Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi ai lettori di Zenit questa riflessione sulle letture liturgiche, con un’attenzione particolare alla vocazione delle donne consacrate nell’Ordo Virginum e alla dimensione sponsale del battesimo. La loro vocazione è un segno del mistero della Chiesa Sposa di Cristo. Il presule propone anche una lettura patristica.
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LECTIO DIVINA
La Promessa e il suo Compimento: l’Alleanza definitiva
III Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 27 gennaio 2013
Rito Romano
Ne 8,2-4.5-6.8-10; Sal 18; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21
Rito Ambrosiano
Sir 44,25-45,1c.2-5; Sal 111; Ef 5,33-6,4; Mt 2,19-23
Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe.
1) La Promessa realizzata.
Nell’Antico Testamento Dio aveva parlato principalmente promettendo e chiedendo l’osservanza della Legge, che è “luce degli occhi e gioia del cuore” (cfr Sal. 18 B, 4).
Dunque è chiaro il perché, insieme con Esedra, il profeta Neemia, che ha assunto il compito di riedificare le mura di Gerusalemme e ripopolare la città abbandonata, riunisce la comunità ebrea ritornata dall’esilio di Babilonia, e celebra una grandiosa liturgia per conoscere la Legge ed impegnarsi a praticarla.
Sempre nel brano odierno tratto dal libro di Neemia leggiamo che il popolo, ascoltando la lettura della Legge, piange perché sente che la sua vita è messa in discussione e mossa alla conversione. Neemia, il principale organizzatore del ritorno dall’esilio in Babilonia e della rinnovata vita sociale e religiosa incoraggia i presenti: “Oggi è un giorno di festa! Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza”. E lo diceva un uomo, che pur avendo ricostruito le mura di Gerusalemme (siamo nel 444 a.C.) era sicuro che il più valido muro di difesa è la fedeltà alla Legge data dal Signore al suo popolo. Questo profeta invita alla gioia perché è certo che, nonostante tutte le mancanze umane, Dio rimane fedele e che il giorno in cui inizia una vita nuova, convertita alla Legge, deve essere un giorno di festa, di gioia e di condivisione come il pranzo in comune indica.
Nacque allora la pratica ebraica di leggere ogni sabato nella sinagoga un brano tratto dalla Bibbia. Anche nel Vangelo la Parola è al centro dell’assemblea dei credenti. Ivi la Parola è proclamata solennemente, ascoltata attentamente e giustamente viene capita=accolta come messaggio di speranza, di gioia, di liberazione.
Dunque Gesù si inserisce in questa pratica e di sabato entra nella Sinagoga di Nazareth.
Ma solo con Gesù la Scrittura è attualizzata e realizzata pienamente: in Lui si compie la promessa. Gesù fa il suo commento, molto breve; ma in esso si rivela, si presenta, si fa conoscere apertamente come il Messia Salvatore. Sulla bocca di Cristo le parole antiche del profeta Isaia, vecchie di secoli, scritte su un rotolo vecchio diventano trasparenti, attuali, fresche, concrete, splendenti di una rivelazione che si compie. Sono parole che diventano nuove: una buona novella non solo promessa ma realizzata.
La gente di Nazareth (ma non solo) non è pronta, non è attenta al passaggio di Dio; a Nazareth succede il più grande scompiglio. I “suoi” non l’hanno accolto, non si sono aperti alla fede, hanno creduto che fosse un matto, al punto di volerlo gettare dalla rupe.
Gesù è stato chiaro: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi avete udita”. Qual era la Scrittura letta e ascoltata? Era il testo profetico di Isaia: “Lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato ad annunciare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore”. Cristo Gesù è il Messia, l’Unto, il consacrato di Dio, perché ha ricevuto “l’unzione della gioia” divina e nuziale (Sal 44,8). A questo titolo usato nella Bibbia, mi permetto di aggiungere che Gesù è la “Parola indelebile” (Tommaso Federici, nato il 30 aprile 1927 e morto il 13 aprile 2002, fu un notevole Biblista, Patrologo e Liturgista italiano), il Cuore che parla ai cuori, l’Amore che guarisce gli amori umani: Gesù porta ed è la buona e lieta notizia che l’amore di Dio per tutti è senza limiti.
Come evitare di cadere nello stesso grave errore dei concittadini di Gesù, i quali fissarono su di Lui i loro occhi quando cominciò a leggere nella sinagoga di Nazareth, e dopo un primo momento di benevolo stupore, decisero di eliminarlo?
Volgendo, con-vertendo a Gesù non solo gli occhi, ma il cuore e con esso la vita intera. Allora su di noi “sarà impressa la luce del suo volto” (Sal 4,7).
