San Nicola di Bari tra leggenda, storia e tradizione (Prima parte)

L’universalità del suo culto rimane per gli storici un mistero tuttora insoluto

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di Pietro Barbini

ROMA, mercoledì, 5 dicembre 2012 (ZENIT.org) – Tra il 5 e il 6 dicembre in tutto il mondo si consuma la tradizionale festa di San Nicolò, tra solenni eucarestie, processioni con la statua del santo vescovo di Myra e grandi falò in suo onore. Le tradizioni e i racconti relativi al santo, come i miracoli effettuati sia in vita che da morto, sono innumerevoli e variano da paese a paese. Dal camino, nella calza o nelle scarpe san Nicola, anche dopo la morte, ha continuato a portare doni ai bambini di tutto il mondo sino ai giorni nostri (solitamente si dice che lui si occupa di quelli buoni, prendendosi nota nel corso dell’anno di chi si è comportato bene, mentre il suo aiutante, che cambia nome e sembianze a seconda della zona geografica in cui ci si trova, lascia del carbone a chi è stato disobbediente).

In Olanda il 6 dicembre san Nicola assieme al fedele compagno Zwarte Piet, letteralmente “Piero il Nero” (si dice sia lui ad infilarsi nei camini delle case per portare i regali), gira per le strade di Amsterdam, di cui è il Santo Patrono, in sella ad un cavallo bianco distribuendo dolci e regali a tutti i bambini; in Austria sfila con dei personaggi chiamati Krampus, che minacciano di portare via i bambini disobbedienti; a Trieste, Gorizia e in Trentino Alto Adige si tramanda la leggenda secondo cui il santo regalò a tre bambini poveri tre mele rosse che si tramutarono in oro e per questo, il giorno della vigilia, i bambini scrivono una letterina al santo che lasceranno sul tavolo della cucina dove la mattina seguente troveranno una grossa cesta colma di frutta, cioccolato, mandorlato e giocattoli (questa tradizione è molto viva anche nella piccola isola di Murano, nota per la produzione del vetro, i cui abitanti scelsero san Nicola come patrono dei vetrai).

Il numero tre ricorre spesso nella storia del santo e nell’iconografia tradizionale, non a caso, viene rappresentato, oltre che con la mitra e il bastone pastorale, con tre sacchetti di monete, o tre palle d’oro che, in sostanza, fanno riferimento alla vicenda del santo più nota, denominata praxis de tribus filiabus. Si racconta che un cittadino di Patara caduto in totale miseria non vide altra soluzione per le tre figlie che quella di farle prostituire, data l’impossibilità di offrire loro una dote e, dunque, di trovare marito. Nicola, venuto a sapere di questo, per tre sere di seguito fece trovare sopra il tavolo della cucina del suo coetaneo una borsa  piena d’oro, facendola passare dalla finestra senza farsi vedere. In questo modo salvò l’onore delle tre fanciulle, che una dopo l’altra presero marito (una versione racconta che la terza sera il santo trovò la finestra della cucina chiusa, così si arrampicò sul tetto, gettando il terzo “sacco” giù dal camino).

E’ noto a tutti, o quasi, che la sua figura ha dato origine al personaggio di Santa Claus (le analogie tra i due sono più che evidenti). Il culto del Santo, infatti, fu portato a New York dai coloni olandesi con il nome di Sinterklaas, che divenne tra i coloni inglesi Santa Claus; furono poi gli scrittori americani a dare vita al personaggio folkloristico che conosciamo e a tracciarne la personalità, mescolando i numerosi racconti relativi il santo vescovo di Myra con elementi legati alla cultura anglosassone.

Clement Clarke Moore, professore di Esegesi Biblica e Letteratura greca e orientale presso il Seminario Teologico della Chiesa Protestante di New York, nel 1822 scrisse A Visit from St. Nicholas, un racconto per bambini dove Santa Claus viene descritto come “un vecchio elfo paffuto e grassottello“, dal viso simpatico e la testa sporca di fuliggine, dalla barba bianca come la neve e il vestito rosso, che in sella ad una slitta trainata da renne porta doni ai bambini facendoli passare dai camini delle case la sera della vigilia di Natale; nel 1863 il disegnatore statunitense di origine tedesca Thomas Nast ne riprodusse l’immagine, ma la consacrazione definitiva, però, avvenne nel 1931 ad opera di Haddon Hubbard Sundblom che, prendendo spunto dal racconto di Moore e dai disegni di Nast, ritrasse, per la campagna pubblicitaria della Coca Cola, l’immagine di Babbo Natale come oggi lo conosciamo. 

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ZENIT Staff

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