Il mondo contemporaneo si contrappone ormai da tempo, sotto varie forme, alla fede cristiana. Negli ultimi decenni, una simile contrapposizione prende sempre di più la forma di un’assenza di Dio e di una sostanziale indifferenza pratica alle provocazioni della domanda religiosa. Forse a maggior ragione, la nostra epoca fa emergere un rinnovato appello alla nuova evangelizzazione dell’Occidente e, nondimeno, della stessa prassi credente ed ecclesiale. La crisi della trasmissione della fede, infatti, nello scorrere delle generazioni, è ormai un dato di fatto, sul quale si è creato un ampio consenso, costituendo la vera urgenza per la sopravvivenza del cristianesimo nelle terre d’Occidente, urgenza peraltro ribadita con forza dalla Chiesa e da Benedetto XVI.
In relazione a questi temi di estrema attualità, è possibile leggere con molto frutto il recente volume di Francesco Cosentino, Sui sentieri di Dio. Mappe per la nuova evangelizzazione, Edizioni San Paolo. Si tratta di una riflessione ampia e appassionata circa la sfida del credere oggi che ha, tra gli altri, il merito di una scrittura ricca e fluida allo stesso tempo.
Sin da subito, l’autore precisa quella che è la sua idea fondamentale circa la nuova evangelizzazione: «Nel tempo della nuova evangelizzazione del Vecchio Continente, la sfida dovrà fondarsi sull’equilibrio del paradosso: annunciare il Dio di una verità che deborda e rompe le misure della storia e che, contemporaneamente, accoglie i sussulti e i gemiti dell’umano offrendosi come mappa, orientamento, compimento. Senza l’umano non ci potrà essere annuncio del Vangelo e senza la forza d’urto del Vangelo ogni proposta umana risulterà drammaticamente monca» (20).
Marcando cosi un’interpretazione già sorta dal Concilio Vaticano II, il confronto con la dimenticanza di Dio si snoda sul terreno del dialogo, senza scadere nella facile contrapposizione e, contemporaneamente, sottolineando l’urgenza di un umanesimo nuovo verso il quale la parola della fede può risultare significativa. Dentro questo paradosso dialettico si muove la struttura portante del volume. Una prima parte di esso viene dedicata alla decifrazione della mentalità corrente che è all’origine dell’odierna crisi del credere; una seconda, più ampia e articolata, al duplice compito che attende il cristianesimo oggi: restituire l’immaginario diffuso di Dio, della Chiesa e dello stesso atto di fede ai loro tratti originari e, nello stesso tempo, agire sulla coscienza degli uomini e delle donne di oggi, sempre a rischio di venire anestetizzata dai poteri forti dell’economia e della tecnica, al fine di risvegliare quelle domande profonde e interiori, da sole capaci di illuminare di senso l’esistenza umana.
In questo quadro, Cosentino si muove nell’avvincente rischio del paradosso per misurare tanto la realtà mondana quanto la fede cristiana stessa; se da una parte, infatti, la secolarizzazione minaccia alla radice la stessa possibilità del credere, l’autore non manca di provocarci circa il netto guadagno che la fede stessa può sperimentare, con l’avvento di una più grande libertà da parte del soggetto contemporaneo: la fede oggi non è più, per così dire, “ovvia”, “culturale”, “tradizionale”, ma si dà, ogni volta, come una possibilità «per scelta personale e all’interno di un rapporto personale con il trascendente» (55). La lettura ne risulta, cosi, affrancata dal pessimismo e dalla critica e pronta a cogliere le nuove possibilità che il mondo attuale offre alla rinascita della domanda credente. In modo pertinente, l’autore sottolinea che oggi siamo in presenza non tanto di un ateismo radicale ed esplicito quanto, invece, di una sorta di disaffezione e indifferenza religiosa: «viviamo dunque in una società post-atea: l’ateismo ha raggiunto lo strato profondo della coscienza, del cuore, dell’immaginazione di Dio. Senza fare rumore, esso ha privato Dio della sua importanza e della sua problematicità, conducendo verso una quotidiana e pratica miscredenza. Ora, indubbiamente ciò significa che il fenomeno della non credenza odierna, più che rispondere al registro di una battaglia di tipo intellettuale e invocare una teologia razionale delle prove e delle ragioni della fede, è una realtà che interessa lo stato del cuore e degli affetti dell’uomo» (73). Da questa premessa, Cosentino suggerisce una pista teologica e pastorale attenta al vissuto affettivo e interiore dell’uomo, alle immagini di Dio e di Chiesa che egli matura nella propria immaginazione, alla presenza della fede cristiana nel mondo e nella società; senza risparmiare una lucida critica a tutte quelle forme di pensiero e di prassi credenti che oscurano il vero volto di Dio e della fede, l’autore invita a prendere in considerazione la necessità di percorsi teologici, pastorali e catechetici in grado di raggiungere le sfere inaridite dell’interiorità, risvegliandole dal torpore indotto da molti stili di vita improntati al consumismo e all’ideologia tecnologica.
