"Pirandello e Péguy: il velo e l'evento"

A Salerno, l’incontro con il poeta Davide Rondoni

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«Gramsci ha affermato che nel teatro pirandelliano ci sono come delle bombe a mano, il cattolico Carlo Bo ha sostenuto che, nelle parole di Péguy, c’è tanto di quell’esplosivo da far saltare tutta la nostra tranquillità». Con queste parole Davide Rondoni – poeta, scrittore e direttore del Centro di Poesia Contemporanea dell’Università di Bologna – ha aperto l’incontro promosso dall’associazione culturale salernitana “Veritatis splendor” sulla tensione ideale tra due grandi autori del secolo scorso.

Luigi Pirandello nasce nel 1877, Charles Péguy nel 1873. Quest’ultimo muore in battaglia nel 1913 durante la prima guerra mondiale, il primo nel 1936. Entrambi vivono negli stessi anni e hanno una vita non facile, eppure entrambi sono consapevoli che «la vita non è riconducibile a nessuna teoria sulla vita». Come ha rilevato nell’intervento introduttivo il Prof. Marco Di Matteo, Presidente della suddetta associazione, bisogna evitare anche in letteratura ogni forma di riduzionismo. Infatti un approccio ideologico all’autore siciliano, quale quello individuato dalla critica letteraria nella contrapposizione tra la ‘forma’ e la ‘vita’, impedisce di comprendere il significato profondo della sua produzione, che mira invece a cogliere la realtà in tutti i suoi fattori.

«Sia Pirandello che Péguy – ha sottolineato Davide Rondoni – mettono in discussione la tranquillità di ‘un’anima bella e fatta’, come quella dell’intellettuale moderno che pretende di conoscere tutto mediante l’analisi, e quindi crea un sistema, una teoria in cui non può rientrare tutta la realtà». Infatti, scrive Péguy, un sistema non è che «una realtà monca». Purtroppo saranno i regimi totalitari del secolo XX a mostrare in maniera drammatica l’assurdità di tale pretesa umana di ridurre la realtà a sistema ideologico. Dunque Pirandello e Péguy, pur provenendo da mondi culturali differenti, poiché l’uno aderisce al Partito Fascista, mentre l’altro accoglie con favore l’utopia socialista prima di convertirsi al cattolicesimo, trovano nella scrittura una modalità privilegiata per conoscere la verità della realtà delle cose e la via per andare al cuore dell’esperienza umana.

«Nei Sei personaggi in cerca d’autore, Pirandello compie un’opera di smontaggio del teatro, dei ruoli, dei personaggi, della realtà stessa in maniera artisticamente geniale», allo scopo di mostrare la difficoltà delle parole di dire le cose e l’incapacità d’intendersi sul piano comunicativo pur parlando la medesima lingua. «Quand’anche io dicessi mamma – ha proseguito Rondoni – voi dovete tradurre questa parola nella vostra esperienza di mamma e può darsi che non ci si intenda». Nella sua genialità Pirandello non decostruisce soltanto il linguaggio, ma la stessa idea che l’uomo ha della propria coscienza. Infatti in un celebre dialogo dell’opera teatrale Ciascuno a suo modo emerge che la coscienza non è altro che un gioco, una finzione che ciascuno compie con se stesso, ove il mondo è ridotto a un teatro in cui ognuno fa pensare agli altri quello che vuole, così da darsi ragione soltanto sulla base di principi generali, senza tener conto dei casi particolari concreti in cui quei principi devono poter essere applicati. In questo modo lo scrittore di Agrigento infrange tutte le presunte certezze della società borghese. Tuttavia egli non è un nichilista. Parafrasando Goethe, Rondoni ha ricordato che Pirandello si è sforzato di cercare il tutto in tutto questo nulla.

Un critico siciliano, Pietro Mignosi, autore de Il segreto di Pirandello, ha sostenuto che il problema di Pirandello è sostanzialmente un problema religioso. Davide Rondoni ha ripreso quest’acuta osservazione, citando un passaggio di una lettera dello stesso drammaturgo agrigentino all’amico Pietro: «Caro Mignosi, lei ha ragione. Questo è il segreto della mia opera. Nessun critico, nemmeno di quelli che mi osannano l’ha capito e lo dirà mai. Quindi lei sarà avversato, non avrà fortuna con questo suo libro (…) Cristo è caritas, è amore (…), non c’è nessuna legge, non c’è nessuna norma morale, non c’è nessuna istruzione per l’uso che trovi la forma di equilibrio tra la forma e la vita, tra il fluire e il permanere, non c’è nessuna regola che riesca a trovare il punto giusto. Nessuno l’ha mai trovato. Nessuna formula matematica trova il punto tra il fluire dell’esistenza e il permanere di qualcosa, tra la morte e la vita, non c’è nessuna regola che riesca a trovare questo punto. Solo l’amore lo trova, anzi, solo l’amore lo è; ed è risolto il conflitto tra apparire e essere, tra quello che io dico e quello che tu capisci».

Allo stesso modo anche lo scrittore francese Péguy aveva maturato la consapevolezza che l’avvenimento cristiano fosse l’unica risposta credibile ai bisogni più profondi del cuore umano, quali l’anelito alla verità, al bene e alla felicità, che sono le domande perenni dell’uomo in ogni epoca storica.


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Fabio Piemonte

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