A una settimana dal trentennale della morte di Enrico Berlinguer, i discorsi struggenti e gli inserti celebrativi sui giornali hanno lasciato spazio a riflessioni più strettamente politiche. Il ricordo della figura dello storico segretario del Partito Comunista Italiano offre lo spunto per tracciare un’analisi sugli ultimi tre decenni della sinistra nel Belpaese.
Spunto che raccoglie con entusiasmo il sociologo Paolo Sorbi, dirigente lombardo del Pci negli anni ’70, reduce dall’esperienza di Lotta Continua. Oggi è un alfiere dei “principi non negoziabili”, nonché animatore del Movimento per la Vita fino a non molto tempo fa. Un profilo, il suo, di cattolico ed ex militante comunista mai pentito, che stride alquanto con la linea “nichilista” che attribuisce alla sinistra degli ultimi anni.
Piuttosto, Sorbi rivendica una sua “continuità culturale” col Pci di Berlinguer. Leader che non ha mai conosciuto personalmente, ma che ha sempre stimato. Del resto, spiega il professore dell’Università Europea di Roma, “Berlinguer teneva in alta considerazione la componente culturale del partito dei cattolici comunisti”, la cui presenza rendeva la natura del Pci “unica su scala internazionale”.
Un percorso, quello che corre su binari paralleli sinistra-mondo cattolico, guidato da Franco Rodano, già fondatore del Movimento dei Cattolici Comunisti e di Sinistra Cristiana. Percorso per nulla marginale all’interno della storia del Pci. E che, ad un certo punto, interviene persino sullo statuto del partito. Nel 1979, in occasione del XV Congresso comunista, viene emanata la modifica di quell’articolo che obbligava i militanti a riconoscere ed applicare il marxismo-leninismo. Il programma politico del partito diventa, di fatto, compatibile con la singola fede religiosa del militante.
Una decisione in coerenza con le intenzioni di Palmiro Togliatti, il quale voleva un partito “né teista né ateista né antiteista”, come rimarca Sorbi. Il quale sostiene dunque che non è la falce e martello ad essere incompatibile con i valori cristiani, bensì la più tenue quercia del Partito Democratico della Sinistra (Pds). È con la “svolta della Bolognina”, secondo il sociologo, che la sinistra italiana volge le spalle ai sinceri tentativi di Berlinguer di gettare ponti con il mondo cattolico, poiché abbraccia istanze tipiche di “un partito radicale di massa anti-clericale”.
Ma come si arriva a questa situazione? Per capirlo bisogna immergersi nell’ambito culturale dei primi anni ’90, che investe non solo la sinistra. Si tratta – spiega Sorbi – “di un processo di secolarizzazione che spinge la generazione giovane che ha gestito il traghettamento verso il Pds ad abbracciare – aggiungo sfortunatamente – questa cultura liberale portata sino alle sue estreme conseguenze”. Un abbraccio mortale, di cui furono massimi interpreti “i Darendhorf, i Bobbio e tutte quelle componenti estremiste che hanno dominato la social-democrazia europea negli ultimi decenni”. Sorbi avverte da parte loro una vera e propria “smania” di “distruggere la peculiarità italiana, basata sul dialogo tra la sinistra e il mondo cattolico”.
E oggi? È possibile riannodare i fili con quel passato di dialogo? O conciliare l’antropologia cristiana con le istanze sociali della sinistra è mero esercizio utopico? Sorbi ritiene che in questo momento storico vi sia invece “una grande occasione”. È ormai lampante, osserva il sociologo, che “una sinistra minata al suo interno da un’ideologia nichilista, come quella espressa dal massimo anticlericalismo di Zapatero in Spagna e da Hollande in Francia, sia condannata a perdere sempre”.
Un segnale in controtendenza, la cui testimonianza concreta sono i risultati elettorali, lo offre in Italia la figura di Matteo Renzi. Secondo Sorbi l’attuale presidente del Consiglio “riapre a sinistra una possibilità di collegamento con le componenti umanistiche presenti nel mondo cattolico, specialmente con le elaborazioni sui temi della vita e della famiglia di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI”.
La considerazione di Sorbi può apparire ardita, soprattutto se letta alla luce della promessa di una legge sulle unioni civili che Renzi ha recentemente ribadito all’Assemblea del Partito Democratico. Eventualità che sembra non preoccupare il professore, giacché la considera una sorta di inevitabile dazio che ogni governo, a prescindere dal suo colore politico, deve pagare a “un certo tipo di richieste del radicalismo gay”. Attenzione però, un dazio reiterato si trasforma in un salasso. Come quelli che hanno pagato, in termini di voti, le “sinistre nichiliste” in Spagna e Francia.