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Vivere come se Dio ci fosse. Questa la grande sfida che Papa Ratzinger ha lanciato nell’era del relativismo.

Vivere come se Dio ci fosse, in famiglia, nel mondo della cultura, nel sociale, nella politica. E’ una sfida che ha due destinatari: il mondo laico e i credenti. Sembra che il Papa tedesco voglia parlare, come si dice nel linguaggio comune, “a nuora perché suocera intenda”. E quindi i principali destinatari del suo alto magistero non sono solo i non credenti a cui è proposta la ragionevolezza dell’ipotesi su Dio, ma quei molti cristiani che si sono abituati a vivere come se Dio non ci fosse, come recita il famoso aforisma di Ugo Grozio, ripreso da Bonhoeffer e tornato prepotentemente d’attualità negli ultimi anni.

A questi soprattutto è rivolto il messaggio di Benedetto XVI: il primato di Dio, l’incontro tra fede e ragione, tra meditazione e pensiero, tra riflessione e azione. E’ un messaggio che fa problema soprattutto a chi, anche all’interno della Chiesa, ha accolto la secolarizzazione come l’unico orizzonte possibile e continua a usare categorie di interpretazione della realtà che non aiutano a comprendere il mondo in cui viviamo. Non sono pochi coloro che sono vittime di un singolare mix tra spiritualismo disincarnato (quello che fa insorgere contro le presunte ingerenze della Chiesa nella vita pubblica) e moralismo politico (che ci è fornito in dosi quotidiane da giornali molto letti come Repubblica e che trova i suoi più accesi paladini in politici come Antonio Di Pietro). Questo mix di spiritualismo disincarnato e di moralismo politico impedisce la diffusione di una nuova classe dirigente di politici cattolici che siano capaci di mettere insieme santità personale, valori e voti. E’ evidente lo stato di inadeguatezza che mostra il ceto politico in Italia. Questa inadeguatezza è dovuta in larga misura ai canali sempre più oligarchici con cui essa viene formata e alla mancanza di canali di formazione della classe dirigente che nascano dalla società civile, dal mondo dell’economia e della finanza, da quello della cooperazione e del volontariato, dell’associazionismo e della cultura. Da alcuni decenni il passaggio dalla società civile alla politica è particolarmente scarso nel mondo cattolico, e non solo. All’unità politica dei cattolici è subentrata l’unità bioetica che se da un lato opportunamente evidenzia i temi non negoziabili, dall’altro lato rischia di favorire una insignificanza della presenza dei cattolici su temi altrettanto importanti che riguardano le istituzioni, la solidarietà, la sussidiarietà, il bene comune. C’è un deficit preoccupante di vocazioni alla politica che nascano dalle parrocchie, dalle associazioni e dai movimenti. Pesa senza dubbio il venir meno di una presenza organizzata, visibile, credibile dei laici cattolici nella società. Pesanti sono i costi da questo punto di vista del bipolarismo che si sta trasformando in un bipartitismo che divide il Paese e non favorisce azioni tese all’obiettivo della realizzazione del bene comune. Se ne è parlato in modo approfondito a Sfruz (Trento) nella tre giorni indetta dalla fondazione Toniolo in collaborazione con La Società dal 27 al 29 agosto insieme ai rappresentanti di circa 50 diocesi italiane in cui sono nati i Centri per la Dottrina sociale della Chiesa. E se ne parlerà dal 14 al 17 ottobre a Reggio Calabria in occasione della 46 ° Settimana Sociale dei cattolici italiani dedicata all’Agenda della speranza.

Questo numero della nostra rivista è interamente dedicato alla discussione e all’approfondimento del Documento preparatorio della Settimana sociale, che abbiamo pubblicato integralmente nel numero 3 de La Società.

Il primato di Dio è a fondamento di ogni rinascita del movimento cattolico a livello sociale e ci può essere di guida in questi tempi particolarmente difficili e incerti un richiamo storico: quello all’esperienza di Leone XIII e della Rerum Novarum.

