di Paolo Lorizzo*
ROMA, venerdì, 7 dicembre 2012 (ZENIT.org).- Spesso la memoria gioca brutti scherzi, specie se ci si aggrappa a ricordi nebulosi di molti anni prima, quando si osservava il mondo intorno a noi con quella superficialità dettata dall’inconsapevolezza. Tornando a distanza di anni negli stessi luoghi di cui si aveva la convinzione di ricordi nitidi, ci si rende subito conto come spesso la realtà, modificata dall’immaginazione ed alterata dalla fantasia, è quasi completamente diversa.
Della prima volta che varcai la soglia della basilica di S. Croce in Gerusalemme, conservo il ricordo di un edificio imponente, sontuoso e molto appariscente. Tornandoci a distanza di anni mi sono reso conto che niente è così lontano dalla realtà! L’elemento ingannevole nasce probabilmente dal contesto in cui complesso basilicale è inserito. La piazza, molto ampia e spaziosa (situata tra le piazze di S. Giovanni e Porta Maggiore) circondata da alcune strutture museali ed impreziosita dalla fontana di A. Marini realizzata nel 1927, fornisce all’occhio umano una profondità che soltanto in pochissimi contesti ecclesiastici romani è ancora possibile percepire. Provenendo dall’omonima via posizionata in asse con la chiesa, si ha infatti la sensazione di trovarsi in un contesto extraurbano dettagliatamente pianificato e non certo situato tra le rovine dell’antico palazzo Sessoriano, delle mura ‘aureliane’ (poi divenute ‘onoriane’) e dei numerosi acquedotti che alimentavano Roma (ben otto si intersecavano presso la vicina piazza di Porta Maggiore).
Dell’antico impianto basilicale voluto da Costantino e da sua madre Elena non resta praticamente più nulla. Chiaramente l’edificio ingloba molte porzioni murarie antiche e le fondazioni poggiano sull’antico atrio costruito da Settimio Severo, ma attualmente invisibili. Nonostante l’inaccessibilità della costruzione tardo-antica, l’edificio custodisce, fin dal IV secolo, quelle che la tradizione ritiene siano le reliquie qui portate da Elena di ritorno dal pellegrinaggio presso il monte Calvario, consistenti in un frammento della croce di Gesù, uno dei chiodi della Crocefissione nonché il cosiddetto ‘titulus crucis’, una tavoletta con l’imputazione formulata direttamente da Ponzio Pilato.
Dell’antico atrio di epoca ‘severiana’ (all’interno del quale venne ricavata la chiesa) non resta praticamente più nulla di visibile e la facciata in stile barocco accentua ancor di più il distacco con l’impianto tardo-antico. Nell’occasione infatti venne completamente alterata l’antica facciata a causa della costruzione di un atrio ovale di stampo ‘borrominiano’, realizzato su commissione di papa Benedetto XIV da Pietro Passalacqua e Domenico Gregorini tra il 1740 e il 1758. I grossi lavori di rifacimento di epoca barocca hanno comunque permesso di recuperare una parte degli affreschi decorativi dell’antico impianto, attualmente conservata all’interno del museo della basilica.
L’edificio di culto fu interessato dai primi restauri già a partire dall’VIII secolo ad opera dei pontefici Gregorio II e Adriano I, ma fu Lucio II a modificare radicalmente la sua impostazione con alcune trasformazioni tipiche dell’architettura romanica, con la divisione in triplice navata, l’aggiunta di un campanile e la costruzione di un avancorpo porticato distrutto con i rifacimenti più tardi. Un paio di secoli prima venne fondato il monastero all’interno del quale si avvicendarono nei secoli varie comunità monastiche. Nel 1049 papa Leone X assegnò il monastero alla comunità dei Benedettini di Montecassino che lo detennero fino al 1062 quando papa Alessandro II lo diede ai Canonici Regolari di S. Frediano di Lucca. Fu papa Urbano V ad assegnarlo ai frati Certosini che lo detennero fino al 1561 quando passò ai frati Cistercensi della congregazione di S. Bernardo.
Circa un secolo prima papa Sisto IV fece costruire l’Oratorio di Santa Maria del Buon Aiuto, così chiamata perché legata ad un episodio particolare. Si narra infatti che Sisto IV fu sorpreso da un violento temporale che lo costrinse a sostare lungo il corso delle mura Aureliane e a ripararsi nei pressi da un’immagine della Madonna a cui aveva invocato aiuto e protezione. Esaudita la sua preghiera, n quello stesso punto venne successivamente ricostruita una cappella dedicata alla Madonna del Buon Aiuto, dove è ancora custodita l’immagine sacra. L’oratorio venne costruito all’interno dell’anfiteatro castrense in forme estremamente semplici, le quali ricordano le piccole costruzioni cristiane rurali edificate in aperta campagna o nei pressi dei cimiteri. All’interno è conservata l’immagine ad affresco della Madonna, qui trasportata dal luogo dove si rifugiò il pontefice. La cultura popolare ha definito la struttura nel tempo ‘Santa Maria de Spazzolari’, curioso appellativo derivante, secondo la tradizione, dal fatto che il custode ‘spazzolava’ le elemosine che i fedeli quotidianamente ponevano nelle cassette delle elemosine. Molte cose cambiano nel tempo, molte cose, ma non tutte le cose.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.
[La seconda parte è stata pubblicata sabato 1 dicembre]