Scaturisce da qui l’impianto della seconda parte del volume in cui, anzitutto, si nota come «ci sono state e ci sono troppe caricature di Dio, troppe immagini sbagliate e parziali, severe e poco umane di lui, troppi volti di Dio costruiti sulla misura dei bisogni e degli egoismi umani o sul metro delle intenzioni clericali, troppi idoli scambiati per Dio e che altro non sono se non una sua deformazione» (89). La guarigione dell’immagine di Dio tocca, inevitabilmente, la visione di Chiesa che oggi è chiamata a ricentrarsi sull’essenziale della fede e su una presenza umile e dialogica in mezzo al mondo. Infine, il terzo terreno di dissodamento e di azione purificatrice riguarda l’idea della fede, troppo spesso ridotta a essere nulla di più di «un pacchetto definito, un programma stampato, un corpo di norme, un’ombra terroristica distesa sulle esperienze umane e tesa a suscitare paure e sensi di colpa» (199). Il fine ultimo sarebbe quello di recuperare la rivelazione evangelica del volto di Dio, la natura e missione della Chiesa e infine la struttura decisiva dell’atto di fede. Molte intuizioni che qui Cosentino sviluppa appaiono particolarmente promettenti per il compito della nuova evangelizzazione. Accanto a questo lavoro ad intra, l’autore sottolinea che «per poter riscoprire Dio oggi e ritornare a credere è primariamente necessario un lavoro antecedente all’annuncio del Vangelo che consiste in un’azione di liberazione umana a tutti i livelli» (169). Un lavoro che esige la possibilità e il coraggio di mettere in campo un pensiero e una prassi capaci di a) liberare l’io, b) suscitare il desiderio, ed infine c) mostrare lo scandalo del Vangelo.
A meglio illustrare questo compito, Cosentino consacra le pagine dell’ultimo capito del testo, ispirate al suo maestro, il gesuita Michael Paul Gallagher, ed alle pioneristiche intuizione di J.H. Newman.
Alla fine della sua indagine circa le implicazioni teologiche e pastorali della nuova evangelizzazione, Cosentino non nasconde un cauto ottimismo. A suo avviso, infatti, «il cristianesimo di oggi si trova a un passo da un “cortile”, fuori dal tempio, in cui cresce la sete profonda di una verità che scaldi il vissuto, che allarghi gli orizzonti ristretti degli affetti, che aiuti a gestire il disordine delle emozioni troppo tirate in ballo da stimoli continui, che parli al cuore e insegni la capacità di amare – soprattutto se stessi – e che sappia lentamente ricondurre l’io verso il proprio centro interiore, raccogliendolo da quel continuo svuotamento di idee e di sogni che la moderna cultura e la tecnica dei mass media operano nella vita quotidiana, rovesciando nella nostra anima tonnellate di superficialità» (207). Una mappa, dunque, per riscoprire i “sentieri di Dio” come possibili strade per un autentico compimento dell’uomo e per ridare nuova vitalità alla fede e al mondo.