“L’ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i po­poli, doveva naturalmente dall'ordine po­litico passare nell'ordine dell'economia sociale". Si apriva così la "Rerum novarum", l'enciclica che il Papa Leone XIII, Gioacchino Pecci promulga il 15 maggio 1891 ponendo le basi della Dottrina socia­le della Chiesa. Le res novae sono il conflitto fra capitale e lavoro, il divario crescente tra ricchi e proletari, il conflitto di classe. Di fronte a questo scenario la risposta è straordinariamente aperta e direi moderna. Si accetta la competizione con il nascente movimento socialista, lo si giudica nelle sue dimensioni positive e nei suoi limiti e soprattutto lo si definisce un "falso rimedio". Di fronte a quella temperie culturale e politica, Papa Pecci sostiene che la proprietà privata è un diritto naturale, che si collega strettamente ai diritti della persona, sottolinea che la persona e la famiglia vengono prima del­lo Stato, introducendo così il principio di sussidiarietà che sta oggi a fondamento della nostra cultura europea, suggerisce soluzioni sociali improntate ad una chiara idea di giustizia, definisce i limi­ti dell'intervento dello Stato per evitare i rischi di “statolatria”, si schiera apertamente dalla parte dei diseredati e degli sfruttati la cui dignità e i cui diritti nessuno può calpestare "impunemente", invita - ed è questo forse il cuore pulsante dell’enciclica - i lavoratori cattolici ad asso­ciarsi per applicare nella nuova realtà l’insegnamento evangelico.

L’Italia in quegli anni aveva circa 31 milioni di abitanti. Ben il 64 per cento dell’attività economica riguardava l’agricoltura. La nascente industria era solo al 21 per cento. Ma l’Italia era già allora divisa. Gli analfabeti erano il 70 per cento in Calabria e il 17 per cento in Lombar­dia. In quegli stessi anni nasceva la prima Camera del lavoro a Milano. Aumento del costo della vita e disoc­cupazione provocavano duri scontri di piazza. Il "Manifesto del Partito Comunista" di Marx ed Engels, pubblicato nel 1848, esce in quegli anni per la prima volta in traduzione italiana. L’Italia era unita da trent'anni ma da ben venti anni i Papi non uscivano dal Vaticano. Dal 1868 era in vigore il "Non expedit", il divie­to per i cattolici di partecipare alla vita politica italiana.

Con la "Rerum novarum", ma anche con le altre sue encicliche, Leone XIII scende in campo. Le idee che stanno a fondamento della Dottrina sociale della Chiesa mantengono una sorprendente attualità e si dimostrano profondamente legate al magistero di Benedetto XVI e del suo immediato predecessore. Giovanni Paolo II, infatti, dal memorabile discorso di Puebla (1979) alla Centesimus Annus (1991) ha svolto un’opera straordinaria di riabilitazione culturale dell’idea stessa di Dottrina sociale (ricompresa nell’alveo della Teologia morale). Il Papa polacco reagiva con energia alla estromissione della Dottrina sociale, messa in discussione, con l’appoggio di influenti circoli teologici, dopo il ’68, da chi temeva le “ terze vie” e si affidava al valore taumaturgico della prospettiva del socialismo dal volto umano e a quella ad esso collegata della Teologia della Liberazione. Benedetto XVI visitando, in occasione del Bicentenario di Papa Pecci, il 5 settembre 2010, il paese di Carpineto Romano, sui monti Lepini, meno di cento chilometri da Roma, dove Pecci nacque il 2 marzo 1810, ha reso omaggio, a duecento anni dalla nascita, ad un suo altro predecessore che ha lasciato un'impronta profonda.

La biografia di Papa Pecci è particolarmente eloquente per ricchezza di esperienze culturali e umane.

Vincenzo Gioacchino Raffaele Luigi Pecci, figlio di Ludovico e Anna Prosperi Buzi inizia a Viterbo studiando dai Gesuiti, poi approfondisce filosofia e teologia al Collegio romano e diritto civile e canonico alla Sapienza, che frequenta come alunno dell'Accademia dei nobili ecclesiastici, riceve la preparazione del personale diplomatico della sede apostolica. Ma non si ferma alla cul tura della diplomazia. A questa unisce l'esperienza sul campo. Delegato apostolico a Benevento e a Perugia, fa i conti, con la realtà del territorio. Nel 1842 viene mandato in Belgio come nunzio e a Bruxelles conosce un mondo in cui il processo di industrializzazione è già avanzato e cattolici e liberali, grazie al sistema costituzionale, hanno trovato un modus vivendi che anticipa la conciliazione per la quale l’Italia dovrà attendere ancora fino al 1929.

