Quaresima: esodo di luce e tende di pace

Lectio Divina per la II Domenica di Quaresima – Anno A

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la II Domenica di Quaresima (Anno A).

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LECTIO DIVINA

Quaresima: esodo di luce e tende di pace

Rito Romano – II Domenica di Quaresima – Anno A – 16 marzo 2014

Gen 12,1-4; Sal 32; 2 Tm 1,8-10; Mt 17,1-9

In Cristo tutta la realtà è trasfigurata.

Rito Ambrosiano – II Domenica di Quaresima – Domenica della Samaritana

Es 20,2-24; Sal 18; Ef 1,15-23; Gv 4,5-42

L’incontro con Cristo trasfigura chi è sfigurato.

            1) Quaresima: Esodo di penitenza e di luce.

            La Quaresima non è solo un cammino di penitenza di persone addolorate per il loro peccato. Essa è cammino di luce o, meglio, di conversione alla luce. La vittoria sulla tentazione è già fonte di trasfigurazione.

            Il Vangelo di questa domenica ci presenta il fatto della Trasfigurazione di Cristo. E’ un un evento che ha segnato la vita non solo di Gesù, ma anche di Pietro, Giacomo e Giovanni, e deve segnare la nostra esistenza.

            Il contesto è di preghiera, sul monte Tabor. Si tratta di un momento molto particolare e privilegiato. E’ rivelazione della divinità di Gesù. E’ un momento di luce che Gesù ha voluto per prepare i suoi discepoli alla passione e, quindi anche noi perché arriviamo preparati al Venerdì santo. Anche noi dobbiamo entrare nel mistero della Trasfigurazione, farlo nostro. Non dobbiamo solo contemplare Cristo radioso, ma diventare ciò che contempliamo.

            Il primo modo di partecipare al dono soprannaturale della Trasfigurazione è dare spazio alla preghiera e all’ascolto della Parola di Dio, è fissare il nostro sguardo sull’Ostia consacrata. Inoltre, soprattutto in questo tempo di Quaresima, è rispondere all’invito divino della penitenza con qualche atto volontario di mortificazione, al di fuori delle rinunce imposte dal peso della vita quotidiana.

            Un altro modo di vivere il mistero della Trasfigurazione è quello di immaginarci la scena, come il Vangelo cela descrive, e immedesimarsi in uno dei tre apostoli che hanno accompagnato Gesù sul monte Tabor:“E fu trasfigurato davanti a loro (i tre apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni): il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” (Mt 17,1-2). Gesù si trasfigura: le vesti candide[1] e il volto splendente ci pongono in direzione del Figlio dell’uomo di Daniele, glorioso e vincitore. In questo modo ci è rivelato che Gesù, che è in cammino verso la Croce, è il Signore  e in realtà è in cammino verso la luce della Risurrezione. L’ultimo e penoso pellegrinaggio che Gesù sta percorrendo nasconde un significato pasquale. Ma si tratta di un anticipo fugace e provvisorio: la strada da percorrere è quella della Croce. E difatti i tre discepoli prediletti, chiamati a vedere in anticipo la gloria di Gesù, sono i medesimi che nel Getsemani, saranno chiamati a vedere la sua debolezza. Pietro, Giacomo e Giovanni ( e noi con loro), contemplando la divinità del Signore, sono preparati ad affrontare lo scandalo della croce, come è cantato in un antico inno: “Sul monte ti sei trasfigurato e i tuoi discepoli, per quanto ne erano capaci, hanno contemplato la tua gloria, affinché, vedendoti crocifisso, comprendessero che la tua passione era volontaria e annunciassero al mondo che tu sei veramente lo splendore del Padre”.

            2) Le tende e la Tenda.

            Il Vangelo prosegue narrando che, accanto a Gesù trasfigurato, “apparvero Mosè ed Elia[2] che conversavano con lui” (Mt 17,3); Mosè ed Elia, figura della Legge e dei Profeti. Questi due grandi personaggi biblici ebbero il privilegio di «vedere e ascoltare» Dio sul monte Sinai e sull’Oreb, sono a fianco di Gesù sul monte della trasfigurazione e testimoniano la sua identità. Fu allora che Pietro, estasiato, esclamò: “Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne[3], una per te, una per Mosè e una per Elia” (Mt 17,4). Credo, però che in questo brano evangelico il dato della tenda/capanna si possa interpretare in riferimento all’esodo.

            I quarant’anni nel deserto furono un tempo di transizione e di prova , ma furono anche un tempo privilegiato. Nel deserto, le tende devono essere montate ogni sera e tolte via ogni mattina, è il luogo dell’orrore e della morte, è il luogo degli scorpioni, dei serpenti, è il luogo della sete e della fame, è il luogo dei razziatori nascosti che piombano all’improvviso sulla carovana. Ma è il tempo, coestensivamente, della forza e della vita; mai come nel deserto il popolo è forte perché è spoglio, è leggero, porta con sé poco bagaglio ma molta vita, molta speranza, molta energia, da farne tesoro in seguito, quando giungerà nella patria[4].

