Concilio Vaticano II: né aggiornamento né rottura, ma "novità nella continuità"

Padre Cantalamessa vede la realizzazione del Concilio e l’intervento dello Spirito Santo nei movimenti ecclesiali, nelle parrocchie, nelle nuove comunità

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di Antonio Gaspari

CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 14 dicembre 2012 (ZENIT.org).- “Gesù non ci ha dato delle parole morte (…) Ma ci ha dato delle parole vive da nutrire (…) di far vivere e di nutrire e mantenere vive nel tempo”.

Con questa citazione del poeta francese Charles Peguy, Padre Raniero Cantalamessa, O.F.M.Cap, Predicatore della Casa Pontificia, ha cercato di spiegare il senso profondo di una “vivente Tradizione” come la chiamava Sant’Ireneo, che si è espressa nel Concilio Vaticano II.

Nella seconda predica di Avvento pronunciata oggi nella Cappella Redemptoris Mater alla presenza di Papa Benedetto XVI, padre Cantalamessa ha spiegato che sono almeno tre le chiavi di lettura del Concilio Vaticano II: aggiornamento, rottura, novità nella continuità.

La parola “aggiornamento” fu introdotta dal Beato Giovanni XXIII nell’annunciare al mondo il Concilio.

“Il ventunesimo Concilio Ecumenico – disse l’allora Pontefice – vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica […]. Occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi”.

Come è noto, durante i lavori si delinearono due schieramenti opposti, e, – spiega padre Cantalamessa – “la parola aggiornamento finì per essere sostituita dalla parola rottura”.

Secondo il Predicatore della casa Pontificia tra questi due fronti si colloca la posizione del Magistero papale che parla di “novità nella continuità”.

Paolo VI, nella Ecclesiam suam riprende la parola “aggiornamento” di Giovanni XXIII e dice di volerla tenere presente come “indirizzo programmatico”.

A dare una svolta nella interpretazione del Concilio è stato l’attuale Sommo Pontefice Benedetto XVI il quale nel discorso programmatico alla Curia romana del 22 Dicembre 2005, ha parlato di “novità nella continuità”.

Il Papa Benedetto XVI ha chiarito come i problemi della recezione degli insegnamenti del Concilio sono nati dal fatto che “due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti”.

L’attuale Pontefice non vede bene “l’ermeneutica della discontinuità e della rottura” ed ha indicato invece con favore “l’ermeneutica della riforma”.

La lettura del Concilio fatta propria dal Magistero, è per padre Cantalamessa quella della “novità nella continuità” illustrata nel “Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana” dal cardinal Newman, definito spesso, anche per questo, “il Padre assente del Vaticano II”.

Per comprendere il senso profondo della “novità nella continuità” padre Cantalamessa ricorda che “Gesù parlava la lingua del suo tempo; non l’ebraico che era la lingua nobile e delle Scritture (il latino del tempo!), ma l’aramaico parlato dalla gente”.

“La fedeltà a questo dato iniziale – ha aggiunto – non poteva consistere, e non consistette, nel continuare a parlare in aramaico a tutti i futuri ascoltatori del Vangelo, ma nel parlare greco ai Greci, latino ai Latini, armeno agli Armeni, copto ai Copti, e così di seguito fino ai nostri giorni. Come diceva Newman, è proprio mutando che spesso si è fedeli al dato originario”.

Dopo aver fatto notare che sia i tradizionalisti che i progressisti mancano nel cogliere l’intervento dello Spirito Santo al Concilio, padre Cantalamessa indica i frutti del Concilio, rilevando che mentre “noi guardavamo al cambiamento nelle strutture e istituzioni, a una diversa distribuzione del potere, alla lingua da usare nella liturgia, e non ci accorgevamo di quanto queste novità fossero piccole in confronto a quella che lo Spirito Santo stava operando”.

Il Predicatore rileva che al Concilio “c’è stata una nuova Pentecoste” i cui evidenti frutti sono da riconoscere nei movimenti ecclesiali, nelle parrocchie, nelle associazioni di fedeli, nelle nuove comunità, e nelle comunità di base, in cui il fattore politico non ha preso il sopravvento su quello religioso.

Giovanni Paolo II – ha ricordato padre Cantalamessa – vedeva in questi movimenti e comunità parrocchiali vive “i segni di una nuova primavera della Chiesa” e la conferma “della presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo”.

In questo contesto il Predicatore della casa Pontificia ha indicato il Rinnovamento carismatico, o Rinnovamento nello Spirito, come “una corrente di grazia destinata a disperdersi nella Chiesa come una scarica elettrica nella massa”.

“I movimenti ecclesiali non sono esenti da debolezze e a volte anche da derive parziali . ha affermato Cantalamessa – ma quale altra grande novità è apparsa nella storia della Chiesa senza sbavature umane? Non avvenne la stessa cosa quando, nel secolo XIII, apparvero gli ordini mendicanti?”.

“I movimenti ecclesiali e le nuove comunità – ha sottolineato – non esauriscono certo tutte le potenzialità e le attese di rinnovamento del Concilio, ma rispondono alla più importante di esse, almeno agli occhi di Dio”.

Anche se ha confessato di essersi liberato dai pregiudizi contro gli ebrei e contro i protestanti, assorbiti negli anni della formazione, non per aver letto Nostra aetate, ma “per aver fatto anch’io, nel mio piccolo e per merito di alcuni fratelli, l’esperienza della nuova Pentecoste”, padre Cantalamessa afferma che in merito ai documenti del Concilio, lo Spirito Santo “spinge a studiarli e a metterli in pratica”.

Il predicatore della Casa Pontificia ha concluso la predica d’Avvento, riportando le parole di Giovanni XXIII nel discorso di chiusura della prima sessione in cui parlò del Concilio come di “una nuova desiderata Pentecoste, che arricchirà abbondantemente la Chiesa di energie spirituali”.

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ZENIT Staff

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