Sull’esempio dei fedeli riuniti nella sinagoga di Nazareth guardiamo fisso verso Gesù in attesa del suo insegnamento, trattenendo il fiato in attesa che Gesù spieghi e completi quello che viene letto. Il loro cuore volto a Gesù, prima che Lui parlasse, era in ansia, dopo fu nello stupore di sentire che la promessa era compiuta. “Felice è quell’assemblea di cui la Scrittura testimonia che gli occhi erano fissi su di Lui” (Origene, Commento al Vangelo di Luca, 32, 2-6).
Purtroppo poi reagirono negativamente. Pe non cadere in questo rifiuto dobbiamo chiedere di aver occhi puri e di fede per vedere che siamo nella pienezza dei tempi, in cui il Salvatore guarisce i ciechi (anche quelli che non vedono le cose celesti, perché chini su quelle terrestri, se lo domandano) e i sordi (anche quelli che non odono la Parola del Cielo, perché le loro orecchie sono otturate dai rumori della terra, se lo implorano), dona il Regno ai poveri (anche quelli che sono immersi nella povertà dell’egoismo, se tendono la mano per esserne tirati fuori), la libertà ai prigionieri (anche quelli che sono legati al peccato, se chiedono di esserne sciolti).
Il tempo è compiuto e l’uomo è ricreato dal Redentore mediante la misericordia, purché contriti domandino questa liberazione donata dall’alleanza nuova. Il Vangelo è la lieta “informazione” che tutto ciò è vero e possibile per sempre. “Il dono supera in abbondanza la domanda” (Sant’Ambrogio, Commento a Luca, 10, 121) e la realizzazione è ancor più grande della promessa.
2) L’Alleanza di misericordia rivolta a Teofilo.
L’alleanza nuova di Cristo è un’alleanza di misericordia, che è abbraccio di pace come quello dato dal Padre al figlio prodigo. E’ un’alleanza nuova che non è più incisa su pietre ma nel cuore, un’alleanza di perdono. Ma il perdono ricevuto implica un dovere: di perdonare. Portati a pienezza dall’Amore che redime perdonando, dobbiamo portare questo amore misericordioso agli altri, al mondo intero. Dobbiamo essere evangelizzatori nuovi recando nel mondo il perdono di Dio. Se Cristo in Croce disse: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”, non potremo dire noi, come quel santo che pregando per i suoi nemici disse: “Signore a che serve che io li abbia perdonati, se tu non li fai entrare in Paradiso”? Sì, lo potremo con la grazia di Dio. Si lo potremo se saremo dei “Teofili” per i quali San Luca ha scritto il suo Vangelo.
Teofilo (dal greco Theos = Dio, philos = amore) vuol dire chi ama Dio e/o chi è amato da Dio. In entrambi i casi – che noi amiamo Dio o che noi desideriamo di essere amati da Dio – dobbiamo leggere il Vang
elo di San Luca come scritto per noi, donato a noi.
Un dono, un dono grande che è fatto non solo di parole: il Vangelo non è una delle tante visioni del mondo, una teoria sul mondo e sull’uomo. Il Vangelo è incontro con la persona di Gesù, che si fa avvenimento della nostra vita e fa della nostra vita un avvenimento della Sua presenza per gli altri.
Il modo migliore per corrispondere a un dono è quello di donare, di donarci a Cristo e di donarci alla sua missione in questo mondo, donarci agli altri con l’impegno quotidiano dei nostri gesti in casa e sul lavoro. In questo ci sia di modello la Santa Famiglia di Nazareth, la cui festa è oggi celebrata dalla liturgia ambrosiana.
Gesù, Maria e Giuseppe, quale comunità di vita sotto la volontà d’amore di Dio (H.U. von Balthasar), vissero la dimensione del dono e del perdono senza limiti (Per-donare è donare all’infinito). Il loro esempio ci chiama ad essere testimoni del dono di Dio che dà luce, senso, bellezza e gioia alla vita del mondo intero.
A questa testimonianza del dono sono chiamate in modo particolare le Vergini consacrate, come recita l’antichissima ed intensa preghiera consacratoria, risalente al IV secolo. Il Vescovo che presiede il rito dell’Ordo Virginum rivolgendosi a Dio tra l’altro recita: “…mentre rimaneva intatto il valore e l’onore delle nozze, santificate all’inizio dalla tua benedizione, secondo il tuo provvidenziale disegno, dovevano sorgere donne vergini che, pur rinunziando al matrimonio, aspirassero a possederne nell’intimo la realtà del mistero. Così tu le chiami a realizzare, al di l</em>à dell’unione coniugale, il vincolo sponsale con Cristo di cui le nozze sono immagine e segno”; e conclude: “In te, Signore, possiedano tutto, poiché hanno scelto te solo al di sopra di tutto”.