            Il deserto e le tende furono e sono un luogo privilegiato, il luogo dove si sta a tu per tu con Dio. Sono anche il luogo e il tempo della dipendenza totale. Già nel deserto dell’esodo le realtà che poi il Nuovo Testamento assumerà come ultime, messianiche ed escatologiche, cioè l’acqua, la manna e la Parola, sono intese precisamente in questo senso della totale dipendenza da Dio. 

            Il popolo che vive sotto la tenda non può fare a meno degli elementi vitali come l’acqua e il cibo, la manna, le quaglie del deserto (Es. 16, 1-36 e 17, 1-7). Il Signore manda i beni, ma il Signore vuole che il popolo abbia totale disponibilità e dipendenza e le dimostri, perché il Signore non fa mancare nulla a nessuno.

            Ma occcorre parlare anche della Tenda con la T maiuscola. In effetti, già Sant’Agostino commenta la frase di San Pietro sul monte della Trasfigurazione, dicendo che noi abbiamo una sola dimora: Cristo; Egli “è la Parola di Dio, Parola di Dio nella Legge, Parola di Dio nei Profeti[5]. Il Signore ha stabilito la sua Tenda in mezzo alle tende; queste tende diventano il luogo dove si vive una vita vera per il fatto che il Signore è presente, è l’Emmanuele, il Dio-con-noi, Dio tra noi, sempre. 

            Questa Tenda fra le tende implica un farsi come gli uomini da parte di Dio, un Dio che si abbassa, quasi si distrugge, per abitare in mezzo alle tende degli uomini.

            Un esempio di tende accanto alla Tenda sono le Vergini consacrate. Queste donne sono chiamate a vivere la loro esistenza con disponibilità e dipendenza piena. Nella Chiesa queste donne sono chiamate a donarsi totalmente al Signore col proposito di Verginitàcontinuando a vivere nel mondo. La loro consacrazione manifesta l’importanza di una “totalità” gioiosa nel dono di sé e, di conseguenza, la ricerca costante del primato della contemplazione pur nella totale disponibilità per il servizio nella Chiesa, con e per i fratelli. In tale modo queste donne tesitmoniano che la luce di Dio trasfigura l’umanità e che Cristo è sempre luce della vita e bellezza dell’umanità.

*

NOTE

[1] San Massimo il Confessore afferma che “le vesti divenute bianche portavano il simbolo delle parole della Sacra Scrittura, che diventavano chiare e trasparenti e luminose” Ambiguum 10: PG 91, 1128 B.

[2] Mosè ed Elia sono personaggi particolarmente qualificati a discorrere con Gesù nel suo cammino. Mosè guidò il popolo di Dio nel passaggio dall’Egitto alla terra promessa e, chiamato da Dio a guidare la marcia di Israele verso la libertà, prov
ò ripetutamente l’amarezza della contestazione e dell’abbandono. Infine morì alle soglie della terra promessa, senza la soddisfazione di entrarvi, non venne mai meno nella sua fede. Elia – profeta fra i più tenaci, insofferente a ogni forma di idolatria e della corruzione del governo – conobbe la via della fuga, del deserto e della solitudine, ma anche la gioia della presenza del Signore e il conforto della sua parola. Gesù è incamminato verso la Croce, ma è il profeta definitivo, l’ultima parola di Dio: «ascoltatelo». L’atteggiamento fondamentale del suo discepolo è l’ascolto.

[3] La nuova traduzione del Vangelo traduce la parola greca “skene” con “capanne” invece che “tende” in riferimento alla festa delle Capanne. La traduzione latina usa la parola “tabernaculum”. La festa di Sukkoth inizia il 15 del mese di Tishrì (settembre-ottobre, perché l calendario ebraico, a differenza del calendario cristiano, è lunare, segue cioè il ciclo della luna: per essere più precisi, si basa sull’intervallo di tempo che passa da un novilunio all’altro). Sukkoth in ebraico significa “capanne” e sono appunto le capanne a caratterizzare questa festa gioiosa che ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto: quaranta anni in cui abitarono in dimore precarie, accompagnati da “nubi di gloria”. Penso, però, che scrivere queste riflessioni usando la parola “tenda” ci aiuti a capire meglio il fatto di essere pellegrini e di non avere stabile dimora su questa terra.

[4] E’ utile ricordare che i primi monaci, verso la fine del III sec. e l’inizio del IV,  “tornarono” nel deserto.  Di solito si dice che sono scappati per paura della civiltà e per disprezzo delle realtà del mondo, ma non è che un luogo comune. In realtà i primi monaci “fuggirono” nel deserto per contestare la vita comoda dei cristiani del loro tempo, che stavano diventando degli uomini del comodo, della sazietà, gli uomini della vita definitiva, non pellegrinante. I cristiani avevano perduto quello che per i primi tre secoli era il vero istinto del deserto, quello di procedere, di far procedere anche gli altri, di contribuire a che anche gli altri, che non fanno parte del popolo di Dio, “vadano” comunque “in avanti”.  Quindi i primi monaci hanno fatto un immenso atto di coraggio, un atto di “tornare indietro”, che in realtà è un “andare ancora in avanti”: ritornare ai tempi privilegiati del deserto, della tenda.

[5] Sant’Agostino, Sermo De Verbis Ev. 78,3: PL 38, 491.

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Archbishop Francesco Follo

Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi.

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