Come si vede il criterio non appare ragionevole. Da un lato si afferma la continuità dello sviluppo; dall’altro lato, pur di permettere la sperimentazione distruttiva, si annaspa per trovare un criterio “che tranquillizzi l’opinione pubblica”, cioè, che – detta in parole un po’ brutali – inganni l’opinione pubblica circa la reale natura dell’embrione, o, quanto meno, le impedisca di fare troppe domande. In effetti il criterio dell’annidamento o quello della funzione della “stria primitiva” come criteri di umanità sono inaccettabili. La scienza moderna ha dimostrato che l’embrione, formatosi in una delle tube e compiuto il viaggio verso “la terra promessa”, (la mucosa uterina), vi si installa perché ivi trova calore, cibo, ossigeno. Ma come è possibile sostenere che l’embrione “in viaggio” non sarebbe lo stesso che ha “trovato casa”? Forse la “residenza” è un criterio di umanità? I nomadi non sono esseri umani a differenza dei cittadini stabilmente residenti in una città?
Nelle argomentazioni di alcuni la fine dell’impianto costituirebbe quel salto di qualità che consentirebbe di non considerare un individuo umano ciò che in precedenza si era sviluppato. Infatti – dicono – i gemelli monozigoti, quelli, cioè, che derivano dalla divisione di un embrione originato da un solo ovocita fecondato, non si possono più formare dopo l’impianto. La divisione può avvenire soltanto prima. Dunque, durante il viaggio non vi sarebbe un individuo, ma soltanto una materia indistinta che potrebbe trasformarsi in uno o più individui. A parte una notevole zona d’ombra che ancora rende un po’ ignota la causa della gemellarità monozigotica; a parte la considerazione che una scissione dell’embrione non è più possibile dopo l’inizio dell’impianto (6°-7° giorno), cosicché il termine da prendere in considerazione non sarebbe di 14 giorni, ma, semmai, di 7; a parte l’eccezionalità della formazione dei gemelli monozigoti (0.4% dei parti, più frequente è il caso dei gemelli eterozigoti, 1.1% dei parti nel caso che la donna in un ciclo abbia portato a maturazione più ovociti e tutti siano stati fecondati da distinti spermatozoi); è stato replicato che in biologia si conosce bene il caso della generazione per gemmazione, ma ciò non significa che l’essere che genera la gemma non sia una entità biologica ben determinata. Il Comitato nazionale di bioetica nel parere espresso il 22 giugno 1996 ha scritto che “a ciascuno dei due gemelli deve essere riconosciuta una piena individualità fin dal loro costituirsi: il primo di essi acquisendo la sua definitiva identità nel momento stesso della fecondazione e l’altro o gli altri, nel momento invece della scissione gemellare”.
Talora si nega l’identità umana del concepito fino a che non si forma un primo abbozzo di cervello o, almeno, di tessuto nervoso. Il formarsi della prima stria primitiva, cui fa riferimento il rapporto Warnock, sembra alludere a questo argomento. Nei dibattiti sulla fecondazione artificiale qualcuno trova contraddittorio che per favorire il trapianto di organi si consideri morta una persona per il solo fatto che il suo cervello ha cessato totalmente di funzionare (la morte cerebrale equivale alla morte di tutto l’uomo) e invece l’embrione sia considerato un individuo vivente anche quando non si è formato il cervello. Ma l’argomento è inconsistente, anzi – a ben guardare – rafforza la tesi che il concepito è pienamente un essere umano vivente fin dal momento dell’incontro dello spermatozoo con l’ovocita. Infatti la morte (totale e reale, non parziale e apparente) del cervello è considerata morte dell’uomo anche quando artificialmente si riesce a far circolare il sangue nel suo corpo e a riempire ritmicamente di aria i suoi polmoni, perché il cervello è la parte che rende un organismo unitario il corpo umano. Esso unifica e finalizza le varie funzioni. Tant’è vero che la morte è chiamata anche “decomposizione”. Le singole parti possono continuare per qualche tempo a vivere (è noto il fenomeno della crescita della barba e delle unghie anche nei cadaveri), ma l’uomo, in quanto unità organica, non c’è più. Se così è, se cioè il dato decisivo per ritenere l’esistenza di una vita umana individuale è l’unità organica determinata da un principio unificatore e finalizzatore, allora è evidente che nell’embrione un tale principio unificatore e organizzatore che lo rende un organismo non solo è presente, ma svolge una funzione possente e mirabile tutta proiettata verso il futuro. L’uomo non è il suo cervello anche se il cervello ne coordina le funzioni vitali. L’adulto che non ha più cervello non ha più futuro nel mondo visibile: è morto. Ma l’’embrione che non ha cervello non è equiparabile ad un cadavere perché ha in sé una forza coordinatrice che gli garantisce non solo uno sviluppo vitale straordinario, ma anche un futuro, tutto il suo futuro. Egli non è affatto morto. Anzi è particolarmente vivo.
Un ultimo argomento viene talora usato contro l’umanità del concepito. Come potete parlare di un essere umano, “uno di noi” – dicono – quando in natura una gran parte di concepiti si perde perché, a causa di loro anomalie o di anomalie della madre, non riescono ad impiantarsi in utero? La percentuale reale di concepiti perduti a causa di una difficoltà dell’impianto è inevitabilmente ignota ed è ragionevole il sospetto che essa venga strumentalmente indicata come molto elevata per tentare una giustificazione etica della elevatissima perdita di embrioni che, nella fecondazione in vitro – trasferiti in utero – non riescono ad impiantarsi. Tuttavia non c’è bisogno di aggrapparsi alle percentuali per replicare. La morte è l’esito inevitabile di ogni vita umana. Il 100% degli uomini muore e la loro mortalità non elimina la loro umanità, né la precocità della morte può avere un significato ontologico. Un tempo (ed anche ora in certe aree povere del mondo) la mortalità neonatale e infantile era altissima, ma non per questo i bambini appena nati non dovevano essere considerati bambini, né la frequenza dell’aborto spontaneo è un argomento contro la individualità umana dei feti.
In conclusione la moderna biologia prova il dato di fatto che oltre trecento studiosi italiani hanno dichiarato in un documento pubblicato il 22 aprile 2002 dal Corriere della sera: “L’embrione, sin dallo stadio unicellulare – embrione a una cellula – cioè dal concepimento, è un individuo umano. Il nuovo genoma determina l’identità biologica specifica ed individuale del nuovo soggetto e l’eventuale selezione naturale non ne cambia la realtà ontologica. Il processo vitale del nuovo soggetto umano è unico e continuo dallo stadio unicellulare alla morte individuale”.
(La terza parte è stata pubblicata ieri, martedì 22 gennaio)
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