Il dogma cattolico tra civiltà e modernità

L’arcivescovo di Trieste spiega il significato del dogma

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Dell’influenza del cattolicesimo sulla civiltà occidentale si dà spesso una interpretazione riduttiva, nel senso di pensarla appunto come semplice influenza. E’ come dire che il cattolicesimo ha influito sulla civiltà occidentale con le sue opere di carità, con l’arte, con la letteratura, con le reti sociali improntate alla religione, con l’incoronazione dei sovrani e così via.

Tutto questo è vero, ma il rapporto profondo del cattolicesimo con l’occidente riguarda i dogmi ed è espressione della storicità del dogma.

Questa espressione – storicità del dogma – non significa che il dogma, nella sua verità oggettiva, evolve storicamente in parallelo con l’autocoscienza che ne hanno i credenti, questa è la visione modernista della questione – ma vuol dire che il dogma ha sempre anche un contenuto storico, reale e non può essere relegato nell’astratto o nel mito.

Il dogma nutre la Chiesa e la Chiesa è il Corpo di Cristo nella storia, Corpo che rimane in eterno [1]. Tra dogma e Corpo c’è una unità inscindibile, sicché il dogma non è presente solo nella coscienza del credente, ma si fa per sua natura storia e, quindi, civiltà. E’ il realismo della fede cristiana e, più specificatamente, cattolica.

La Chiesa ha plasmato la civiltà cristiana occidentale con i suoi dogmi, definiti nei suoi Concili dogmatici. C’è oggi una generale sottovalutazione dell’importanza della dottrina nella vita della Chiesa in favore della prassi pastorale, che rischia di mettere in ombra questo importante aspetto.

Vorrei fare a questo proposito due esempi storici. Il primo di essi riguarda la Gnosi. La condanna dell’Arianesimo e la definizione della natura umana e divina di Gesù Cristo hanno contraddetto la Gnosi, espressione del razionalismo ellenistico. Il processo è stato lungo, ha coinvolto anche gli altri concili e il lavoro dei Padri e dei grandi Dottori.

La partita non è stato ancora vinta, dato che accanto alla Gnosi dei primi secoli cristiani c’è una “Gnosi eterna”, ma senz’altro la lotta del dogma cristiano contro la Gnosi ha preservato la civiltà umana dalle catastrofi del Catarismo, dal rifiuto e dalla contemporanea esaltazione della materia, dalla distruzione del matrimonio e della famiglia, dal rifiuto dell’autorità politica. Ha prodotto i frutti di civiltà della giusta considerazione del male e della sofferenza, ha difeso dal nichilismo.

Mediante la difesa del Vecchio Testamento dall’attacco gnostico si è potuta preservare la visione positiva della creazione e la dimensione storico sociale della fede cristiana. Il battesimo ai bambini, le preghiere per i morti, il celibato sacerdotale, il culto delle immagini: quanti benefici hanno portato alla civiltà occidentale questi punti che sarebbero tutti stati eliminati da una eventuale prevalenza della Gnosi!

Quali danni avrebbero fatto il pauperismo, il pacifismo, il purismo radicale di tipo gnostico se avessero potuto diffondersi senza freni! Commentando la battaglia di Muret del 13 settembre 1213, nella quale Simone de Montfort, dopo aver assistito alla Messa celebrata da San Domenico, con mille soldati mise in fuga l’esercito aragonese che appoggiava gli albigesi con 40 mila uomini, Jean Guitton afferma: «Muret è una di quelle battaglie decisive nelle quali si è giocata la sorte di una civiltà. La maggior parte degli storici trascura stranamente questo fatto» [2].

Il secondo esempio riguarda Pio IX e la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. La definizione del dogma nasceva da una lettura teologica degli eventi della rivoluzione liberale. Secondo Pio IX tutti gli errori contemporanei nascevano dalla negazione del peccato originale e quindi della inconciliabilità tra Dio e il peccato.

Il fine della vita doveva essere il progresso dell’uomo e del mondo, l’uomo moderno doveva diventare autonomo ed autosufficiente, liberandosi dalla tutela della Chiesa, la religione era solo utile al progresso civile e a questo doveva essere subordinata. Negato il peccato originale, però, non c’è più posto per Cristo, per la Chiesa e per la grazia.

Davanti a questa visione delle cose violentemente montante nella sua epoca, Pio IX volle invece ribadire l’inconciliabilità tra Dio e il peccato del mondo e che il fine principale del mondo e della storia non è la celebrazione del progresso umano ma è la gloria di Dio. E questo fece proclamando il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria “vincitrice gloriosa delle eresie”.

Le violente vicende cui dovette assistere Pio IX tendevano a emancipare l’ordine naturale da quello soprannaturale. Pio IX era del parere che con questo progetto non si potesse scendere a patti, che non lo si potesse “cattolicizzare”. Ecco allora la genesi dell’enciclica Quanta cura e del Sillabo, che non vanno staccati dal profondo significato teologico della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, ma visti, insieme al Vaticano I, come la risposta di Pio IX al peccato moderno.

Non a caso tutti e tre gli avvenimenti avvennero l’8 dicembre: nel 1854 la proclamazione del dogma, nel 1864 la Quanta cura e il Sillabo e nel 1869 l’apertura del Vaticano I [3].

La costruzione della civiltà occidentale è avvenuta con i dogmi. Il dogma era la principale fonte per contrastare l’apostasia dell’occidente dal Cristianesimo. Questo perché anche questa apostasia era diventata dogmatica.

NOTE

[1] J. Ratzinger, Fede Verità Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo cit., p. 74.

[2] J. Guitton, Il Cristo dilacerato. Crisi e concili nella storia, Cantagalli, Siena 2002, p. 166.

[3] Cf R. de Mattei, Pio IX e la rivoluzione italiana, Cantagalli, Siena 2012.

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Giampaolo Crepaldi

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