Dinanzi ai Magi, Gesù si manifesta come Colui di cui hanno bisogno tutti gli uomini

Il patriarca Moraglia consegna il mandato a un giovane che partirà in missione in Bolivia e prega per tutti i missionari veneziani nelle varie parti del mondo 

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Pubblichiamo l’omelia che il Patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, ha pronunciato durante la Messa solenne celebrata, oggi, solennità dell’Epifania del Signore, nella cattedrale di San Marco. Durante il rito il Patriarca ha consegnato il crocifisso e il mandato missionario ad un giovane di Quarto d’Altino – Marco Zanon, 34 anni – che si appresta a vivere un’esperienza missionaria “fidei donum” in Bolivia. Per un triennio affiancherà il diacono Tiziano Scatto, anch’egli missionario veneziano “fidei donum”, nel servizio in una casa di accoglienza per minori in difficoltà nella diocesi di Santa Cruz de la Sierra.

La Santa Messa è stata anche l’occasione per ricordare nella preghiera “simultanea”, e quindi in profonda unione spirituale, tutti i missionari d’origine veneziana presenti nelle varie parti del mondo (sacerdoti, religiosi e religiose, laici volontari). Al termine della celebrazione, inoltre, il Patriarca ha annunciato la morte di mons. Silvio Zardon, avvenuta nelle prime ore della mattina di oggi e presso l’ospedale veneziano dei Ss. Giovanni e Paolo. Veneziano, amministratore parrocchiale di S. Luca, mons. Zardon aveva 84 anni e per decenni ha costruito e via via seguito la Pastorale familiare diocesana nel Patriarcato. 

Di seguito le parole di mons. Moraglia.

***

Carissimi fedeli e, soprattutto, mi rivolgo a te, carissimo Marco, che stai partendo per la Chiesa di Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, come missionario. Tu desideri metterti a servizio di quella Chiesa particolare. Io chiedo al Signore che tu possa essere fedele all’impegno che oggi, con gioia, prendi innanzi a Lui e di fronte alla sua Chiesa.

Riflettiamo ora sul mistero dell’Epifania. Sia il vangelo della messa della notte di Natale, sia quello della messa dell’aurora, insistono sui pastori. Si tratta di poveri uomini che mentre vegliano facendo la guardia ai loro greggi, ricevono l’annuncio dell’angelo.

L’evangelista Luca così s’esprime: “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: «Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore… Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia ”(Lc 2, 8-11.15-16).

Certamente i pastori erano persone semplici, umili, povere ed anzi persone culturalmente ed economicamente insignificanti. All’epoca i pastori  erano posti all’ultimo gradino della scala sociale. Persone, quindi, che non avevano davanti a sé prospettive umane attraenti e neppure potevano contare su un futuro umanamente allettante che, in qualche modo, li potesse arricchire.

Al contrario, erano persone prive di tutto e – come si dice – nulla avevano da perdere. Si può pensare quindi che, rispondendo all’invito dell’angelo, avevano solo da guadagnare e nulla da perdere. A ben vedere, inoltre, veniva loro richiesto di fare poche miglia, nulla di più. Così possiamo dire che il loro recarsi alla grotta non desta, per noi, alcuno stupore; anzi, l’aver risposto all’invito è per loro qualcosa di scontato. Alcuni potrebbero dire che i pastori – accampati a poca distanza da Betlemme, il luogo dove era nato il bambino Gesù – si siano recati alla grotta solo per curiosità, per vedere, semplicemente, che cosa era realmente accaduto.

E il pellegrinaggio dei pastori al Bambino Gesù non è che il primo di innumerevoli pellegrinaggi che – incessantemente e in modi diversi, fisicamente o spiritualmente – si ripeteranno lungo i secoli. Lo sottolineiamo: generazioni e generazioni di cristiani ripeteranno quella prima visita fisicamente oppure spiritualmente, attraverso l’orazione mentale o la partecipazione alle celebrazioni liturgiche del santo Natale. Infatti tutti – uomini e donne – sono chiamati, durante la vita, in modo misterioso, a venire – almeno nella fede – alla grotta di Betlemme a visitare il piccolo bambino e a dirgli il loro impegnativo “sì”.

Ma, tra il primo pellegrinaggio – quello dei pastori – e gli innumerevoli altri pellegrinaggi che lo hanno seguito, si dà un’altra venuta o visita particolarmente significativa. Si tratta, questa volta, di un pellegrinaggio inconsueto, misterioso, del tutto inatteso e non scontato come, per certi versi, era quello dei pastori. Si fa riferimento, qui, al pellegrinaggio che ha come protagonisti uomini che vengono da lontano. Misteriosi personaggi non appartenenti alla cultura e alla fede ebraica e che non sono membri del popolo eletto, non hanno la legge e i profeti, non vivono l’Alleanza.