In Belgio i cattolici, pur senza privilegi, hanno sviluppato una rete di opere sociali e hanno acquisito un ruolo di primo piano nella politica e nella cultura. E’ questo il tema che approfondiremo anche a Reggio Calabria. C’è chi crede nelle opere e chi invece sperimenta che la fede genera le opere. Ecco: le opere della fede sono il tema su cui rifletteremo a Reggio Calabria. Quando i cattolici si incontrano per parlare di temi sociali spesso avviene qualcosa di molto simile al clima che si crea nel Paese quando gioca la Nazionale di calcio. Tutti diventano allenatori. Ognuno ha la sua ricetta. Chi è affetto da “Silviofobia” ha un unico problema (che gli fa anche superare ogni antica pregiudiziale anti-fascista): quello di cacciare al più presto il premier. Chi non ha mai abbandonato l’anticomunismo, anche dopo il crollo del muro di Berlino, passa sopra ad ogni offesa pubblica dei più elementari principi di moralità, in nome dell’argine da porre al “ritorno dei comunisti”. E’ difficile che si ragioni sulle cose e sui fatti. Prevale una bipolarizzazione del dibattito che crea divisioni e incomprensioni ma soprattutto non aiuta a mettere in luce il contributo peculiare che i cattolici possono oggi portare nel dibattito politico. Quando le tensioni muscolari prevalgono sull’uso dell’intelligenza politica si danneggia proprio la ricerca del bene comune. La Settimana sociale di Reggio Calabria può segnare una svolta che vada oltre la bipolarizzazione del dibattito tra i cattolici su temi sociali che porta inesorabilmente a far crescere la insignificanza e la scarsa influenza. Da questo punto di vista è utile un ulteriore richiamo all’esperienza e al magistero di Papa Pecci che, non dimentichiamolo, prima di salire al soglio di Pietro ha passato circa tre decenni come Vescovo della diocesi di Perugia.

Dalla Rerum novarum alla nascita del Partito Popolare prima e della Dc dopo, passeranno alcuni decenni. Ma la Rerum novarum provoca subito un fiorire di opere sociali: Associazioni, Casse rurali e artigiane, giornali, un vasto movimento che ebbe in Giuseppe Toniolo l’illuminato animatore.

E’ questo il bivio: scegliere tra moralismo politico e discernimento politico. Il primo all’apparenza è più seducente e sembra più coerente con una netta distinzione nella vita politica tra i buoni e i malvagi. Peccato però che dimentica le conseguenze sulla natura umana del peccato originale. Il secondo, il discernimento politico, oggi è merce rara. SI fonda sul primato di Dio, su una vita di preghiera, su una esperienza pratica di opere sociali, sulla rinuncia ad ogni forma di manicheismo, sulla coltivazione quotidiana delle virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza) che nella vita politica si esprimono come saggezza, equità, coraggio politico e mitezza. Soprattutto di mitezza mi pare ci sia un grande bisogno in un tempo di politica urlata e di conflitti ideologici. Di questa visione aperta del ruolo dei cattolici nella società italiana, estranea al moralismo politico è efficace testimonianza il Documento preparatorio della 46° Settimana sociale dei cattolici. Ne elenco sommariamente i punti salienti, che sono oggetto di ben più approfonditi esami nei numerosi contributi che pubblichiamo da parte di esponenti della cultura, dell’economia, della società e della politica.

Non si demonizza più la globalizzazione che in realtà offre “nuovi orizzonti all’amore” (n.3).

