Il film è la trasposizione cinematografica del romanzo Grandi Speranze di Charles Dickens, già portato sul grande schermo nel 1946 dal film omonimo diretto da David Lean.
Pip (contrazione di Philip Pirrip), è un orfano che vive con la sorella, di molti anni maggiore di lui ed il marito di lei, il più simpatico e affettuoso fabbro Joe. Una sera, al cimitero Pip incontra un malfattore di nome Magwitch che lo obbliga a portargli del cibo ed una lima per segare le catene che lo avvincono. Il bambino, terrorizzato, gli porta quanto richiesto il giorno successivo.
In seguito, il ragazzo entra sotto la protezione di una nobile del luogo, Miss Havisham, nella casa della quale incontra Estella; di cui si innamora, ma la ragazza si mostra ambigua, interessata ma al contempo irragiungibile.
Un giorno alla casa del fabbro arriva il faccendiere Jaggers: informa Pip che è entrato in possesso di un generoso lascito da parte di un benefattore sconosciuto e lo invita a raggiungerlo a Londra per iniziare una vita da gentiluomo…
“Avevamo la palude, giù in basso lungo il fiume, a non più di venti miglia dal mare – nel tratto in cui si formava l’ansa. Credo di aver avuto la prima percezione, estremamente vivida e netta, dell’identità delle cose, in un rigido memorabile pomeriggio, all’imbrunire”.
Nell’incipit del romanzo di Charles Dickens è racchiusa quella che è una tipica sfida per tutte le trasposizioni dei suoi romanzi: una sfida per lo scenografo, in questo caso per Jim Clay, che sostenuto dalla magnifica fotografia di John Mathieson è riuscito a rievocare i luoghi dove è vissuto l’orfano Pip, fra le nebbie e il fango dove si svolge l’incontro fra il ragazzo e lo spaventoso Magwitch, un incontro che segnerà la sua vita.
Ma la vera sfida è la ricostruzione della Londra di metà ottocento, in questo caso sovraffollata e sporca come non l’abbiamo mai vista, quasi tutta di legno, una scelta sicuramente più realistica di quella più oleografica dell’Oliver Twist (2005) di Roman Polansky o di quella innevata e natalizia di A Christmas Carol (2009) di Robert Zemeckis.
La scenografia è importante anche per la ricostruzione dei momenti più horror-gotici del racconto: l’incontro al cimitero fra il piccolo Pip e l’orribile ergastolano; le sale buie e piene di ragnatele dove vive miss Havisham, un fantasma bianco che si intravede sotto il velo da sposa, quel vestito indossato tanti anni prima in occasione di un matrimonio che non si è mai realizzato, accanto a una tavola rimasta imbandita per quella festa e mai sparecchiata.
Sono situazioni che avvicinano molto Dickens a Victor Hugo e a certi altri risvolti tipici del romanzo ottocentesco: le sorti di un ergastolano che riesce a fuggire e a far fortuna, la sorpresa di una paternità inaspettata; il regista cerca di superare questi segni dei tempi e sorvola veloce su certi risvolti complessi della storia per puntare tutto sulla relazione amorosa fra Pip ed Estella. Un amore che sembra manifestare qualcosa di moderno, una certa paura di amare, sopratutto da parte di lei, incapace di aprirsi a un’intesa più profonda.
Se escludiamo l’originalità di Estella e il machiavellico e raziocinante Jaggers, gli altri personaggi possono sconcertare noi relativisti moderni per quel loro modo di coltivare un sentimento che dura tutta una vita, sia esso per il bene che per il male.
Pip, fin dalla sua infanzia ha dichiarato a Estella il suo amore per sempre; lady Havisham vive per anni coltivando la sua vendetta; l’ergastolano Magwitch ha giurato di compensare Pip per la sua generosità e rischia la vita pur di mantenere il suo impegno.
Se a questo aggiungiamo la recitazione alquanto incolore dei protagonisti (fatta eccezione per Ralph Fiennes), si ha la sensazione di personaggi imprigionati nella complessità dell’intreccio e nella compulsività delle loro passioni; più che a un romanzo di formazione sembra di assistere all’evoluzione di forze della natura.
Per fortuna, al di sopra delle vicende dei singoli, traspare chiaramente il senso morale che Dickens ha voluto imprimere alla storia: il denaro non porta alcuna felicità ma ciò che conta è una amicizia solidale e fedele. Da questo punto di vista il personaggio-simbolo è il cognato Joe Gargery: semplice, schietto e puro, non abbandonerà mai Pip e saprà aiutarlo anche nel poco della sua modesta condizione.
Titolo Originale: Great Expectations
Paese: Gran Bretagna, USA
Anno: 2012
Regia: Mike Newell
Sceneggiatura: David Nicholls
Produzione: BBC FILMS, LIPSYNC PRODUCTIONS, NUMBER 9 FILMS, UNISON FILMS, IN ASSOCIAZIONE CON IDEAL PARTNERS FILM FUND
Durata: 128
Interpreti: Jeremy Irvine, Ralph Fiennes, Holly Grainger, Helena Bonham Carter, Jason Flemyng
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