Ciad: rimossa l'espulsione a mons. Michele Russo

Si conclude nel periodo natalizio la controversa vicenda del vescovo italiano espulso dal Ciad per denunce su malversazioni dei proventi petroliferi

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Monsignor Michele Russo può ritornare in Ciad e riprendere il suo ministero apostolico nella diocesi di Doba.

Un comunicato del Ministero della Comunicazione del Ciad conferma la notizia  che già circolava nei giorni precedenti in alcuni ambienti vaticani.

Il caso è stato risolto soprattutto grazie all’efficace e ininterrotta azione diplomatica della Santa Sede.

Mons. Russo (leggi intervista) è originario di S. Giovanni Rotondo (FG) e gli era stato intimato di lasciare il paese centrafricano lo scorso 14 ottobre, dopo un servizio come missionario in Ciad da quasi trent’anni.

Il movente della sua espulsione sarebbero state le critiche sulla gestione dei proventi petroliferi attraverso la radio diocesana, La Voix du paysan (La voce del contadino)”, prima radio libera del paese centrafricano affidata dal 2010 da mons. Russo ai Frati Francescani dell’Immacolata, sotto la direzione del beninese p. Clement M. Bonou. La stessa emittente, una delle poche che si preoccupa dello sviluppo integrale della popolazione, è stata per questo sospesa dal Consiglio Superiore della Comunicazione.

I propositi contestati dal governo ciadiano sarebbero stati pronunciati dal prelato nel corso di un’omelia tradotta in lingua gambay e radiotrasmessa.

“E’ un equivoco nato dalla traduzione della mia omelia. Il conduttore radio ha infarcito con espressioni idiomatiche della cultura locale una ben nota situazione di ingiustizia. Non era la prima volta che con gli stessi termini, drammatizzati stavolta dalla maldestra traduzione, denunciavo lo stato di cose, spinto dal riferimento al Vangelo e sensibile alla dottrina della Chiesa e ai bisogni del gregge di anime affidatemi. Questo rivela, in ogni caso, una reale e preoccupante insofferenza della gente comune”, ha dichiarato mons. Russo, più volte raggiunto durante il suo soggiorno in Italia da p. Alfonso Bruno, portavoce dei Francescani dell’Immacolata, coinvolti di riflesso nella vicenda.

I religiosi e il clero presenti a Doba hanno meritevolmente contribuito al mantenimento della calma e della fiduciosa attesa del prelato, malgrado un sentimento diffuso di forte rivolta e indignazione. Quest’atteggiamento smentisce il  comunicato dell’alto consiglio per la comunicazione del Ciad nel quale evidenziava che, nel trasmettere il sermone, l’emittente radiofonica aveva voluto «attentare all’ordine pubblico di proposito».

Il Ciad è diventato un paese produttore di petrolio dal 2003, grazie allo sfruttamento dei giacimenti scoperti a Doba e all’oleodotto che attraversa il Camerun per rifornire le petroliere nel Golfo di Guinea.  La Banca Mondiale che aveva in gran parte finanziato il progetto, poneva la condizione che  parte della destinazione dei proventi petroliferi fossero esclusivamente destinati alla riduzione della povertà nel paese.

Il presidente musulmano Idriss Deby al potere dal 1990 e riconfermato con forti contestazioni nel 2006 e nel 2011 ha piuttosto investito in armamenti specie dopo una ribellione guidata dal suo stesso gruppo etnico che lo accusava di malversazioni e nepotismo sulle alte cariche dello Stato. La ribellione, repressa con l’aiuto di militari francesi, ha provocato ondate di profughi verso i paesi vicini. Questo non ha impedito ad EXXON, Elf, Banca Mondiale e Cina di accordarsi alla fine con la dittatura per il raddoppio delle estrazioni petrolifere, dopo la minaccia di chiusura dei pozzi e ritiro delle concessioni governative.

Ex colonia francese, indipendente dal 1960, il Ciad è prevalentemente musulmano (53,10%, principalmente a nord del territorio), poi seguono i cristiani (35%, che come gli animisti 10%, sono principalmente nel centro sud) ed infine gli atei (2,90%). Le chiese cristiane più grandi sono la Chiesa Cattolica Romana, le Assemblees Chretiennes del Ciad, la Chiesa battista del Ciad e le Chiesa evangelica del Ciad.

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ZENIT Staff

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