccolo Carlito, abitante della Patagonia, che deve farsi ogni mattina 25 km sì a dorso di un cavallo ma anche in compagnia di una sorellina petulante. Che sollievo per tutti e quattro sedersi finalmente tra i banchi… e

Il cinema francese è forse stato il più attento, negli ultimi anni, al tema dell’educazione. Il bellissimo documentario Essere e avere (2002) di Nicolas Philibert, ambientato in una scuola elementare in Auvergne, è un capolavoro del genere. Da non perdere, per motivi diversi, sono anche Les choristes (2004) di Cristophe Barratier e La classe (2008) di Laurent Cantet, premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes.

Anche la stagione cinematografica in corso ha avuto il suo film incentrato sull’argomento: Vado a scuola del documentarista Pascal Plisson racconta i percorsi impervi che bambini in varie zone del mondo devono fare a piedi per arrivare nelle loro classi. “Dalle savane pericolose del Kenya, ai sentieri tortuosi delle montagne dell’Atlante in Marocco, dal caldo soffocante del sud dell’India, ai vertiginosi altopiani della Patagonia, questi bambini sono uniti dalla stessa ricerca, dallo stesso sogno”. Così si legge nelle note di produzione che accompagnano il film, un racconto emozionante che evidenzia come, accanto alla fatica, ci sia anche la coscienza di come l’istruzione consentirà a questi bambini una nuova vita. “Ero nel Nord del Kenya alla ricerca di luoghi per un film sulla natura – racconta il regista – e ho intravisto alcune strane forme in lontananza. Camminavano dritti verso di noi e, quando si sono avvicinati, mi sono accorto che erano tre giovani guerrieri Masai. Mi hanno spiegato che avevano lasciato la casa prima dell’alba e che avevano corso due ore per raggiungere la scuola. Questi giovani Masai hanno rinunciato a essere guerrieri pur di studiare”. Chapeau!

Tante nobili intenzioni non possono che ottenere la nostra approvazione, anche se l’uso del documentario nelle scuole e in altri contesti educativi deve essere fatto con criterio. Se una critica possiamo avanzare, infatti, non è al film in sé – che è ben diretto, sobrio e ha uno sguardo che ci sembra sincero sulle persone e sugli eventi descritti – ma alla modalità con cui è stato recepito e recensito. In Italia almeno tre nostri critici hanno citato i ragazzini viziati, quelli accompagnati a scuola dall’autista col SUV, come i destinatari ideali di una lezioncina colpevolizzante. Se il film fosse questo, un banale ricatto moralistico, sarebbe del tutto inutile come mezzo educativo. Ci vuole ben altro a smuovere dall’apatia i nostri giovani “sdraiati” ma ovviamente è molto più comodo per chi dovrebbe educarli minacciarli con il senso di colpa. E quando da piccoli siamo stati ingozzati di cibi che non ci piacevano, l’argomentazione che dall’altra parte del mondo ci fossero bambini che morivano di fame, che in teoria avrebbe dovuto rendere irresistibili certi immondi passati di barbabietole, già allora ci sembrava pretestuosa. 

Forse lo spettatore occidentale, che si scontra con l’inutilità dei suoi prestigiosi titoli di studio in una società globalizzata che premia il “saper fare” svalutando educazione e cultura che non siano immediatamente monetizzabili, si chiederà cosa mai possa insegnare la scuola a questi minuscoli eroi che già non insegni loro la vita. Quello spettatore dimenticherebbe che all’istruzione si affida davvero lo sviluppo di un popolo, il cui futuro e progresso dipendono proprio dalla speranza della rottura di un circolo vizioso in cui le disparità sociali e culturali aumentano dipendenze e sfruttamento (può essere utile leggere sull’argomento l’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI).

Insomma, un bel documentario che, proprio per una sua immediata spendibilità nei contesti educativi, andrebbe “servito” con tutta l’attenzione che merita e accompagnato, più che dall’istinto di fare confronti impossibili, da qualche buona lettura.

*

Titolo Originale: Sur le chemin de l’école
Paese: FRANCIA
Anno: 2013
Regia: Pascal Plisson
Sceneggiatura: Marie-Claire Javoy, Pascal Plisson
Produzione: WINDS, YMAGIS, HERODIADE CON LA PARTECIPAZIONE DI OCS E FRANCE 5
Durata: 75
Interpreti: Jackson Saikong, Samuel J. Esther, Zahira Badi, Carlito Janez

Per ogni approfondimento: http://www.familycinematv.it

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Raffaele Chiarulli

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