In un tempo in cui la verginità è purtroppo poco stimata, perché sembra una mancanza invece che essere compresa nel valore di dono totale di sé che essa rappresenta, le Vergini consacrate testimoniano che è possibile vivere questo dono è grande e lieto e utile. «Voi, vergini consacrate, siete già come angeli su questa terra» (Sant’Ambrogio, De Virginitate). Non nel senso che la loro vita si sottragga alla realtà concreta, ma perché testimoniano già oggi, l’oggi di Cristo, che il destino dell’uomo si gioca in riferimento a Cristo. Esse mostrano che questo dono riempie talmente di gioia la vita da poter diventare definitivo.
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LETTURA PATRISTICA
SANT’AGOSTINO D’IPPONA
LA SANTA VERGINITÀ
http://www.augustinus.it/italiano/santa_verginita/index2.htm
Introduzione all’opera.
1. Or non è molto abbiamo pubblicato un libro su La dignità del matrimonio. In esso esortavamo le vergini di Cristo – come le esortiamo anche adesso – a non disprezzare i coniugi dell’antico popolo di Dio, anche se, paragonandosi con loro, troveranno che il proprio dono divino è più grande e più sublime. Di tali coniugi e del ministero che mediante la generazione dei figli rendevano al Messia venturo fa l’elogio l’Apostolo chiamandoli il buon olivo, per eliminare ogni superbia nell’olivo selvatico che vi è stato innestato 1. Non si deve pensare che fossero inferiori in merito, anche se per diritto divino la continenza in se stessa è più eccellente del matrimonio e la verginità consacrata più eccellente delle nozze. Per loro mezzo, infatti, si preparavano e venivano realizzandosi quegli eventi futuri che noi oggi riscontriamo essersi verificati con meravigliosa efficacia: tanto che la stessa loro vita coniugale aveva un valore profetico, e non va attribuito ai soliti motivi di calcolo personale e di soddisfazione esclusivamente umana se in certuni di loro la fecondità meritò degli onori segnalati e se, in altri, fu resa feconda persino la sterilità. Ogni cosa in loro accadeva per un’arcana disposizione divina. Quanto al tempo presente, invece, coloro cui si riferiscono le parole: Se non riescono a contenersi, si sposino2 non hanno bisogno d’essere incoraggiati ma rasserenati. Mentre gli altri, per i quali sta scritto: Capisca chi può 3, hanno proprio bisogno di esortazione perché non si spaventino, e di salutare timore perché non si inorgogliscano. Non basta quindi elogiare la verginità perché venga amata. Occorrerà anche aggiungere degli ammonimenti perché non si gonfi d’orgoglio.
Dignità delle vergini nella Chiesa, vergine feconda.
2. È quanto intraprendiamo con la presente trattazione. Ci aiuti Cristo, figlio della Vergine e sposo delle vergini, nato fisicamente da un grembo verginale, sposato misticamente con nozze verginali. Se tutta la Chiesa è una vergine fidanzata a un sol uomo, il Cristo4 (come si esprime l’Apostolo), quale non dovrà essere l’onore che meritano quelle persone che custodiscono anche nel corpo l’integrità che tutti i credenti conservano nella fede! La Chiesa ricopia gli esempi della madre del suo Sposo e del suo Signore, ed è, anche lei, madre e vergine. Se infatti non fosse vergine, perché tanto preoccuparci della sua integrità? E, se non fosse madre, di chi sarebbero figli coloro ai quali rivolgiamo la parola? Maria mise al mondo fisicamente il capo di questo corpo; la Chiesa genera spiritualmente le membra di quel capo. Nell’una e nell’altra la verginità non ostacola la fecondità; nell’una e nell’altra la fecondità non toglie la verginità. La Chiesa è, tutt’intera, santa nel corpo e nell’anima, ma non tutta intera è vergine nel corpo, anche se lo è nell’anima. Di quale santità non dovrà dunque rifulgere in quelle sue membra che conservano la verginità nel corpo e nell’anima?
Parentela di sangue e parentela spirituale.
