L'Iraq nella morsa dei jihadisti

I miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) sono alle porte di Baghdad. Mentre l’Onu denuncia esecuzioni sommarie a Mosul, la spirale di violenza rischia di contagiare Paesi stranieri

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Appare inarrestabile in Iraq l’avanzata dei militanti jihadisti delloStato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil). Dopo aver conquistato buona parte della zona settentrionale del Paese e aver spostato i combattimenti a Baquba, 50 km a nord di Baghdad, i guerriglieri si avvicinano sempre più alla capitale. “Nella capitale si percepisce un clima di apprensione e di grande paura. Molti servizi pubblici sono bloccati e la circolazione è stata chiusa in alcune strade”. Lo dice all’agenzia Misna monsignor Benjamin Sleiman, arcivescovo di Baghdad dei Latini.

“In realtà la ribellione è presente già da tempo a Baquuba, quindi non c’è da stupirsi per i combattimenti in corso” aggiunge il presule, che chiede ai leader iracheni di “lavorare e assumersi le proprie responsabilità per il bene del Paese e della gente”.

Le parole espresse sull’insofferenza diffusa in Iraq da mons. Sleiman, trovano in parte conferma in padre Paolo Thabit Mekko, sacerdote caldeo. Allontanatosi da Mosul dopo l’arrivo dell’Isil e attualmente rifugiato a Kramles, nella Piana di Ninive, padre Thabit spiega all’agenzia Fides: “Tra i gruppi di uomini armati che da lunedì sera hanno preso il controllo di Mosul la gran parte sono iracheni, della stessa Mosul o delle aree circostanti. Non sono tutti etichettabili come ‘terroristi’ stranieri. Alcuni di loro arringano la folla per la strada, dicono di voler garantire l’ordine, proteggere la popolazione e combattere contro l’ingiustizia del governo di Baghdad”.

Non la pensa così L’ayatollah sciitaAl-Sistani, che nelle scorse ore ha di nuovo incitato l’esercito iracheno a combattere contro “il fanatismo”. In una fatwa da lui emanata, si legge: “La situazione in Iraq è molto grave e chi è in grado di farlo deve prendere le armi per difendere la patria”. Il testo prosegue affermando: “Affrontare i gruppi militanti è responsabilità di tutti gli iracheni, non di una setta o di un partito in particolare, giacché costoro (i miliziani Isis), mirano a conquistare tutte le province, in particolare quelle sacre come Baghdad”.

Secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal che cita fonti di sicurezza iraniane, il sostegno concreto all’esercito iracheno potrebbe giungere anche dall’Iran, il quale starebbe per inviare tre battaglioni delle forze speciali dei Pasdaran (corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica) in Iraq per affiancare i soldati di Baghdad.

Il coinvolgimento straniero non si limita all’Iran. Le milizie islamiste sono, infatti, alle porte del Kurdistan iracheno, una regione autonoma ricca di petrolio dove le aziende turche hanno un ruolo di primo piano. L’atmosfera si fa incandescente, chiamando in causa Ankara ma non solo. I leader del Pkk hanno affermato di essere “pronti a lottare per difendere il popolo del Kurdistan”.

Intanto la Commissione Onu per i diritti umani ha confermato le esecuzioni sommarie di civili e soldati da parte dei jihadisti dell’Isil a Mosul: 100 i morti in 48 ore di scontri, oltre mille i feriti.

(A cura di Federico Cenci)

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ZENIT Staff

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