Si ricorda che la globalizzazione alza il velo sul bicchiere mezzo vuoto della situazione sociale ed economica del nostro Paese: bassa produttività del lavoro, debito pubblico elevato sulle spalle delle generazioni future, inverno demografico (che può preludere ad un inverno democratico), mancato aggiornamento delle istituzioni politiche, attacco alla sacralità della vita, basse performances nel campo dell’istruzione e della ricerca. Se non ci fosse la globalizzazione potremmo tranquillamente continuare come abbiamo fatto per decenni a mettere a carico delle generazioni future i nostri disavanzi nella spesa pubblica e i nostri ritardi nell’evoluzione istituzionale. L’euro e la globalizzazione ce lo impediscono. L’Italia, ormai una media potenza in declino, deve riprendere a crescere. Viene meno la demonizzazione del mercato. Lavoro e impresa vanno sempre declinati insieme perché il lavoro non lo porta la cicogna (n.n. 15-17). Occorrono politiche fiscali per la famiglia a partire dal quoziente familiare (n. 18). La pressione fiscale va progressivamente spostata dal lavoro e dagli investimenti alla rendita. Il bene comune esige il sostegno alla crescita delle imprese. Vi è una emergenza educativa i cui segnali più evidenti sono la crisi dell’autorità a scuola e in famiglia (padri amiconi e insegnanti socializzatori). Ma vi è anche l’esigenza altrettanto forte di non bandire dall’educazione l’esperienza delle difficoltà e anche della sofferenza. Cercando di tenere i giovani al riparo da ogni contatto con le difficoltà e con il dolore il risultato è devastante. Si moltiplicano infatti persone fragili, poco generose e con scarso contatto con la realtà. La capacità di costruire, di spendersi per gli altri, di realizzare in modo pieno la propria umanità è direttamente proporzionale alla capacità di soffrire e di affrontare con coraggio gli inevitabili disagi della vita senza le comode “coperte di Linus” dell’affettività malata di molti genitori. Non possiamo più permetterci l’apartheid dei giovani nel mercato del lavoro: è urgente abbattere le barriere che emarginano i giovani. Ma è altrettanto urgente favorire un incontro non tardivo dei giovani con l’esperienza del lavoro e della formazione professionale già negli anni del percorso scolastico e universitario. E’ sintomatico da questo punto di vista che, secondo i dati di Almalaurea, il tempo che intercorre tra il conseguimento della laurea e il lavoro è di circa tre mesi per i figli di famiglie con reddito medio - basso e di oltre tre anni per i figli (che attendono comodamente a casa il miglior lavoro possibile) di famiglie con reddito medio - alto. Ovviamente questo dato non si può generalizzare e,soprattutto al sud la mancanza di lavoro per i giovani è un vero dramma nazionale. E’indispensabile gestire bene i flussi migratori (accoglienza e sicurezza camminano insieme) e riconoscere la cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia (n. 26). Il merito è democratico: va coltivato a scuola e nell’università. Nelle professioni è tempo di ridurre le barriere di accesso. Va completata la transizione istituzionale, attraverso la scelta del premier da parte degli elettori, un esecutivo più capace di fare, il superamento del bicameralismo perfetto e la nascita del Senato delle Regioni. Tutto questo dando coerenza al federalismo e evitando quello che acutamente viene definito il “federalismo per abbandono”. Basta con la confusione tra bene comune e assistenzialismo (il n. 33 cita Sturzo e le tre malebestie: assistenzialismo, clientelismo, partitocrazia) I cattolici non possono abdicare alla vita politica (il n. 30 saggiamente richiama la nota della Congregazione per la Dottrina della fede del 24 novembre 2002). Liturgia e Dottrina sociale vanno il più possibile armonizzate. E’ infatti l’eucaristia, culmine della vita cristiana, la più grande scuola di Dottrina sociale, di carità, di giustizia e di pace.

