Oggi 31 dicembre, alle ore 18, nella Basilica di S. Petronio, S.E. Card. Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, ha presieduto il Solenne Te Deum di fine anno, nei Primi Vespri della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio. Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia del Cardinale Caffarra.

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1. «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da una donna». Cari amici, l’ultima sera dell’anno ci dona una consapevolezza particolarmente acuta del trascorrere dei nostri giorni, della misura sempre più abbreviata della nostra esistenza.

La Parola di Dio appena ascoltata illumina profondamente la coscienza della nostra temporalità: di ciascuno di noi e della storia umana nel suo insieme. L’apostolo infatti parla di una “pienezza del tempo”.

Per comprendere questa singolare espressione, dobbiamo – e questa sera non ci è difficile farlo - riformulare esplicitamente quella domanda fondamentale circa lo scorrere del tempo, che consapevolmente o inconsapevolmente ciascuno ha nel cuore. Che è la seguente: lo scorrere del tempo è orientato verso un fine ultimo e quindi ha inscritto in se stesso un senso? Oppure lo scorrere del tempo è semplicemente l’eterno ritorno dell’identico, privo di una direzione e di un senso? In breve: il tempo è una linea retta che ha una direzione o è una circonferenza che gira sempre su se stessa?

Cari amici, l’Apostolo – lo abbiamo sentito – parla di una “pienezza del tempo”. Egli, dunque, ci svela che il tempo è orientato verso una meta che ne orienta lo scorrere, raggiunta la quale è compiuto; ha raggiunto la sua misura piena. E’ quella meta la pienezza del tempo.

L’Apostolo individua anche il momento, l’attimo che, pur essendo nel tempo, è di esso la fine ed il fine. E’ il momento, l’attimo in cui una donna concepì nel e dal suo grembo Dio stesso nella nostra natura e condizione umana. In quel grembo, nel momento del concepimento, il tempo è finito; ha raggiunto la sua pienezza: l’eternità è entrata nel tempo.

Alla domanda dunque che ci siamo fatti riguardo al significato dello scorrere del tempo, coloro che credono vere le parole dell’Apostolo perché parole di Dio, rispondono che il tempo ha un senso, una direzione, perché ha una meta finale che lo orienta dal di dentro: il concepimento di Dio nella nostra natura e condizione umana.

Ma se così stanno le cose, lo scorrere del tempo dopo quell’evento è una pura illusione a cui siamo condannati, ed il suo computo una semplice anche se necessaria convenzione sociale? oppure ci ritroviamo prigionieri del tempo, che avrebbe ripreso a scorrere senza più alcuna direzione?    

Cari amici, l’ingresso di Colui che è eterno dentro al tempo, ha cambiato la qualità del tempo stesso, poiché esso è diventato il luogo della salvezza. L’apostolo Pietro scrivendo ai suoi fedeli, dice che ora lo scorrere del tempo è dovuto al fatto che Dio «usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» [2Pt 3,9]. «Perché ricevessimo l’adozione a figli», ci ha detto l’apostolo Paolo.

Dentro alla nostra vicenda temporale Dio attua il suo disegno di salvezza. E la libertà dell’uomo non è più schiava di leggi impersonali che governano la realtà, ma è confrontata continuamente con una proposta di salvezza che cambia la condizione umana.

Lo scorrere del tempo, ora, ha il senso di un confronto fra due libertà: quella di Dio entrato nella nostra storia e quella dell’uomo chiamato a realizzare già ora il progetto di Dio.

2. «Poiché l’uomo rimane sempre libero e poiché la sua libertà è sempre anche fragile, non esisterà mai in questo mondo il regno del bene definitivamente consolidato» [Benedetto XVI, Lett. Enc. Spe Salvi, 24.b]. Chi pensa che lo scorrere del tempo coincida necessariamente col progresso, è un grande illuso, tragicamente illuso. Lo sentiamo soprattutto questa sera, alla fine del 2012 e sulla soglia del 2013.

Il futuro, l’anno nuovo è sentito per tanti aspetti più come una minaccia che una speranza, ed anche per la nostra città non mancano ragioni di gravi preoccupazioni. Non ci sono allora ragioni vere, consistenti, di augurarci un “buon anno”? Di pensare ed augurarci un “buon anno” per la nostra città?

Ciò che la fede ci ha detto circa il vero significato dello scorrere del tempo, ha generato nell’uomo la consapevolezza della sua responsabilità. Non assicureremo un “buon anno” alla nostra città, se pensiamo che esso sia frutto di forze automatiche ed impersonali, siano esse quelle del mercato o quelle della finanza.

La bontà della nostra convivenza civile è dovuta prima di tutto ad operatori economici e responsabili politici che sentano profondamente l’appello del bene comune. Che abbiano cioè una robusta coscienza morale. La bontà della nostra convivenza civile è generata prima di tutto da decisioni che siano frutto di responsabilità morale.

Fra le principali responsabilità morali che abbiamo nei confronti della nostra città, vi è l’accesso al lavoro o il suo mantenimento, per tutti. Ho detto responsabilità morale. Il lavoro infatti non è semplicemente una variabile dipendente dai meccanismi economici e finanziari. E’ un bene fondamentale per la persona, le famiglie, la nostra città.

La de-responsabilizzazione delle persone è l’insidia più pericolosa alla nostra convivenza; crea la rivolta o l’indifferenza. Due forme di stare nella società che creano quel vuoto di politica, cioè di appassionato e ragionevole impegno per il bene comune, riempito inevitabilmente dalla burocrazia. E si oscura anche il giusto senso dello Stato, di cui l’uomo non può fare senza.

La parola di Dio questa sera ci assicura che nel tempo abita e si attua un disegno. Chi fa propria questa visione e questa certezza, diventa consapevole che la sua vita non si dissipa nello scorrere del tempo, ma è l’esercizio di responsabili scelte per l’eternità.

Tramontata la fiducia in ideologie utopistiche, falsi surrogati alla concezione cristiana del tempo, stiamo rischiando la rassegnazione; sembra ormai essere questa la malattia oscura della nostra città. E una città rassegnata ha già imboccato la via del tramonto.

Ma sono anche certo che in essa esiste ancora un potenziale enorme. Il nuovo anno ci è dato perché possa essere valorizzato. C’è bisogno per questo di operosa coesione sociale; di assunzione da parte di ciascuno della propria responsabilità nella promozione del bene comune della città. E’ questa consapevolezza il frutto civile più prezioso della concezione cristiana del tempo, che questa sera la parola di Dio ci dona.

Mi piace allora concludere con un testo poetico di K. Wojtyla:

«Debole è il popolo, quando acconsente alla sconfitta, quando dimentica la sua missione di vegliare fino a che giunga l’ora. Le ore tornano sempre sul grande quadrante della storia … Le ore diventano salmo di incessanti conversioni».

[Pensando Patria, in Tutte le opere letterarie, Bompiani, Milano 2005, 235]

E’ per questo che in tutta verità possiamo cantare il Te Deum.