Per aggirare questi divieti si è tentata l’ultima “ritirata strategica”. Rinunciamo – si è detto – all’idea del pre-embrione, ma chiariamo che la “fusione” dei cromosomi può avvenire anche 30-36 ore dopo l’incontro dei gameti e in questo breve periodo temporale consentiteci di fare tutto ciò che vogliamo perché l’essere umano non c’è ancora.
Per rafforzare la loro tesi aggiungono che anche chi sostiene l’esistenza dell’uomo fin dal concepimento ha sempre fatto riferimento al formarsi del nuovo patrimonio genetico e questo avverrebbe nel momento, successivo all’incontro delle spermatozoo con l’ovocita, in cui i due patrimoni genetici, prima distinti all’interno dell’unica cellula in due pronuclei, si allineano. In realtà poiché nessuno faceva distinzioni di momenti nella fase della fecondazione e tutta la discussione era piuttosto concentrata sulla questione del pre-embrione, è ovvio che non sussisteva una particolare esigenza di investigare più finemente sui meccanismi legati all’ingresso dello spermatozoo nella membrana dell’ovocita; la “fusione dei patrimoni genetici” era espressione sintetica e semplificatoria per indicare l’inizio della nuova vita.
Ma, ora che occorre vedere più in dettaglio il fenomeno della fecondazione, va detto che l’uomo non è il suo patrimonio genetico, anche se questo lo caratterizza e lo distingue; che la maggiore o minore vicinanza (sempre nelle dimensioni piccolissime che esistono all’interno di una cellula) dei cromosomi maschili e femminili non è il dato decisivo per individuare l’inizio del nuovo essere umano; che, invece, appare rilevante l’immediato interagire dei cromosomi, che si richiamano per avvicinarsi, cominciano a duplicarsi, attivano quella serie di relazioni continue, autonome, finalisticamente orientate che sono caratteristiche del vivente.
In sostanza l’organismo si forma fin dal primo incontro dello spermatozoo con l’ovocita. La prima cellula è già l’inizio. Non c’è bisogno di attendere, come qualcuno sostiene, che vi sia la prima divisione cellulare, cioè che vi siano due cellule. Infine la terza evidenza è che il patrimonio genetico del nuovo essere umano è già tutto presente fin dal primo contatto dello spermatozoo con l’ovocita e non può più essere sostanzialmente cambiato.
Nulla si aggiungerà più in seguito perché, come già detto, immediatamente la membrana che è stata perforata dallo spermatozoo diviene inaccessibile per gli altri spermatozoi e il nucleo dell’originario ovocita espelle l’ultima parte del materiale anche cromosomico divenuto inutile. Ormai la costruzione avviene soltanto ad opera di quei determinati 23 cromosomi paterni e di quei determinati 23 cromosomi materni.
In questo vi è qualcosa di meraviglioso su cui vale la pena di riflettere ancora un momento. Ciascuno di noi – ci dicono i biologi e ci conferma l’esperienza personale – è unico e irripetibile. Nessun altro essere umano vivente o che è vissuto in passato o che nascerà in futuro è identico a ciascuno di noi. Principalmente ciò dipende dall’eredità cromosomica.
Il dimezzamento dei cromosomi (da 46 a 23) fa sì che nessuno sia geneticamente identico né alla madre né al padre. D’altronde la praticamente infinita possibilità di combinazione dei miliardi di geni e il fatto che il dimezzamento dei cromosomi avviene ad ogni trapasso generazionale rendono praticamente inimmaginabile una ricombinazione identica del materiale genetico. Nei cromosomi della madre e del padre si trova riassunta a livello biologico tutta la storia della umanità, perché a loro volta i cromosomi del padre e della madre recavano traccia di ciò che erano stati i loro padri e le loro madri e così via, di generazione in generazione fino al primo uomo e alla prima donna.
Nel nuovo concepito tutta questa storia si concentra e identifica un nuovo individuo. Dunque l’identità biologica diversa che si forma fin dall’incontro dello spermatozoo con l’ovocita non è soltanto un organismo, che è umano perché non è, certo, quello di un pesce o di un gatto, ma è anche un organismo individuale. Si può dunque concludere che stiamo parlando di un individuo vivente appartenente alla specie umana. Il giudizio di valore su di lui non può essere dato dalla biologia, ma la biologia moderna descrive esattamente questo evento: il concepimento dà inizio a un nuovo individuo vivente appartenente alla specie umana che resterà sempre il medesimo indipendentemente dalle sue dimensioni.