Il contenuto del messaggio della solennità dell’Epifania è l’annuncio della salvezza come bene donato in Gesù ad ogni uomo, popolo e nazione. Qui, per il nostro mondo – quello della globalizzazione, dove ogni lontananza viene superata, anzi letteralmente azzerata, dalla velocità della comunicazione – il messaggio è particolarmente attuale. Ora, al di là delle diverse culture e differenti storie personali, che ci radicano in contesti precisi e ci caratterizzano, la salvezza è unica ed è il Bambino di Betlemme.

Senza gli elementi che ci qualificano – senza i quali non saremmo più neppure noi stessi, ma pura astrazione, qualcosa di etereo e virtuale – c’è, per tutti, l’incontro con il bambino di Betlemme, l’uomo della Croce, il Risorto, il Signore del tempo e della storia che ci salva oltre il tempo e la storia.

Con i pastori siamo dinanzi agli ultimi della scala sociale, coloro che non contano nulla in Israele perché non sono nemmeno in grado di conoscere i libri santi dell’Alleanza, coloro che non hanno nulla da perdere. Eppure, proprio loro, così ignoranti e del tutto insignificanti sono invitati dall’angelo a far visita al bambino. Riflettiamo su questo.

Con i magi, invece, le cose cambiano radicalmente: ci troviamo dinanzi a uomini saggi, versati nei testi sacri, persone colte che, nel loro ambiente, godono di grande considerazione. Siamo dinanzi a veri sapienti, esperti nelle cose degli uomini e delle cose di Dio. Dinanzi a questi misteriosi personaggi – a questi sapienti d’Oriente, persone ragguardevoli, che vengono ad adorare il bambino di Betlemme – Gesù si manifesta come Colui di cui hanno bisogno tutti gli uomini, a prescindere dalla loro situazione sociale, culturale ed economica.

Gesù, infatti, non è venuto solamente a portare una speranza umana, ossia, qualcosa che dura il breve spazio dell’esistenza terrena. Il bambino di Betlemme non è solo la risposta ai problemi umani e sociali (i missionari lo ricordino sempre…) – il bisogno, la povertà, l’emarginazione – ma, piuttosto, è Colui che salva l’uomo non solo dalle sue fragilità terrene ma donandogli la salvezza nel tempo e nell’eternità, garantendolo anche dinanzi alla morte.

Questo è il senso ultimo della lunga ricerca che porta i Magi dall’oriente in Giudea ad adorare il piccolo Gesù. Il senso della loro domanda svela proprio il desiderio dell’incontro con l’Unico che può dare senso ad una vita: “… ecco alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo…»” (Mt 2,1-2).                                            

Per questi uomini saggi Gesù non è solo la speranza di chi non ha più nessuno a cui riferirsi sul piano terreno: è la vera speranza di chi, anche nel suo cammino di questa vita, ha conseguito onori, notorietà, ricchezze e, quin
di, nella sua esistenza terrena, non è tra i perdenti che devono misurarsi con i propri fallimenti personali, ma piuttosto è con chi ha raggiunto il vertice della scala sociale eppure avverte la questione del senso e le grandi domande che anche l’uomo più realizzato e appagato, continua a sentire in sé, innanzi al mistero grande della vita.

I doni che i Magi offrono sono i segni che, in quel bambino, essi riconoscono la divinità, la regalità e la salvezza, adombrate nel significato dell’incenso, dell’oro e della mirra: “Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2,11-12).

Con animo grato al Signore celebriamo la festa dell’Epifania perché, come sempre, i misteri di Dio in Cristo ci aprono ad una sapienza umana più grande. E con animo grato consegniamo, proprio in questa solennità dell’Epifania – in cui i popoli lontani riconoscono in Gesù il Salvatore -, il crocifisso missionario a Marco Zanon, della parrocchia di Quarto d’Altino, affinché nella Chiesa di Santa Cruz de la Sierra annunci quella fede a cui è stato generato nella nostra bella Chiesa patriarcale di Venezia.

Caro Marco, la Vergine Madre – prima credente e prima evangelizzatrice – ti accompagni e ti sostenga in quest’Anno della Fede in cui sei chiamato a dire, con tutte le tue forze, che Gesù è la speranza di ogni uomo e di ogni  popolo. Non solo nella vita terrena, ma oltre e al di là di questa vita terrena.

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ZENIT Staff

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