Le vocazioni alla politica più autentiche sono nate nel crogiuolo di una solida esperienza di Dio e hanno provocato opere sociali mentre il moralismo politico non fa altro che coltivare l’odio e rend ere impotenti nella realizzazione del bene comune del Paese. L’auspicio è quindi che la Settimana sociale di Reggio Calabria segni una pagina nuova nella vita e nell’impegno dei laici cattolici italiani. L’Agenda sociale della speranza non è un programma di parte ma un laboratorio aperto ai contributi di tutti gli uomini di buona volontà che amano l’Italia. Dopo la Rerum novarum vi fu un fiorire di Agende sociali. Nel 1894, solo tre anni dopo, Giuseppe Toniolo dette vita al “Programma dei cattolici” che prefigurava l’incontro tra democrazia e esperienza cristiana. Nel 1927, per impulso del Cardinale Mercier, i cattolici di nove diversi Paesi danno vita al “Codice di Malines”. Vi si parla tra l’altro di azionariato operaio e di partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. Dal 18 al 24 luglio 1943 attorno al Vescovo di Bergamo e assistente dei laureati cattolici, Mons. Bernareggi, nasce il Codice di Camaldoli. Mentre crollava il regime fascista (è del 25 luglio la drammatica notte in cui il Gran Consiglio sfiducia Mussolini), i cattolici preparavano 76 enunciati, molti dei quali sono rintracciabili nella nostra Costituzione. La Dottrina sociale si incarnava nel rinnovamento della vita politica italiana. E’ un esempio che vale anche per l’oggi e che ci ricorda il cammino che abbiamo realizzato dal 1891 ad oggi. D’altro canto l’eredità di Leone XIII è largamente rintracciabile nella “Mater et magistra” (1961) di Giovanni XXIII, nella "Populorum progressio" di Paolo VI (1967), nella "Centesimus annus" di Giovanni Paolo II (pubblicata nel 1991 proprio per ricordare i cento anni dalla "Rerum novarum") e nella "Caritas in veritate" di Benedetto XVI. Sia pure in contesti del tutto diversi, i punti fermi restano gli stessi. La Dottrina sociale della Chiesa non è un optional, e questo dovrebbero capirlo soprattutto gli operatori pastorali che si occupano di catechesi e di liturgia. Essa è parte integrante del magistero. E lo è perché ha in Cristo il suo centro perenne. Si potrebbe dire che ispirandosi alla Dottrina sociale i cattolici rendono il mondo più umano. Ma quel che conta di più è proprio il collegamento stretto tra fede e ragione, tra primato di Dio e discernimento politico. A tale proposito è eloquente il fatto che sia nel caso di Leone XIII con la "Rerum novarum" sia in quello di Benedetto XVI con la "Caritas in veritate" (lo ha di recente notato il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi), la prima adesione esplicita sia arrivata dagli Stati Uniti, un Paese che non ha mai temuto l’esperienza religiosa e che fin dalle analisi di Tocqueville ha praticato la più efficace conciliazione tra esperienza di fede e opere sociali. Più di cent'anni fa con lo Sherman Act per la regolazione dei monopoli, ai nostri giorni con il richiamo di Obama al dovere (morale e quindi pratico) di non vivere al di sopra delle proprie possibilità.

La denuncia, chiarissima in Leone XIII del "male dell'usura divoratrice" che continua, sia pure "sotto altro colore", nell'opera di "ingordi speculatori" richiama con chiara evidenza il tema oggi attuale della "finanza creativa”.

Il 12 maggio 2010, a Lisbona, Benedetto XVI ha affermato che la Chiesa, "partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l'Illuminismo". Senza riesumare inattuali atteggiamenti di rifiuto della modernità, il cattolico sa accogliere “il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall'altro, evitando i suoi errori e i suoi vicoli senza uscita".

Un ulteriore aspetto mi sembra meritevole di attenzione, in vista della 46° Settimana sociale: la valorizzazione della coscienza personale. Una libertà di coscienza e una coscienza politica che vanno sapientemente coltivate se non si vuole restare vittime delle semplificazioni del moralismo politico. A tale proposito è d’obbligo il richiamo al Cardinale John Henry Newman, che è stato beatificato da Papa Ratzinger nel suo recente viaggio in Gran Bretagna. Un nome che lega Leone XIII a Benedetto XVI. Infatti, fu Papa Pecci nel 1879 che creò Cardinale Newman. "Il mio Cardinale": così Leone XIII chiamava Newman, tanto amato anche da Papa Ratzinger. Non fu facile questa scelta in un tempo in cui la libertà di coscienza veniva da taluni considerata un pericolo ed era bollata dal Sillabo come nemica della fede. Leone XIII ricevendo in udienza nel 1888 Lord Selborne affermò: "Dicevano che fosse troppo liberale, ma io avevo deciso di onorare la Chiesa onorando Newman. Ho sempre avuto un culto per lui. Ho dato prova che ero capace di onorare un tale uomo". Infine un ultimo richiamo. Base della Dottrina sociale è la sapienza cristiana. Una sapienza cristiana che coniuga fede e vita, carità e verità, speranza e discernimento. Come ha ricordato a Carpineto Papa Ratzinger, Leone XIII, con l’assistenza dello Spirito Santo, è capace di rimanere fedele alla tradizione e di misurarsi con le grandi questioni aperte in un periodo storico tra i più difficili per la Chiesa. L’Agenda della speranza ha la stessa ambizione. E se lo può permettere perché sul soglio di Pietro siede un Papa che della sapienza cristiana ha fatto la base della sua ricerca di filosofo e del suo magistero.