CASTEL GANDOLFO, mercoledì, 1° settembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia tenuta il 29 agosto scorso dal Cardinale Christoph Schönborn, Arcivescovo di Vienna, durante la messa celebrata dal Papa per i suoi ex allievi a Castel Gandolfo.
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La scena del Vangelo di oggi, un pranzo di sabato presso uno dei capi dei farisei, comincia con un’osservazione reciproca. L’ospite e i suoi amici guardano Gesù. «Gli prestavano attenzione» traduce Adolf Schlatter. Lo scrutano in modo critico. E riescono a trovare l’occasione per confermare i loro giudizi critici. Gesù, infatti, guarisce un uomo malato di idropisia (la nostra lettura della domenica salta questa guarigione) e lo fa di sabato!
E Gesù osserva loro. Osserva il loro comportamento durante il pranzo, la rissa per sedersi ai primi posti. Colui che è osservato in maniera critica diviene a sua volta spettatore del proprio comportamento puerile. Sotto forma di parabola si mette uno specchio davanti a loro e anche davanti a noi, che ascoltiamo il Vangelo.
Come sempre, le parabole affrontano esperienze di vita quotidiana. Sedersi all’ultimo posto non è innanzitutto una questione di umiltà, ma di saggezza: meglio essere invitati ad andare avanti che a retrocedere con vergogna. Questa saggezza però non è una strategia scaltra per conquistare il posto d’onore. La vera umiltà a sempre qualcosa di realistico. Mozart sapeva e, a volte diceva, di essere fra i migliori. Era vero. La sua umiltà stava nel fatto che apprezzava il suo genio, ma lo considerava sempre un dono di Dio e quindi lo considerava come un compito. Non ho bisogno di spiegare l’analogia con il nostro venerato maestro. L’umiltà è qualcosa di molto sobrio. Ha a che fare con la veridicità e con la gratitudine. L’umiltà è soprattutto lo sguardo grato, sobrio e gioioso al nostro essere creature. Gesù ha detto a santa Caterina da Siena: «Riconosci chi sei tu e chi sono io e sarai felice: io sono colui che è, tu sei colei che non è». L’Apostolo dice: «Che cosa mai possiedi, che non tu non abbia ricevuto». L’umiltà come fondamentale atteggiamento creaturale! Per comprenderla e viverla in modo più profondo, il Creatore-Logos si è fatto carne, servitore, egli stesso divenuto creatura per mostrarci dal centro della nostra essenza creaturale quale deve essere l’atteggiamento di una creatura. Ci invita ad apprendere da lui che è «mite e umile di cuore» (Matteo 11,29).
Mitezza e umiltà raccomandava già il Siracide: «Quanto sei più grande, tanto più fatti umile» (Siracide, Prima lettura), letteralmente è così (però nella traduzione ufficiale della bibbia in tedesco era troppo duro, sebbene il riferimento cristologico saltasse agli occhi).
Quindi il nostro sguardo è rivolto a Cristo. Egli è colui che ha scelto l’ultimo posto, lui che era nella condizione di Dio (cfr. Filippesi 2). Mi ricorda la breve parabola dell’ultimo posto durante un altro pasto, che Gesù condivise con i suoi discepoli. Secondo san Luca, dopo che Gesù ebbe fondato l’Eucaristia, nacque una discussione fra gli apostoli su chi di loro fosse da considerare più grande (cfr. Luca 22,24-30): una lotta clericale per il predominio nel cenacolo, subito dopo l’istituzione del sacerdozio della Nuova Alleanza!
Sì, Signore, tu osservi in che modo lottiamo per il posto d’onore, apertamente o subdolamente. E ci ricordi: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Luca 22,27). Dovremmo vergognarci costantemente riconoscendo che dobbiamo ancora imparare molto da te. Signore tu stesso ci consoli: Sì, nel cenacolo, nonostante il tradimento imminente, il Signore ha fatto agli apostoli la grande promessa: «voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me» (Luca 22, 28 e seguenti). Che atto di fiducia da parte del Signore! Ci ha affidato il Regno di suo Padre.
Affinché la grandezza della nostra vocazione non ci renda superbi, egli ha posto noi, e soprattutto i primi apostoli, all’ultimo posto. Così almeno pensa san Paolo: «ritengo infatti che Dio abbia messo noi, gli apostoli, all’ultimo posto, come condannati a morte, poiché siamo dati in spettacolo al mondo, agli angeli e agli uomini. Noi stolti a causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi deboli, voi forti; voi onorati, noi disprezzati… Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati la spazzatura del mondo» (1 Corinti 4, 9-13).
Santo Padre! Che queste parole dell’Apostolo le siano di conforto quando gli oltraggi provengono dai fedeli stessi, dai cristiani stessi e le viene mostrato il «cartellino rosso». L’umiltà trasforma l’oltraggio in benedizione. Grazie, santità, per averci mostrato l’atteggiamento di Gesù, che è mite e umile di cuore.
Non c’è forse qualcosa di meraviglioso nella fede cristiana, nell’esperienza cristiana? La gioia per il fatto che i criteri del regno dei cieli sono così diversi. Chi è veramente grande nel regno dei cieli? Quanto riempie di gioia poter intuire, già qui sulla terra, nelle persone che vivono secondo il cuore di Gesù, chi sono i grandi nel regno dei cieli! E questa gioia non manca al Santo Padre nei numerosi incontri con persone che sono grandi secondo i criteri dell’«ecclesia», della comunità dei «primogeniti i cui nomi sono iscritti nei cieli», anche se per il mondo non hanno significato.
Ora il Signore stesso ci invita alla sua mensa. Non ha paura di invitare poveri, storpi, zoppi e ciechi. Invita noi, umili peccatori, con tutte le nostre mancanze e pecche e sta in mezzo a noi come colui che serve. Beati coloro che vengono invitati al banchetto dell’Agnello!
[Traduzione de L’Osservatore Romano]