di San Josemaría Escrivá de Balaguer
ROMA, giovedì, 20 dicembre 2012 (ZENIT.org).- Quando giunge il tempo natalizio mi piace contemplare le immagini di Gesù Bambino. Quelle figure che rappresentano il Signore nel suo annientamento mi ricordano che Dio ci chiama, che l’Onnipotente ha voluto presentarsi a noi indifeso e come bisognoso degli uomini. Dalla culla di Betlemme Gesù dice a me e a te che ha bisogno di noi; ci sollecita a una vita cristiana senza compromessi, a una vita di donazione, di lavoro, di gioia.
Non raggiungeremo mai la vera serenità se non imitiamo davvero Gesù Cristo, se non lo seguiamo nell’umiltà. Lasciatemelo dire di nuovo: avete visto dove si nasconde la grandezza di Dio? In una mangiatoia, con le fasce di un neonato, dentro una grotta. La forza redentrice della nostra vita sarà efficace pertanto solo se c’è umiltà, solo quando smetteremo di pensare a noi stessi e sentiremo la responsabilità di aiutare gli altri.
Non è infrequente che anche anime buone si provochino conflitti personali tali da suscitare serie preoccupazioni ma che in realtà sono privi di ogni base oggettiva. Nascono da una conoscenza di se stessi tanto inadeguata da scatenare la superbia: il bisogno di sentirsi al centro dell’attenzione e della stima degli altri, la preoccupazione di fare bella figura, il non rassegnarsi a fare il bene senza farlo vedere, l’ansia per la propria sicurezza… In tal modo, molte anime che potrebbero godere di una pace meravigliosa e gustare una gioia incomparabile finiscono — per orgoglio e presunzione — per essere infelici e infeconde.
Cristo fu umile di cuore (Cfr. Mt 11, 29). In tutta la sua vita non volle per sé nulla di singolare, nessun privilegio. La sua esistenza umana ha inizio nel seno di sua Madre, ove permane nove mesi come ogni altro mortale, nel modo più naturale. Ben sapeva il Signore quale estremo bisogno avesse di Lui l’umanità, e ardente era la sua ansia di scendere sulla terra per la salvezza di tutte le anime: eppure ogni cosa segue il suo corso. Egli nacque quando giunse il suo momento, come ogni altro uomo sulla terra. Dal concepimento alla nascita, nessuno — tranne Giuseppe ed Elisabetta — si rende conto del prodigio: Dio viene a porre la sua dimora tra gli uomini.
Il Natale di Gesù è soffuso di ammirevole semplicità: il Signore viene senza risonanza, sconosciuto a tutti. Qui in terra, soltanto Maria e Giuseppe partecipano a questa avventura divina. Poi i pastori, ai quali gli angeli recano l’annunzio. E, più tardi, quei saggi dell’Oriente. È così che ha compimento l’evento trascendente che unisce il cielo alla terra, Dio all’uomo.
È mai possibile tanta insensibilità di cuore al punto di abituarsi a queste scene? Dio viene nell’umiltà perché ci sia possibile avvicinarlo, perché ci sia possibile corrispondere al suo amore con il nostro amore, perché la nostra libertà si arrenda non più soltanto alla manifestazione della sua potenza, ma anche allo splendore della sua umiltà.
Ineffabile grandezza di un bambino che è Dio! Suo Padre è il Dio che ha fatto i cieli e la terra, eppure Egli è lì, in una mangiatoia, quia non erat eis locus in diversorio (Lc 2, 7), perché non c’era altro posto sulla terra per il Signore di tutto il creato.
(E’ Gesù che passa, 18)
Il Signore si rivolge a tutti gli uomini perché tutti gli vadano incontro, perché tutti siano santi. Non chiama soltanto i Magi, uomini saggi e potenti; prima aveva inviato ai pastori di Betlemme non già una stella, ma uno dei suoi angeli (Lc 2, 9). Ma tutti, poveri o ricchi, sapienti o meno, devono maturare nell’anima la disposizione umile che permette di ascoltare la voce di Dio.
(E’ Gesù che passa, 33)
”Oggi splenderà la luce su di noi, perché ci è nato il Signore”. Ecco il grande annuncio che commuove in questo giorno i cristiani e che, per loro mezzo, viene rivolto a tutta l’umanità. Dio è in mezzo a noi. È questa la verità che appaga la nostra vita. Ogni Natale deve essere per noi un nuovo e peculiare incontro con Dio, in modo tale che la sua luce e la sua grazia entrino fino in fondo nella nostra anima.
(E’ Gesù che passa, 12)