L’attuale progetto dell’Europa è stato costruito sulla finanza e non sui popoli e sul bene comune. Queste osservazioni sono state più volte ribadite da Benedetto XVI, in particolare nella 46esima Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2013.
L’attuale campagna elettorale sta entrando nel vivo, ma, com’era facile prevedere, i veri temi – quelli cioè che riguardano il futuro del paese, la sua capacità di vincere le sfide che ha davanti – continuano a restare inspiegabilmente sullo sfondo.
Tra i temi fondamentali, c’è quello che riguarda i nostri impegni con l’Unione europea e le sue strutture tecnico-finanziarie. Un altro elemento è relativo alla sostenibilità della costruzione dell’Europa monetaria.
Nel luglio del 2012 il nostro Parlamento ha approvato, in un clima silente, due importanti trattati che incideranno sul nostro presente e futuro: quello sul Fiscal compact e quello sul Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).
Il primo impegna il nostro paese a ridurre il debito pubblico nei prossimi venti anni, fino a portarlo entro la soglia stabilita dal Trattato di Maastricht (60% del PIL). Considerato che il debito italiano ammonta ormai a circa 2000 miliardi di Euro, che in rapporto al prodotto interno fa il 127%, per raggiungere l’obiettivo del trattato tagliare la spesa pubblica o vendere beni dello Stato per oltre 900 miliardi di Euro in venti anni, 50 ogni anno, 150 milioni ogni giorno.
Il secondo è riferito invece all’istituzione del cosiddetto “Fondo salva stati”, un plafond di 650 miliardi di Euro che l’Europa metterebbe a disposizione, previa accettazione di vincoli stringenti dal lato della riduzione della spesa, dei paesi a rischio bancarotta. Chi alimenterà questo fondo? Gli Stati membri, in rapporto alla loro ricchezza (PIL). L’Italia ha dovuto sottoscrivere quote per il 18% dell’intero capitale, per un importo di circa 125 miliardi di Euro, da versare in 5 anni.
Si tratta di somme ingenti, quindi la prima domanda è:dove prenderà i soldi il nostro paese per onorare questi impegni? Sicuramente, per “stare in Europa”, chiunque vince le elezioni dovrà da una parte, effettuare una significativa contrazione della spesa pubblica, dall’altra, vendere asset statali (vendita e non svendita). Infine operare un ulteriore inasprimento generalizzato della pressione fiscale, diretta ed indiretta. Questo comporterà meno servizi e tutele per i cittadini, meno stato sociale, più tasse. Con tutte le conseguenze, in termini di recessione economica e patrimoniale e di crescita della povertà, che una simile spirale porta inevitabilmente con sé.
Il rischio è che ulteriori tagli al welfare porteranno alla desertificazione della nostra società e dei beni comuni vecchi e nuovi. Il Meccanismo di stabilità ha previsto che questi tagli non saranno sufficienti, per tale motivo ha stabilito che i paesi membri, per finanziare il “Fondo salva stati” potranno fare nuovo debito pubblico.
Come detto in Italia la sofferenza sociale sarà inevitabilmente maggiore a causa dell’enorme debito accumulato negli anni ed al suo peso in rapporto alla ricchezza nazionale (PIL). L’aspetto che va ridiscusso, perché incivile e contrario ai beni comuni non solo dei paesi deboli dell’area euro oltre al fiscal compact, riguarda anche il MES.
Proprio il MES, il meccanismo principe della stabilità finanziaria europea, costruito per non far fallire gli Stati membri dell’Unione con più alto e tortuoso debito pubblico, prevede che quest’ultimo possa aumentare per riempire le sue casse.
Se analizziamo il debito pubblico italiano negli ultimi mesi ha subìto, nonostante i tagli e l’Imu una costante crescita, portandosi al di sopra dei 2000 miliardi di Euro. Leggendo le stime della Banca d’Italia, all’inizio del 2012, il debito pubblico italiano era poco sopra i 1.900 miliardi di Euro. Oggi siamo a circa 2020 miliardi di Euro. Nei 120 miliardi di differenza ci sono anche i versamenti che il paese ha fatto al “Fondo salva stati”.
Un paradosso asociale: il nostro paese si deindustrializza strangolando le imprese e le famiglie con misure di austerità per uscire dalla “crisi del debito”, e, nello stesso tempo, quest’ultimo lievita a dismisura, anche per effetto delle stesse strategie volte a ridurne la consistenza. C’è una logica razionale in tutto questo? C’è un riferimento etico in tutto questo?
A mio avviso no. Questa affermazione è stata fatta anche dal Papa, quando ha detto che non possiamo guardare solo allo spread finanziario, ma anche allo spread sociale. Intanto la politica italiana continua a parlare dei massimi sistemi tanto del nostro destino se ne occupano altrove.