“La droga mi faceva sentire bene ma non mi ero accorto che stavo scivolando verso la buca della morte”. È iniziata con queste parole, forti come un pugno nello stomaco, la testimonianza di Biagio, un ex carcerato napoletano che ha testimoniato domenica scorsa durante la 37° Convocazione del Rinnovamento nello Spirito Santo allo Stadio Olimpico di Roma.
Prendendo la parola al termine della Santa Messa celebrata dal cardinale Stanislaw Rylko e poco prima dell’arrivo di papa Francesco, Biagio ha raccontato del giorno in cui sua madre era in fin di vita e lui si procurava soldi davanti all’ospedale, facendo il parcheggiatore.
Nel 1997, quattro mesi dopo la morte di sua madre, Biagio viene arrestato. In carcere, però, “Gesù si presentò alla porta del mio cuore, donandomi raggi di luce e di misericordia”.
È infatti durante la detenzione che Biagio, inizia ad andare a messa, nella cappella del carcere e a frequentare i gruppi di Rinnovamento nello Spirito Santo, “che ho amato subito”, ha detto, dovendo interrompere per qualche attimo il discorso per la commozione.
Sotto la guida del cappellano don Ferdinando, il detenuto recita il rosario e la coroncina della divina misericordia e, dopo poco tempo, si fa lui stesso Buon Samaritano per i suoi “compagni di sventura”, invitandoli a sua volta a venire alla messa, dove fa il chierichetto.
In un mondo come quello del crimine, “è difficile cambiare vita” e “ci si vergogna che Gesù sia la salvezza”. Per essere “forti e rispettati”, spiega l’ex detenuto, bisognava “ragionare come loro”, ovvero come gli altri criminali.
Un giorno, un compagno di detenzione si avvicina a Biagio, esortandolo a pregare per un altro carcerato che il giorno dopo si sarebbe presentato in tribunale per il procedimento penale.
“Per me fu una grande gioia – ha raccontato -. Capii che i miei compagni di sventura, dopo avermi deriso, ora sapevano che Gesù li poteva liberare, leggendo la Bibbia e i libri dei santi”.
“Capii anche – ha proseguito l’ex detenuto – che dovevo rapportarmi a Dio come fossi un bambino e decisi di scrivere una lettera al Padre Celeste: Gli chiesi di farmi conoscere una ragazza perché ero solo e desideravo formare una famiglia. Poco dopo incontrai Lucia, oggi mia moglie”.
Intanto si avvicinava il giorno della scarcerazione ma Biagio prova un’oscura “paura di affrontare la libertà”. Per superare il blocco psicologico, decide di scrivere al gruppo di Rinnovamento nello Spirito di Pozzuoli, che attualmente frequenta da 14 anni.
Recentemente Biagio è tornato in carcere ma come volontario. Nel raccontare ciò, si è levato l’applauso e l’ovazione dei 52mila dell’Olimpico.
Il giorno seguente è stato il turno di un giovane immigrato senegalese, Abramo Sylla, che ha testimoniato come l’integrazione sia davvero possibile, tanto più se supportata da una fraterna carità cristiana.
Pur venendo da una famiglia povera, Abramo, che parla cinque lingue, si è laureato nel suo paese e, subito dopo, si è trasferito a Parigi, dove ha aperto un’attività imprenditoriale, inizialmente rivelatasi fortunata.
Dopo lo scoppio della crisi economica mondiale nel 2009 e il fallimento della sua impresa, Sylla si è trasferito in Italia, andando a lavorare nei frutteti di Rosarno, assieme a molti altri africani, in un contesto di miseria e di sfruttamento. “Anche io ero in mezzo a quell’inferno ma non perdevo la speranza per una vita più giusta”, ha raccontato.
Abramo ha poi preso contatto con il Rinnovamento nello Spirito Santo, dove gli hanno chiesto il curriculum. Lui, però, chiede di non tenere conto delle sue “conoscenze” e dei suoi “titoli” e precisa di volere “solo lavorare”.
È Salvatore Martinez in persona a proporgli di diventare operatore in una comunità di accoglienza per ex detenuti a Caltagirone. “Lì ho poi iniziato a svolgere l’attività di mediatore culturale e linguistico per un gruppo di 18 ragazzi che, dopo essere sbarcati a Lampedusa avevano trovato accoglienza presso la comunità”, ha raccontato Abramo.
“È difficile essere operatore di pace ma è bello vedere i frutti della giustizia”, ha aggiunto, ricordando come, grazie al suo “sì iniziale” tanti disoccupati, anche italiani, hanno potuto trovare lavoro. “Ho imparato che non dobbiamo farci rubare i doni che Dio ci ha dato ma dobbiamo metterli a servizio per farli fruttificare”, ha quindi concluso Sylla.