La Visione di san Bernardo è uno dei grandi capolavori dipinti da Filippino Lippi, figlio del non meno grande Filippo Lippi. Fu eseguito con la tecnica della tempera su tavola nel 1486. come ci ricorda il Vasari nelle sue famosissime Vite: «Filippino, fece poi a tempera alle Campora, alla Cappella di Francesco del Pugliese, una tavola di san Bernardo al quale apparisce la Nostra Donna con angeli, et esso è in un bosco che scrive; la quale è tenuta mirabile in alcune cose, come in sassi, libri, erbe e simili figure ch’egli drento vi fece, oltra che vi ritrasse Francesco di naturale che non li manca se non le parola; questa tavola fu levata per l’assedio di Fiorenza di quella cappella e messa in Fiorenza nella Badia in sagrestia per conservarla». Questa tavola, ricordata nella chiesa delle Campora a Marignolle dall’Albertini, dal Libro di Antonio di Billi e dall’Anonimo Magliabechiano, per l’assedio di Firenze nel 1529 fu trasportata nella sagrestia della Badia fiorentina ed esposta poi nella chiesa, dove si trova tuttora. La struttura compositiva del dipinto risulta, a prima vista, semplice, ma dietro questa apparenza si rincorrono in tutta la tavola una miriade di elementi che lo rendono un capolavoro assoluto per la capacità di comprendere, in forma pittorica, la ricca complessità della statura ascetica e teologica di san Bernardo. In primo piano, nella tavola, vediamo san Bernardo rappresentato seduto in uno scrittoio ricavato da un tronco d’albero tagliato, relativamente giovane, intento alla scrittura, circondato da una copiosa quantità di testi, in una ambientazione naturale, una sorta di dirupo scosceso simile ad una grotta di anacoreta se per la mancanza della volta. Anzi, proprio il fatto che la volta è assente ci permette di vedere sulla sinistra un paesaggio che, sotto un cielo diurno, si perde in una serie di colline verdeggianti fino all’orizzonte. Bernardo è intento alla scrittura come dicevamo, però è distolto dall’apparizione di Maria che, circondata da quattro angeli, sfoglia le pagine del libro sul tavolo dello scrittoio intessendo con lui un dialogo. Bernardo alzando appena le mani dai fogli -recando ancora una penna nella mano destra- le dispone come nell’atto di pregare e, abbassando leggermente il capo in segno di devota umiltà, guarda con occhi contemplanti quella mistica quanto inattesa apparizione. Maria, con la destra tocca i fogli appena vergati con l’inchiostro, e con la sinistra, portata al seno, indica se stessa. San Bernardo è colto proprio nel momento in cui sta scrivendo uno dei famosissimi sermoni sulla Vergine. Filippino Lippi con estrema chiarezza dipinge, tra i volumi accatastati alla destra del santo, un libro aperto che reca scritte le parole in latino del capitolo primo del Vangelo di Luca che recita: «Missus est angelus Gabriel a Deo... “Fu inviato l’angelo Gabriele”(Lc 1,26)» Il testo è scritto, come dicevamo, con abbreviazioni e in caratteri gotici in latino, questo per descrivere in maniera inequivocabile il contesto storico e culturale del santo, che nato «in Borgogna nel castello di Fontaine da genitori di gran nobiltà e molto religiosi» secondo le informazioni che Jacopo da Varazze ci offre nel testo della Legenda Aurea (finito di scrivere nel 1277 a circa cento anni dalla canonizzazione di san Bernardo ad opera di Alessandro III, nel 1174) al capitolo CXX a lui dedicato, secondo il calendario liturgico, nel giorno della sua festa, appunto il 20 di agosto. Nella Legenda Aurea si narra anche di un episodio occorso a Bernardo quando era ancora bambino, proprio nella notte di Natale e rammentando quella apparizione «più tardi, scrisse un eccellente libretto in lode della Madre e del Figlio, una delle sue prime opere, nella quale spiegò il versetto: “Fu inviato l’angelo Gabriele”(Lc 1,26)». Nel dipinto di Lippi, troviamo poi molti altri elementi che ci raccontano la figura del santo, attraverso una serie di rimandi dotti e spirituali: come, per esempio, le figure demoniache nascoste sotto lo sperone di roccia in basso a destra. Una di queste figure è rappresentata mentre morde la catena che lo imprigiona, denunciando un moto di rabbia incontenibile. Ma, non dobbiamo meravigliarci di questa presenza demoniaca, in quanto è un consueto attributo del santo, allegoria della vittoria sulle tentazioni, operata attraverso una vita di ascetiche privazioni, come la scritta su un cartiglio affisso sulla roccia poco sopra il suo capo ricorda: “Substine et Astine”, che potremmo tradurre liberamente in “vivi con sottomissione e astinenza”. Infatti, lo stesso san Bernardo scrive in un suo sermone: «è meglio l’obbedienza che le vittime, e l’uomo paziente vale di più di quello forte. La disobbedienza è causa di morte: tutti lo sperimentiamo, tutti a causa di essa moriamo. L’impazienza è causa di perdizione perché dice il Signore: Nella vostra pazienza possederete le vostre anime.».
