“I nuovi linguaggi dei giovani”; “la nuova cultura dei giovani”; “le nuove tecniche di comunicazione dei giovani”. Si fa tanta retorica oggi su tutto quello che riguarda l’universo giovanile. Ma è davvero così difficile comprendere le nuove generazioni?
È vero che non si parla di un mondo semplice e che tante cose sono radicalmente cambiate. Se nel 1828, un timido e giovane Leopardi compose ben 63 versi per descrivere “a Silvia” i suoi sentimenti; ad un ventenne di oggi basterebbero 140 caratteri o un sms per dirti quanto “tvtttb”.
È vero che si è di fronte ad una “nuova lingua” che utilizza il 10% del vocabolario italiano. Ed è vero che l’attuale modo di comunicare “al dialogo fatto di contatti diretti visivi, olfattivi” ha sostituito “il freddo chattare virtuale attraverso lo schermo”.
Quindi cosa fare? Astrarsi da tutto questo rifugiandosi nei luoghi comuni del “tanto con i giovani non si può parlare perché stanno sempre al telefonino”? Oppure provare ad instaurare con loro un dialogo, cercando un comune punto di incontro e scoprendo che dietro certe mode di massa e certe logiche pragmatiche c’è sempre una “domanda di senso”?
Su questa “sfida” è incentrata, quest’anno, l’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura, presentata oggi nella Sala Stampa vaticana, che si svolgerà a Roma dal 6 al 9 febbraio e sarà dedicata al tema Culture giovanili emergenti.
Un tema da sempre caro al Presidente del Dicastero, il cardinale Gianfranco Ravasi, porporato dalla cultura infinita e dalle ampie vedute, che per capire cosa si trova nel cuore dei giovani, ha provato prima ad entrare dalle loro orecchie, inserendo nella sua raffinata track list musicale i cd di Amy Winehouse.
“Già in partenza mi accorgo che il loro udito è diverso dal mio – ha confidato Ravasi ai giornalisti – Eppure in quei testi così lacerati musicalmente e tematicamente emerge una domanda di senso comune a tutti”.
“I nostri ragazzi sono nativi digitali – ha affermato – e la loro comunicazione ha adottato la semplificazione del twitter, la pittografia dei segni grafici del cellulare”, secondo una “logica informatica binaria del save o delete” che veicola anche la loro morale.
Una morale “sbrigativa”, secondo il cardinale, che, con segnali come il tatuaggio, la movida notturna, le gang, “l’estetica del trasandato, del trash e del graffito”, rende evidente che “l’emozione immediata domina la volontà, l’impressione determina la regola, l’individualismo pragmatico è condizionato solo da eventuali mode di massa”.
Questi, però, non sono per Ravasi dei capi d’accusa, quanto delle richieste d’aiuto nascoste dietro una volontaria “visiera” che i giovani calano “per autoescludersi”. Anche perché, ha sottolineato il porporato, “noi adulti li abbiamo esclusi con la nostra corruzione e incoerenza, col precariato, la disoccupazione, la marginalità”.
“Anche il loro passeggiare per le strade – ha aggiunto – con l’orecchio otturato dalla cuffia delle loro musiche segnala che sono ‘sconnessi’ dall’insopportabile complessità sociale, politica, religiosa che abbiamo creato noi adulti”. Un campanello d’allarme, quindi, per genitori, maestri, preti e classe dirigente.
Tuttavia, ha osservato Ravasi, non è corretto identificare il mondo giovanile come “diverso” e “negativo”. Seppur annebbiato “da una coltre di apparente indifferenza”, esso è lo stesso mondo che “contiene semi sorprendenti di fecondità e autenticità”, composto cioè dalle stesse persone che di loro iniziativa si impegnano nel volontariato, si appassionano “per la musica, per lo sport, per l’amicizia” e che vivono “una originale spiritualità”.
“Per questi e tanti altri motivi mi interesso dei giovani” ha affermato il cardinale. Giovani che – ha ricordato – “sono il presente e non solo il futuro dell’umanità”. Basti pensare che dei cinque miliardi di persone che vivono nei paesi in via di sviluppo, “più della metà sono minori di 25 anni, l’85% dei giovani di tutto il mondo”.
In tutto questo contesto è richiesto un compito alla Chiesa: non tanto imparare a parlare ai giovani d’oggi modificando le proprie “strategie” di annuncio con moderne e spesso improbabili forme di linguaggio, ma piuttosto imparare a leggere “le culture giovanili emergenti” in continua trasformazione.
La Chiesa, quindi, nella veste del Dicastero della Cultura – ha spiegato Ravasi – non si preoccuperà, durante la Plenaria, di analizzare la “fede dei giovani” secondo gli “schemi freddi” della psicologia o di quella sociologia che parafrasata diventa “ciò lo so già”. Ma punterà invece sulla “fede nei giovani”, ovvero “sulla fiducia nelle loro potenzialità, pur sepolte sotto quelle differenze che a prima vista impressionano”.
Tale obiettivo si rifletterà nel programma della tre giorni, esposto oggi in conferenza da monsignor Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, delegato del Pontificio Consiglio per la Cultura. A dare il via, l’Udienza di Papa Benedetto XVI ai partecipanti che “incentiverà i lavori”. Nel pomeriggio, invece, si terrà nell’Università Lumsa una conferenza del sociologo David Le Breton arricchita da un concerto della rock band cristiana “The Sun”.
Seguiranno poi giornate dedicate a temi come: la “cultura digitale”, con l’aiuto dell’esperto Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica; l’“alfabeto emotivo” secondo il parere della studiosa americana e blogger Pia De Solenni; e il “generare la fede” affrontato dal teologo don Armando Matteo.
Ci saranno, inoltre, momenti di ascolto reciproco attraverso le esperienze di giovani provenienti dai diversi continenti. Un modo questo per abbattere quel muro di “indifferenza” che spesso condiziona gli stessi ragazzi e – come ha affermato oggi nella sua testimonianza il “giovane” Alessio Antonelli – per riuscire ad “esprimere le esigenze dettate dal mondo in cui una generazione come la mia sta crescendo, quella dei nativi digitali”.