Nonostante lui stesso l’abbia definita solo uno “schizzo di catechesi”, la riflessione del cardinale Carlo Caffarra sulla coniugalità, pronunciata ieri durante l’incontro con l’associazione “Famiglie per l’Accoglienza”, a Bologna, è stata invece una profonda e lucida analisi della dimensione ‘divina’ del matrimonio. Un Sacramento del cui aspetto ‘sacro’ è rimasto poco oggi, essendo spesso svalutato e diluito in innumerevoli diatribe politico-legali che a volte finiscono anche per assumere le vesti di infauste norme giuridiche.
Se ormai, nel tempo attuale, si parla di matrimonio solo per tirare in ballo argomenti come divorzi-lampo e unioni civili e omosessuali, l’arcivescovo di Bologna è tornato invece alle fonti del Sacramento, ricordando che “esiste una relazione fra il rapporto Cristo-Chiesa e il rapporto fra lo sposo e la sposa”: una relazione di natura “misterica”, come direbbero i Padri della Chiesa.
Essa si comprende alla luce della “economia dell’Incarnazione”, vale a dire “il comportamento di Dio nei nostri confronti”, il modo in cui Egli “si manifesta in modo supremo e definitivo in Gesù, il Verbo fattosi uomo”. “La parola umana detta da Gesù è un grande ‘mistero’”, ha affermato Caffarra, come lo è pure “l’atto con cui Gesù dona se stesso sulla Croce”, che “dice umanamente l’amore divino verso l’uomo”.
Questo “modo di comportarsi” del Verbo incarnato continua anche oggi: “Egli rivela e realizza la redenzione dell’uomo servendosi di realtà umane”. Anzitutto con i Sacramenti, ma anche attraverso il rapporto coniugale nel quale “è presente il Mistero dell’unità di Cristo colla Chiesa”. Il matrimonio, partecipando della “natura” di tale mistero di unione tra Gesù e la Chiesa, ne è pienamente e totalmente “impregnato”, ha rimarcato il cardinale.
Come in ogni sacramento, poi, anche in quello del matrimonio si possono distinguere “tre strati”. Nel caso dell’Eucarestia, ad esempio, il primo strato è quello “più semplice, visibile, constatabile” delle specie eucaristiche: il pane ed il vino consacrati che in realtà sono il Corpo e il Sangue di Cristo (secondo strato), rappresentati dal cibo proprio per dimostrare che “Cristo vuole unirsi a noi” formando “Lui e noi, un solo corpo” (terzo strato).
Analogamente nel matrimonio, – ha spiegato l’arcivescovo di Bologna – esiste un primo strato che è l’uomo e la donna che “si scambiano il consenso ad essere e vivere come marito e moglie”, significando così una realtà non visibile: “la reciproca, definitiva, appartenenza”. Ovvero il vincolo coniugale (secondo strato) che, però, “non è un vincolo morale e legale in base al principio ‘i patti, i contratti si rispettano’” – ha precisato il porporato – bensì “una relazione che dà una nuova configurazione alla persona dei due coniugi”, e che “esige di realizzarsi nella carità coniugale (terzo strato)”.
“L’unione di Cristo e della Chiesa è significata realmente dal vincolo coniugale”, ha evidenziato il caredinale Caffarra. Gli sposi, cioè, “sono congiunti l’uno all’altro con un legame in cui dimora il legame di Cristo colla Chiesa”. Quello stesso legame che Sant’Agostino definiva il “bene del sacramento”.
Un Sacramento, quello del matrimonio, che, come per il Battesimo, è racchiuso tutto in un gesto “che dura un istante”: l’acqua versata sul capo, nel primo caso; lo scambio del consenso, nel secondo. L’effetto che si ottiene, tuttavia, è “una realtà permanente, che configura per sempre la persona a Cristo”.
In questo senso i due sposi sono solo “ministri del sacramento”: “Il vincolo coniugale è ‘prodotto’ da Cristo stesso”, ha spiegato l’arcivescovo, mentre i due sposi “consentono che Cristo li vincoli nella modalità sacramentale”. Ecco perché, ha aggiunto, “nessuna autorità, compresa quella del Papa, può rompere un vincolo coniugale quando ha raggiunto la sua perfezione sacramentale”.
Si capisce allora perché la coniugalità sia un così “grande mistero”, per dirla alla San Paolo, e soprattutto sia “un dono” elargito da Cristo. “Il vincolo coniugale per sua stessa natura chiede di penetrare profondamente nella mente, nel cuore, nella libertà, nella psiche degli sposi: in tutta la loro persona”, ha sottolineato il porporato.
A questo scopo, Gesù dona un dono nel dono agli sposi: la “carità coniugale“, caratteristica propria dei coniugi che, nella Chiesa, assume “una colorazione” diversa rispetto alla carità pastorale o a quella verginale. “La carità coniugale – ha osservato Caffarra – si radica nella naturale attrazione reciproca con cui Cristo ama la Chiesa e la Chiesa Cristo”. Essa, inoltre, “si esprime anche nel linguaggio del corpo”, facendo sì che “i due diventino una sola carne” capace “di un’accoglienza e di una gratuità splendida”.