“L’idea che la società possa farne a meno è contraria alla storia e, ora, alla biologia evoluzionistica”. Lo scrive il rabbino capo del Commonwealth, Jonathan Sacks, in un articolo pubblicato nei giorni scorsi sul New York Times e sull’International Herald Tribune sotto il titolo The moral animal, cioè “L’animale morale”.
Nel suo articolo, Lord Jonathan Sacks, che nel dicembre dell’anno scorso è stato ricevuto in udienza da Benedetto XVI e ha tenuto anche una conferenza presso la Università Pontificia Gregoriana, osserva che dicembre è “il periodo più religioso dell’anno”. “Entri in qualsiasi città americana o britannica e vedrai il cielo notturno illuminato da simboli religiosi, certamente decorazioni natalizie e probabilmente anche una menorah gigante”, scrive Sacks. “La religione in Occidente sembra essere viva e in buona salute”.
Ma lo è davvero o sono solo simboli “svuotati di contenuto, nient’altro che uno sfondo scintillante per la nuova fede occidentale, il consumismo, e per le sue cattedrali laiche, i centri commerciali?”, si chiede Lord Sacks.
A prima vista – continua il rabbino capo delle Congregazioni Ebraiche Unite del Commonwealth – “la religione è in declino”. Dai dati del censimento nazionale del 2011 emerge – spiega Sacks – che in Gran Bretagna un quarto della popolazione dichiara di non avere una religione, vale a dire quasi il doppio rispetto a dieci anni fa.
Ma guardando questi dati da un altro punto di vista, essi raccontano, secondo Sacks, “una storia differente”. Infatti, “sin dal XVIII secolo, molti intellettuali occidentali hanno predetto l’imminente morte della religione”. Ma nonostante gli attacchi, fra cui quelli più recenti da parte dei cosiddetti “nuovi atei”, alla fine oggi tre persone su quattro in Gran Bretagna e ben quattro persone su cinque in America si dichiarano o si ritengono “devote ad una fede religiosa”. “Ed è questo, in un’età della scienza, che è veramente sorprendente”, sottolinea Sacks, autore di libri comeFrom Optimism to Hope e The Great Partnership: Science, Religion, and the Search for Meaning.
Come osserva Sacks, l’ironia della sorte vuole che molti dei nuovi atei sono seguaci di Charles Darwin. “Noi siamo quello che siamo, sostengono, perché che ci ha permesso di sopravvivere e di passare il nostro codice genetico alla generazione successiva”. Colpisce allora che “la religione è il più grande sopravvissuto di tutti“. Come mai?
Secondo Sacks, è lo stesso Darwin a suggerire quella che è probabilmente la risposta giusta. Lui fu molto colpito da un fenomeno che “sembrava contraddire la sua tesi più basilare, cioè che la selezione naturale dovrebbe favorire i più spietati”. Invece, “tutte le società valorizzano l’altruismo, e qualcosa di simile può essere visto anche tra gli animali sociali”.
Come funziona, lo spiega la neuroscienza: “Abbiamo neuroni specchio che ci portano a provare dolore quando vediamo soffrire altri. Siamo programmati per l’empatia. Siamo animali morali”.
Questo ha implicazioni importanti: “Passiamo i nostri geni come individui ma sopravviviamo come membri di un gruppo, e i gruppi possono esistere solo quando gli individui non agiscono esclusivamente per il proprio bene ma per il bene dell’insieme del gruppo”.
A livello cerebrale, l’uomo ha due modalità di reazione, “una che si concentra su un potenziale pericolo per noi, come individui, e l’altra, situata nella corteccia prefrontale, che pondera di più le conseguenze delle nostre azioni per noi e gli altri”. “La prima è immediata, istintiva ed emotiva. La seconda è riflessiva e razionale”, sintetizza il rabbino capo.
L’uomo risulta dunque preso tra due pensieri o percorsi, quello veloce, che “ci aiuta a sopravvivere, ma può anche portarci ad azioni impulsive e distruttive”, e quello lento, che “ci porta ad un comportamento più ponderato, ma viene spesso sopraffatto nella foga del momento”. Infatti, “siamo peccatori e santi, egoisti e altruisti, esattamente come hanno sostenuto a lungo filosofi e profeti”.
“Se è così, possiamo capire come la religione ci abbia aiutato a sopravvivere nel passato – e perché ne avremo ancora bisogno nel futuro”. La religione, continua Sacks, “rafforza e accelera il percorso lento”. Essa “riconfigura i nostri circuiti neurali, trasformando l’altruismo in istinto, attraverso i rituali che eseguiamo, i testi che leggiamo così come le preghiere che preghiamo. Rimane il più potente costruttore di comunità che il mondo abbia conosciuto”.
Essa “lega gli individui in gruppi attraverso comportamenti di altruismo, creando relazioni di fiducia abbastanza forti da sconfiggere emozioni distruttive”. Perciò, “ben lontani dal confutare la religione, i neo-darwinisti ci hanno aiutati a capire perché è importante”.
Essa è infatti “il miglior antidoto all’individualismo dell’epoca del consumismo”. Perciò, “l’idea che la società possa farne a meno è contraria alla storia e, ora, alla biologia evoluzionistica”.
In conclusione, per Sacks, c’è una cosa che le società libere dell’Occidente non devono mai fare: “perdere il loro senso di Dio”.