Appelli per l'Iraq, mentre le violenze aumentano

Il Grande ayatollah sciita invoca un governo di unità nazionale, l’Unicef predispone aiuti per gli sfollati, jihadisti e forze governative si affrontano senza tregua

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Si rincorrono appelli per aiutare l’Iraq livido di violenze. Ci sono quelli di carattere politico, che invocano un governo di unità nazionale. E ci sono poi quelli umanitari, per far fronte all’emergenza degli sfollati in fuga dagli epicentri del conflitto.

È di ieri l’appello del Grande ayatollah Ali al-Sistani, il quale si unisce a quanto auspicato anche dagli Stati Uniti. Il suo grido invoca “la lotta ai terroristi” per garantire la difesa della nazione irachena. “Se non combatteremo e non espelleremo l’Isis dall’Iraq – le parole di al-Sistini -, un domani tutti noi lo rimpiangeremo, quando ormai non avrà più senso”. Per questo, ha aggiunto il Grande ayatollah, “il prossimo governo dovrà essere efficace ed evitare gli errori del passato”. La sferzata del leader sciita non fa che complicare la posizione del presidente Nuri al-Maliki. Nelle ultime ore anche le autorità statunitensi starebbero esercitando pressioni nei suoi confronti affinché effettui un rimpasto di governo.

E, intanto, frotte di persone scappano dalle zone colpite dalle violenze, specialmente da Mosul e Tikrit. L’Unicef si sta impegnando per garantire aiuti. “A partire da Erbil – spiega alla Radio Vaticana Marzio Babille, responsabile Unicef per l’Iraq – ha già disposto sul terreno diversi teamtesi alla valutazione e alla risposta immediata dei bisogni dei bambini, delle donne, delle famiglie e di un numero importante di sfollati da Mosul, da Tikrit e da altre zone contese della parte centrale”.</p>

Lo stesso Babille rileva che “il confronto militare esiste fra le truppe del governo iracheno e i gruppi di opposizione armata, che sono una galassia di individui, di gruppi, di interessi e anche di tribù che non necessariamente coincidono sempre: coincidono in questo momento, perché la caratteristica è che sono tutti sunniti. Quindi, il loro progetto è un progetto poltico-economico di controllo delle risorse di queste zone. Lo fanno attraverso uno strumento militare e una brutalità senza precedenti, che è quella da cui fuggono tutte queste popolazioni”.

I combattimenti proseguono intorno alle raffinerie del Paese. Fonti locali citate da Al Jazeera sostengono che la raffineria di Baiji, il principale impianto del paese, sarebbe caduta nelle mani dei jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil).

(F.C.)

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ZENIT Staff

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