3. Un giorno – racconta il Vangelo – la madre e i fratelli di Gesù (cioè i suoi cugini) si fecero annunziare, ma rimasero fuori casa perché la folla non permetteva loro di avvicinarsi [al Maestro]. Gesù uscì in queste parole: Chi è mia madre? e chi sono i miei fratelli? E stendendo la mano verso i suoi discepoli, disse: Ecco i miei fratelli! Poiché, chiunque fa la volontà del Padre mio, questi è mio fratello e madre e sorella5. Ci insegnava con questo ad attribuire più importanza al nostro parentado spirituale che non a quello carnale. Ci insegnava a ritenere beata la gente, non per i vincoli di parentela o di sangue che vanta con persone giuste e sante, ma perché, attraverso l’obbedienza e l’imitazione, si adeguano al loro insegnamento e alla loro condotta. Proprio come Maria, la quale, se fu beata per aver concepito il corpo di Cristo, lo fu maggiormente per aver accettato la fede nel Cristo. A quel tale, infatti, che aveva esclamato: Beato il grembo che ti ha portato!, il Signore replicò: Beati sono, piuttosto, coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano6. Si sa di certi fratelli di Gesù (cioè suoi parenti di famiglia), che non credettero in lui. A costoro cosa giovò la parentela che li univa a Cristo? E così anche per Maria: di nessun valore sarebbe stata per lei la stessa divina maternità, se lei il Cristo non l’avesse portato nel cuore, con una sorte più fortunata di quando lo concepì nella carne.
Prototipo delle vergini
è Maria, vergine per libera scelta.
4. La verginità di Maria fu certamente molto gradita e cara [al Signore]. Egli non si contentò di sottrarla – dopo il suo concepimento – a ogni violazione da parte dell’uomo, e così conservarla sempre incorrotta. Già prima d’essere concepito volle scegliersi, per nascere, una vergine consacrata a Dio, come indicano le parole con le quali Maria replicò all’Angelo che le annunziava l’imminente maternità. Come potrà accadere una tal cosa – disse – se io non conosco uomo?7. E certo non si sarebbe espressa in tal modo se prima non avesse consacrato a Dio la sua verginità. Ella si era fidanzata perché la verginità non era ancora entrata nelle usanze degli ebrei; ma s’era scelta un uomo giusto, che non sarebbe ricorso alla violenza per toglierle quanto aveva votato a Dio, che anzi l’avrebbe protetta contro ogni violenza. Che se nella sua risposta ella si fosse limitata a dire: Come accadrà questo? e non avesse aggiunto: poiché non conosco uomo, anche in questo caso le sue parole non sarebbero certo state una richiesta d’informazioni sul come avrebbe messo al mondo il figlio che le veniva promesso, qualora sposandosi non avesse escluso ogni uso del matrimonio. L’obbligo di restare vergine poteva anche esserle imposto dall’esterno, affinché il Figlio di Dio assumesse la forma di servo con un miracolo degno dell’evento. Ma non fu così: fu lei stessa a consacrare a Dio la sua verginità quando ancora non sapeva chi avrebbe concepito. E così sarebbe stata di esempio alle sante vergini, e nessuno avrebbe mai potuto credere che la verginità è una prerogativa di colei che aveva meritato la fecondità senza il concorso dell’uomo. In tal modo questa imitazione della vita celeste da parte di persone rivestite di corpo mortale e fragile cominciò ad esistere in forza d’una promessa, non di una imposizione; d’un amore che sceglie, non d’una necessità che rende schiavi. E così Cristo, nascendo da una vergine che aveva deciso di restare vergine quando ancora non sapeva chi sarebbe nato da lei, mostrò che preferiva intervenire all’approvazione della verginità piuttosto che ad impartirne il comando; e per questo motivo volle che, anche in colei che gli avrebbe somministrato la forma di servo, la verginità fosse di libera scelta.
Fratello, sorella e madre di Cristo.
5. Le sante vergini non debbono rammaricarsi se, conservando la verginità, non possono diventar madri in senso fisico. Caso unico, infatti, in cui fu conveniente che la verginità partorisse fu quello di chi, nella sua nascita, non avrebbe dovuto avere l’eguale. Del resto, il parto di quella Vergine singolare e santa è una gloria di tutte le sante vergini: esse sono, in Maria, madri del Cristo, a condizione però che facciano la volontà del Padre. È infatti a questo titolo che Maria è madre di Cristo in senso più encomiabile e felice, secondo la parola evangelica sopra ricordata: Chi fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli, costui mi è fratello e sorella e madre8. Elenca tutti questi vincoli di parentela, ma, trattandosi del popolo dei redenti, li presenta elevati all’ordine soprannaturale, cioè riferiti a se stesso. Egli ritiene per fratelli e sorelle i santi e le sante con i quali condivide l’eredità celeste. Sua madre è la Chiesa universale, in quanto, mediante la grazia divina, genera le sue membra, cioè i suoi fedeli. Inoltre, di ogni anima devota si può dire che essa è madre di Cristo, nel senso che, facendo la volontà del Padre, mediante la carità – che è virtù fecondissima – dà la vita a tutti coloro in cui imprime la forma di Cristo 9. Quanto a Maria, essa adempì la volontà del Padre; e in tal modo, se fisicamente fu soltanto madre di Cristo, spiritualmente gli fu sorella e madre.