Tutti i tentativi di contrastare questo risultato sono irragionevoli. Dell’ootide si è già detto. Si è accennato anche alle teorie del pre-embrione. La tesi biologica dell’individuo appartenente alla specie umana fin dal concepimento si fonda – ripetiamolo – sulla continuità dello sviluppo. Quale sarebbe, l’elemento di discontinuità riscontrabile al 14° giorno? Anche a questo proposito sforziamoci di capire la meraviglia della vita nascente usando parole comprensibili, tuttavia coerenti con la realtà.
Una volta formatosi l’embrione in una delle due tube, comincia per lui il cammino verso la “terra promessa”. Lui è piccolissimo: misura poco più di un decimo di millimetro. Ma è fornito di energia e “alimenti” sufficienti per qualche giorno. In più trova qualche risorsa ulteriore nei liquidi presenti nella tuba. Ma deve assolutamente raggiungere un punto preciso dell’endometrio (la mucosa interna dell’utero) entro 6-7 giorni, altrimenti muore. Ecco il primo viaggio. Il moto dei fluidi presenti nella tuba, “l’effetto remo”, determinato dalle ciglia vibratili presenti in quel medesimo condotto, i movimenti stessi della tuba, sospingono l’embrione verso l’utero. Durante il viaggio egli attua delle trasformazioni spettacolari.
In pratica ogni 12-15 ore raddoppia il numero delle sue cellule. Contemporaneamente invia i primi segnali chimici della sua presenza al cervello della sua mamma. Ella ancora non sa della sua esistenza, ma il figlio, con il solo linguaggio che gli è consentito (ma non è forse vero che anche il neonato sa farsi capire a suo modo?), mentre viaggia, dice al cervello di sua madre: “mamma, sto arrivando, preparati”. Così l’embrione può atterrare nel punto giusto e penetrare a sua iniziativa all’interno della parete uterina.
Questo è l’inizio dell’impianto, o annidamento, che si completa in 6-7 giorni. Nello stesso punto si formerà la placenta, un disco formato per metà dalla madre e per metà dal figlio, che attraverso il cordone ombelicale consentirà il rifornimento di sangue, in sostanza di cibo e di ossigeno, consentendo all’embrione di realizzare, a suo modo, la nutrizione e la respirazione.
Che cosa succede, dunque di così importante al 14° giorno? Questo limite temporale fu indicato nel rapporto del 1984 di un gruppo di studiosi, nominato dal ministro della Sanità inglese, che, dal nome della sua presidente, Mary Warnock, è passato alla storia come “rapporto Warnock”. I quasi coevi rapporti di gruppi scientifici nominati dai governi italiano (rapporto “Santosuosso” del 1984) e tedesco (rapporto “Benda” del 1985) non accettano la distinzione tra embrione e pre-embrione.
Ad ogni modo la scarsa validità della distinzione appare dallo stesso rapporto Warnock. In esso, nel capitolo relativo alla sperimentazione sull’embrione, al n. 11, si legge testualmente: “Una volta che il processo è incominciato non c’è una particolare parte dello sviluppo che sia più importante di un’altra; tutte sono parte di un processo continuo e, se ogni stadio non si svolge normalmente, al momento giusto, nella giusta sequenza, ogni ulteriore sviluppo cessa. Per questo, biologicamente, nello sviluppo dell’embrione non si può identificare un singolo stadio al di là del quale l’embrione in vitro non dovrebbe essere tenuto vivo.
Abbiamo tuttavia concordato nel ritenere questo un settore nel quale devono essere assunte alcune precise decisioni per calmare l’ansietà diffusa nella pubblica opinione”. Successivamente il rapporto Warnock richiama l’opinione che l
a sperimentazione potrebbe essere consentita “finché l’embrione è incapace di sentire dolore”, cioè prima che cominci a svilupparsi il sistema nervoso centrale. Ciò significa – secondo il rapporto – considerare “un periodo di 22-23 giorni dopo la fecondazione, quando il tubo neurale comincia a chiudersi”.
Il rapporto considera anche il parere del reale collegio degli ostetrici e ginecologi che aveva suggerito di non oltrepassare i 17 giorni “perché questo è il momento nel quale inizia lo sviluppo di un primitivo sistema nervoso”. Alla fine il rapporto raccomanda di tenere come punto di riferimento la formazione della “stria primitiva”, momento situabile attorno al 15° giorno, grosso modo coincidente con il termine dell’annidamento.
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(La seconda parte è stata pubblicata lunedì 21 gennaio. La quarta ed ultima parte segue domani, mercoledì 23 gennaio)
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