Osservando ancora il dipinto, incontriamo alcune piante, una piccola sotto il tronco, ai piedi di Bernardo, ripetuta più volte anche tra gli spuntoni di roccia della rupe, e l’altra dietro le spalle del devoto committente. Proprio nelle piante, Filippino cita in maniera diretta, ancora una volta, la Legenda aurea, in quanto all’inizio del capitolo su san Bernardo, viene proposta una etimologia del significato del nome del santo: «che deriva da “ber”, che vuol dire pozzo o fonte e da “nardo” che è un’erba umile ed odorifera. Infatti Bernardo, fu umile nel suo modo di vita, fonte nell’inesauribile riversarsi della sua dottrina, pozzo nella profondità della scienza, odoroso nel profumo della sua fama». La piantina ai piedi di san Bernardo è, in effetti, una lavanda selvatica, cioè proprio un nardo dal quale Jacopo da Varazze fa derivare il nome di Bernardo. L’altra piantina è di rose con chiaro riferimento a Maria, è suo peculiare attributo, ma in questo caso Filippino ritrae una Rosa moschata, che, ricordando nell’odore il profumo muschiato proprio del nardo -erba appartenete alla famiglia delle Valerianacee, dalla quale si estrae, appunto, un olio essenziale dal forte profumo di muschio-, sottolinea la declinazione tutta bernardiana di quella pianta di rose, evidenziando proprio nella gamma dei suoi profumi quella particolare devozione che Bernardo (nardo) nutrì sempre per Maria (rosa). E che questo dipinto sia costruito come un grande ricamo attorno alle parole di Bernardo sul tema della Vergine Maria, costituendolo di fatto come un contrappunto pittorico alle profondità della scienza e della dottrina dei suoi sermoni, è evidenziato da due elementi naturalistici che si contrappongono, in maniera non accidentale, e cioè: luce e buio. In alto a sinistra, nel cielo le nubi si diradano permettendo ad una luce dorata di diffondersi nel dipinto, luce che illumina, riflettendosi nelle aureole degli angeli e di Maria, tutto il paesaggio con una luce diurna; al polo opposto, in basso a destra, sotto le rocce animate dai demoni, il buio delle tenebre. « “Il giorno al giorno ne affida il messaggio”(Sal 18,3). Il giorno al giorno, l’angelo alla Vergine. Giorno è detto l’Angelo per le beatitudine, giorno la Vergine per la virtù dell’integrità. “E la notte alla notte ne trasmette notizia” (Sal 18,3). Notte è il serpente per la sua malizia. “Il giorno al giorno ne affida il messaggio”(Sal 18,3). La divinità alla verginità, dal seno della paterna maestà all’utero della materna integrità. In altro senso: Dio Padre all’anima illuminata per la fede.». Proprio da queste parole di Bernardo comprendiamo il senso del dipinto, che vuole essere, nelle intenzioni del committente e nella realizzazione dell’artista, non solo devozionale come ci aspetteremmo, ma anche mezzo di meditazione sulla figura di Maria, contemplata da san Bernardo nel momento dell’Annunciazione per mezzo dell’angelo, evocata dal brano di Luca attraverso il libro aperto posto tra gli altri volumi, tanto che l’opera diviene meditazione sull’Incarnazione, secondo le stesse parole del santo: «La Sapienza, dunque, che era di Dio, ed era Dio, venendo a noi dal seno del Padre, si è edificata una casa, cioè la sua stessa madre, la Vergine Maria».
Filippino Lippi, per mezzo della sua arte, ha così raffigurato quel giorno di luce, che risplende nell’anima di chi guarda a Maria e la contempla, riconoscendola come la casa purissima del Verbo Incarnato.
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Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio.
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