Si è aperta con l’evocazione della liberazione del popolo d’Israele dopo la schiavitù d’Egitto, l’omelia di papa Francesco, in occasione della messa celebrata stasera sul sagrato della Basilica di San Giovanni in Laterano, in occasione dell’odierna solennità del Corpus Domini.
“Una volta stabilito nella terra, il popolo eletto raggiunge una certa autonomia, un certo benessere, e corre il rischio di dimenticare le tristi vicende del passato, superate grazie all’intervento di Dio e alla sua infinita bontà”, ha affermato il Santo Padre.
In tal senso le Sacre Scritture esortano a “fare memoria di tutto il cammino fatto nel deserto, nel tempo della carestia e dello sconforto”, con l’invito di Mosè a “ritornare all’essenziale, all’esperienza della totale dipendenza da Dio”.
Se è vero che «non vive soltanto di pane, ma […] di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8,3), l’uomo porta con sé anche “fame di vita, fame di amore, fame di eternità”.
La “manna” è quindi il simbolo di “un cibo che soddisfa questa fame profonda che c’è nell’uomo” che, molti secoli dopo Mosè, si manifesta in Gesù, il cui Corpo “è il vero cibo sotto la specie del pane” e il cui Sangue “è la vera bevanda sotto la specie del vino”.
Il Corpo di Cristo, dunque, a differenza della manna, è molto più di un “semplice alimento con cui saziare i nostri corpi”: Esso è “il pane degli ultimi tempi, capace di dare vita, e vita eterna, perché la sostanza di questo pane è Amore”.
Nell’Eucaristia, ha proseguito papa Francesco, il Signore comunica “un amore così grande che ci nutre con Se stesso; un amore gratuito, sempre a disposizione di ogni persona affamata e bisognosa di rigenerare le proprie forze”.
Vivere l’esperienza della fede nel Signore significa “lasciarsi nutrire” da Lui e costruire la propria esistenza non su beni materiali ma “sulla realtà che non perisce: i doni di Dio, la sua Parola e il suo Corpo”.
Vi sono, infatti, ha osservato il Papa, numerose “offerte di cibo che non vengono dal Signore e che apparentemente soddisfano di più”: il “denaro”, il “successo”, la “vanità”, l’“orgoglio”.
Solo il Signore è in grado di saziarci, eppure “forse non ci sembra così gustoso come certe vivande che ci offre il mondo”. Gli ebrei nel deserto, ad esempio, “rimpiangevano la carne e le cipolle che mangiavano in Egitto, ma dimenticavano che quei pasti li mangiavano alla tavola della schiavitù”. Lasciandosi alle spalle la schiavitù d’Egitto, il popolo d’Israele si ritrova viziato da una “memoria malata” e “selettiva”.
Il Pontefice ha quindi domandato ai fedeli: “Dove voglio mangiare? A quale tavola voglio nutrirmi? Alla tavola del Signore? O sogno di mangiare cibi gustosi, ma nella schiavitù? Qual è la mia memoria? Quella del Signore che mi salva, o quella dell’aglio e delle cipolle della schiavitù? Con quale memoria io sazio la mia anima?”.
È quindi necessario recuperare la memoria e imparare a “riconoscere il pane falso che illude e corrompe, perché frutto dell’egoismo, dell’autosufficienza e del peccato”.
L’Ostia consacrata diventa dunque “la nostra manna, mediante la quale il Signore ci dona se stesso”, ha detto il Papa, anticipando l’invocazione finale: “Gesù, difendici dalle tentazioni del cibo mondano che ci rende schiavi; purifica la nostra memoria, affinché non resti prigioniera nella selettività egoista e mondana, ma sia memoria viva della tua presenza lungo la storia del tuo popolo, memoria che si fa "memoriale" del tuo gesto di amore redentivo”.